I loro rapporti con la colonia dei sacchi-di-gas su Giove erano buoni; avevano l’esperienza di Vera e del suo gruppo di apprendisti. Ma gli alieni gioviani non potevano proteggerli dalle altre fazioni umane. Non avevano una tale ambizione e nessun prestigio paragonabile a quello della Regina Cicada.
Jane Murray presentò le cose dal punto di vista del progetto. La superficie di Europa era la più tetra delle prospettive: una terra desolata di ghiaccio levigato, bruciata dal vuoto, così fredda che il sangue e le ossa si sarebbero frantumati come il vetro. Inondata dalle micidiali radiazioni gioviane. Ma c’erano fessure nel ghiaccio, strisce scure lunghe migliaia di chilometri… Crepe mareali. Giacché sotto la crosta di quella luna c’era del ghiaccio fuso, un oceano lavico costituito da acqua liquida che cingeva l’intero globo. Le continue maree energetiche di Giove e di Ganimede riscaldavano l’oceano di Europa fino a raggiungere la temperatura del sangue. Sotto quella specie di merletto di fratture, un oceano sterile lambiva un letto di roccia geotermica.
Per anni i vitalateralisti avevano progettato una serie di massicci cataclismi per quella distesa inorganica. Avrebbero cominciato con le alghe. Avevano già allevato delle forme che potevano sopravvivere nel peculiare miscuglio di sali e solfuri indigeni dei mari europidi. Le alghe avrebbero potuto ammassarsi intorno a crepe recenti, attraverso le quali filtrava la luce, cibandosi delle molecole filiformi di idrocarburi pesanti che ballonzolavano senza una meta dentro quel mare sterile. I pesci sarebbero stati il passo successivo: piccoli, all’inizio, generati da una mezza dozzina di specie di pesci commerciali che l’umanità aveva portato nello spazio. Artropodi oceanici come i “granchi” e i “gamberetti”, conosciuti soltanto dagli antichi libri di testo, potevano venir imitati attraverso l’abile manipolazione dei geni degli insetti.
Le faglie potevano venir infrante dall’orbita sganciando adeguati proiettili, creando chiazze di pack inondate dalla luce. Potevano fare esperimenti su una dozzina di crepe contemporaneamente, adattando ecosistemi rivali in una successione di tentativi.
Ci sarebbero voluti secoli. Ancora una volta, Gomez prese su di sé il fardello degli anni. — Il bioprogetto è ancora nella sua infanzia — dichiarò. — Dobbiamo guardare in faccia i fatti. Per lo meno con la Regina, la Kluster Marziana ci offrirà ricchezza e sicurezza. Là, per lo meno, i nostri soli nemici saranno gli anni.
All’improvviso Lindsay si fece avanti barcollando e picchiò il pugno metallico sul tavolo. — Dobbiamo agire adesso! È questo il momento cruciale, quando un singolo atto può dare una struttura definitiva al nostro futuro. Abbiamo di fronte la nostra scelta: la routine o il miracolo. Esigiamo il miracolo!
Gomez lo fissò esterrefatto. — È Europa, allora, Cancelliere? — chiese. — I piani di Wellspring sembrano più sicuri.
— Più sicuri? — Lindsay scoppiò a ridere. — Czarina-Kluster sembrava sicura, ma la Causa si è spostata oltre e la Regina si è spostata con essa, quando Wellspring l’ha presa con sé. Il sogno astratto fiorirà, ma la città tangibile, concreta, crollerà. Quelli che non possono sognare moriranno con essa. I discreti traboccheranno del sangue dei suicidi. Wellspring stesso potrebbe venir ucciso. Gli agenti dei Mech si annetteranno interi sobborghi, i Plasmatori assorbiranno intere banche e industrie. Le routine che qui parevano tanto solide fonderanno come lacrime… Se le abbracceremo, noi fonderemo con esse.
— Allora, cosa dobbiamo fare?
— Wellspring non è il solo i cui crimini siano ambiziosi o segreti. E non sarà l’ultimo a scomparire.
— Ci lasci, Cancelliere?
— Dovrete affrontare i disastri e le angosce da soli. Ormai io non dispongo più di capacità del genere.
Gli altri si mostrarono addolorati. Gomez fu il primo a riprendersi. — Il Cancelliere Emerito ha ragione — dichiarò. — Stavo per suggerire qualcosa di simile. I nostri nemici concentreranno l’attacco sull’arbitro della Congrega. Potrebbe esser meglio che se ne stesse nascosto.
Gli altri ripresero istintivamente a protestare, ma Lindsay respinse ogni loro obiezione. — Non possono esserci sempre una Regina e Wellspring. Dovete confidare nella vostra stessa forza. Io confido in essa.
— Dove andrai, Cancelliere?
— Dove meno mi aspettano. — Li fissò sorridendo. — Questa non è la mia prima crisi. Ne ho viste molte. E quando loro colpiscono, io scappo sempre. Vi ho predicato per anni, vi ho chiesto di dedicare la vostra vita… E ho sempre saputo che questo momento sarebbe venuto. Non ho mai saputo quello che avrei dovuto fare quando il sogno si fosse trovato ad affrontare la sua crisi. Sarei diventato un cane solare come avevo sempre fatto, oppure mi sarei impegnato? Il momento è qui. Devo sfidare il mio passato, proprio come dovete fare voi. So come procurarvi il vostro miracolo. E vi giuro che lo farò.
Un improvviso timore colse Gomez. Da anni non aveva più visto Lindsay così deciso. Gli venne in mente d’un tratto che Lindsay aveva intenzione di morire. Non conosceva i piani di Lindsay, ma adesso si rendeva conto che sarebbero stati il punto cruciale della vita del vecchio. Sarebbe stato da lui, uscire nel momento supremo, per dissolversi in mezzo alle ombre, mentre una qualche sconosciuta gloria ardeva ancora. — Cancelliere — disse — quando possiamo aspettarci il suo ritorno?
— Prima che io muoia, noi saremo gli angeli di Europa. E vi rivedrò in paradiso. — Lindsay aprì la porta del discreto; là fuori, i corridoi in caduta libera furono come un’esplosione d’un improvviso rumore di folla. La porta tornò a chiudersi con un tonfo. Se n’era andato. Un fitto silenzio calò sul gruppo.
L’assenza del vecchio lasciò dietro di sé una sensazione di vuoto. Si guardarono. Poi, tutti insieme, fissarono Gomez. Il momento passò. L’inquietudine si dissolse. Gomez sorrise. — Bene — disse. — Vada per i miracoli, dunque.
Il topo di Lindsay balzò vispo sul tavolo. — L’ha lasciato qui! — esclamò Jane Murray. Gli accarezzò la pelliccia, e la creatura se ne uscì in un sonoro squittio.
— Il topo si è già adeguato… — disse Gomez. Batté le mani sul tavolo, e si misero al lavoro.
Orbita Circumterrestre
14-4-’54
Tre di loro aspettavano dentro la nave spaziale: Lindsay, Vera Constantine, e il loro navigatore Aragosta che era conosciuto semplicemente come Pilota.
— Approccio finale — disse Pilota. La sua bellissima voce sintetizzata emerse da un’unità vocoder collegata alla sua gola.
Assicurato dalle cinghie davanti al suo quadro di comando, Aragosta era un frammento d’ombra. Era ermeticamente chiuso all’interno d’una tuta spaziale permanente d’un nero opaco, imbozzolato in grumi di macchinari interni e costellato di lucidi spinotti d’oro. Le aragoste erano creature del vuoto, post-umani senza volto, i loro occhi e gli orecchi erano collegati a sensori intessuti nelle loro tute. Pilota non mangiava mai. Non beveva mai. Le routine del suo corpo erano comprese nei ritmi del sistema di sopravvivenza della sua tuta.
A Pilota non piaceva trovarsi all’interno di una nave spaziale; le aragoste avevano orrore degli spazi chiusi. Pilota, però, aveva accettato la scomodità in cambio dell’emozione del crimine.
Adesso si stavano sganciando dall’orbita, la calma drogata di settimane di viaggio era stata spezzata. Lindsay non aveva mai visto Vera così animata. La sua evidente delizia lo riempiva di piacere.
E Vera aveva ragione di essere contenta: la Presenza non c’era più. Non l’aveva più sentita da quando loro tre si erano trovati chiusi dentro la nave spaziale. Era passato tanto tempo che Vera riteneva di essere sfuggita definitivamente alla Presenza. Questo sollievo le faceva provare tanta felicità, almeno quanta le procurava la realizzazione della loro lunga cospirazione.
Читать дальше