3Jane spuntò da dietro la sedia a rotelle. — Dove? Descrivimi il posto, questo costrutto.
— Una spiaggia. Sabbia grigia, come argento… un argento che avrebbe bisogno d’essere lucidato… e una specie di bunker. — Case esitò. — Non è minimamente carino, soltanto vecchio, e cade a pezzi. Se cammini abbastanza a lungo, ritorni al punto di partenza.
— Sì — disse 3Jane. — Marocco. Quando Marie-France era una ragazzina, molti anni prima di sposare Ashpool, passò un’estate da sola su quella spiaggia, accampata in una casamatta abbandonata. Là formulò le basi della sua filosofia.
Hideo si raddrizzò, infilandosi il tronchesino nei calzoncini. Teneva una sezione della freccia per ogni mano. Maelcum aveva gli occhi chiusi, la mano stretta intorno al bicipite. — Lo bendo — disse Hideo.
Case riuscì a buttarsi a terra prima che Riviera spianasse la Fletcher per centrarlo. I dardi passarono sibilando accanto al suo collo come moscerini supersonici. Mentre rotolava al suolo, Case vide Hideo ruotare su se stesso, descrivendo un altro passo della sua danza, la freccia a rasoio stretta a rovescio tra le mani, con l’asticella schiacciata sul palmo e sulle dita irrigidite. Il ninja la scagliò in sottomano, il polso ridotto a una macchia confusa. La freccia si piantò nel dorso della mano di Riviera. La Fletcher rimbalzò sulle piastrelle a un metro di distanza.
Riviera urlò. Ma non per il dolore: era un urlo di rabbia, così puro, così schietto e raffinato da essere privo di qualsiasi umanità.
Raggi di luce gemelli, aghi rossi come rubini, saettarono dallo sterno di Riviera.
Il ninja grugnì, barcollò all’indietro, portandosi le mani agli occhi, poi recuperò l’equilibrio.
— Peter — disse 3Jane. — Peter, cos’hai fatto?
— Ha accecato il tuo clone — spiegò Molly con voce assente.
Hideo abbassò le mani piegate a coppa. Immobile sulle piastrelle bianche, Case vide fili di vapore uscire dagli occhi distrutti.
Riviera sorrise.
Hideo riprese la danza, tornando sui propri passi. Quando fu sopra l’arco, la freccia e il Remington, il sorriso di Riviera era già svanito. Si piegò (a Case parve che facesse un inchino) e trovò l’arco e la freccia.
— Sei cieco — gli ricordò Riviera, facendo un passo indietro.
— Peter, non sai che ci riesce anche al buio? — intervenne 3Jane. — Zen. È così che si allena.
Il ninja incoccò la freccia. — Mi distrarrai con i tuoi ologrammi, adesso?
Riviera aveva preso ad arretrare nel buio oltre la piscina. Sfiorò una sedia bianca, i suoi piedi sbatterono sulle piastrelle. La corda dell’arco venne tesa.
Riviera si mise a correre, spiccando un balzo oltre il frammento irregolare d’un muretto. Il volto del ninja era rapito, soffuso di una quieta estasi.
Sorridendo, si allontanò a passi felpati nelle ombre oltre il moncone di muro, tenendo pronta l’arma.
— Jane-lady — bisbigliò Maelcum, e quando Case si voltò lo vide che stava raccogliendo il fucile, il sangue che schizzava sulla bianca ceramica. Lo zionita scosse i dreadlock e appoggiò il grosso moncone di canna nell’incavo del braccio ferito. — Questo ti farà saltare la testa, e nessun dottore di Babilonia potrà rimetterla a posto.
3Jane osservò il Remington. Molly liberò le braccia dalle pieghe della coperta a strisce, sollevando la sfera nera che le imprigionava le mani. — Via — esclamò. — Tiramela via.
Case si riscosse, rimettendosi in piedi sul pavimento piastrellato. — Hideo lo farà fuori anche se è cieco? — chiese a 3Jane.
— Quand’ero bambina ci piaceva da matti bendarlo. Piazzava le frecce attraverso i punti delle carte da gioco da dieci metri di distanza.
— Peter è bello che morto — intervenne Molly. — Entro dodici ore comincerà a raffreddarsi. Non sarà più capace di muoversi. I suoi occhi sono tutto.
— Perché? — le chiese Case.
— Gli ho messo del veleno nella droga. L’effetto assomiglia al morbo di Parkinson.
3Jane annuì. — Sì. Abbiamo fatto il solito controllo scanner, prima di farlo entrare. — Quando toccò la sfera in una certa maniera, questa si staccò dalle mani di Molly. — Distruzione selettiva delle cellule della substantia nigra. I sintomi della formazione di un corpo di Lewy. Durante il sonno suda moltissimo.
— Alì — disse Molly, e dieci lame scintillarono, sfoderate per un istante. Tirò via la coperta dalle gambe, rivelando il gonfiore dell’ingessatura. — È la meperidina. Mi sono fatta preparare da Alì la sostanza solita. Ho accelerato i tempi di reazione con delle temperature più alte. N -metil-4-fenil-1236… — cantilenò, come un bambino che stesse recitando i passi di un gioco da marciapiede -… tetraidropiridina.
— Un’iniezione fulminante — concluse Case.
— Già. Un’iniezione fulminante davvero interminabile.
— È spaventoso — commentò 3Jane, e se ne uscì in una risatina.
L’ascensore era gremito. Case aveva il bacino premuto contro quello di 3Jane, la bocca del Remington sotto il mento della giovane. 3Jane sorrise e si strusciò contro di lui. — Smettila — le intimò Case, sentendosi impotente. Aveva messo la sicura al fucile, ma temeva sempre di farle del male, e lei lo sapeva. L’ascensore era un cilindro d’acciaio, meno di un metro di diametro, progettato per un singolo passeggero. Maelcum reggeva Molly fra le braccia. Lei gli aveva bendato la ferita, ma era ovvio che trasportarla gli causava un grande dolore. Il fianco di Molly spingeva il terminale e il costrutto contro i reni di Case.
Salirono, uscendo dalla gravità, verso l’asse, i nuclei.
L’ingresso dell’ascensore era dissimulato accanto alle scale che davano sul corridoio, un altro tocco nell’ambientazione da grotta dei pirati del rifugio di 3Jane.
— Non credo che dovrei dirvelo — disse 3Jane, allungando il collo in modo da consentire al suo mento di staccarsi dalla bocca del fucile. — Purtroppo non ho la chiave della porta che volete aprire. Non l’ho mai avuta. Una delle tante goffaggini vittoriane di mio padre. La serratura è meccanica, ed è estremamente complicata.
— Una serratura Chubb — fece la voce ovattata di Molly da dietro la spalla di Maelcum. — E noi abbiamo quella fottuta chiave, non preoccuparti.
— Quel tuo chip funziona ancora? — le domandò Case.
— Sono le venti e venticinque, merdosa ora di Greenwich.
— Abbiamo cinque minuti — dichiarò Case mentre la porta si apriva di scatto dietro a 3Jane. Quest’ultima schizzò all’indietro con una lenta capriola, e le pallide pieghe della djellaba le si gonfiarono intorno alle cosce.
Erano arrivati all’asse, al nucleo di villa Straylight.
Molly pescò la chiave appesa al cappio di nylon.
— Sapete, avevo l’impressione che non esistesse un duplicato della chiave — disse 3Jane, allungando il collo con interesse. — Ho mandato Hideo a rovistare fra le cose di mio padre, dopo che tu l’hai ucciso. Ma non è riuscito a trovare l’originale.
— Invernomuto è riuscito a farla incastrare in fondo a un cassetto — spiegò Molly, mentre inseriva con grande cautela l’asta cilindrica della Chubb dentro l’apertura nella superficie vuota della porta rettangolare. — Ha ucciso il ragazzino che ce l’aveva messa. — La chiave ruotò senza sforzo quando la provò.
— La nuca — intervenne Case. — C’è un pannello dietro la testa. Con degli zirconi sopra. Toglilo. È là che devo collegarmi.
E poi entrarono.
— Cristo in croce. Quando si tratta di prendertela comoda non ci pensi due volte, vero, ragazzo? — biascicò il Flatline.
— Il Kuang è pronto?
— Pronto a scattare.
— D’accordo. — Cambiò.
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