Bruce Sterling - La matrice spezzata

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È considerata l'opera che, insieme a Neuromante (1984) di William Gibson, ha dato inizio alla stagione della narrativa Cyberpunk.
Definito da Sterling stesso come il favorito tra i suoi libri, “La matrice spezzata” racconta di un mondo in cui l'umanità è divisa tra i rivoluzionari Shaper, favorevoli a un'umanità biologica, in lotta contro gli aristocratici Mechanist (che vorrebbero imporre il dominio della macchina) per il definitivo controllo del genere umano. Il volume comprende un romanzo e cinque racconti pubblicati tra il 1982 e il 1984, ambientati nello stesso sfondo fanta-storico e che costituiscono una sorta di minisaga, quasi una summa dell'intenso universo sterlinghiano.
Nominato per il premio Nebula per miglior romanzo in 1985, premio BSFA in 1986.

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— Non erano niente — si schermì Lindsay.

D’un tratto, lei provò il vivo timore di deluderlo. Erano quindici anni, dal giorno del duello, che lei non lo vedeva. Allora, lei era molto giovane, solo vent’anni. Aveva ancora gli zigomi e il mento appuntito dei Kelland, ma il tempo l’aveva cambiata, e il suo genotipo non era puro. Lei non era il clone di Vera Kelland.

Il suo kimono senza maniche mostrava spietatamente i cambiamenti apportati in lei dagli anni trascorsi come emissario presso gli alieni. Due dotti circolatori incavavano la carne del suo collo, e la sua pelle aveva ancora un peculiare colorito cereo. All’interno dell’ambasciata di Fomalhaut, era vissuta nell’acqua per anni.

Gli occhi grigi di Lindsay non avevano smesso di scrutare intorno. Era convinta che lui fosse in grado di sentire la Presenza, di avvertirne l’esistenza che tutto impregnava, arcana e inquietante. Presto o tardi avrebbe attribuito a lei l’origine di quella sensazione, e allora le sue possibilità di conquistare il suo favore sarebbero andate in fumo. Parlò in maniera astratta. — Mi spiace che le faccende non possano venir risolte in fretta… Nel campo delle defezioni è meglio non essere affrettati.

Le parve di aver sentito un velato riferimento al destino di Nora Mavrides. Questo la raggelò. — Capisco il suo punto di vista, Cancelliere. — Vera non aveva nessun appoggio ufficiale da parte del clan di Constantine, poiché non potevano rischiare nessuna denuncia nell’ambito del Consiglio dell’Anello. A quei tempi la vita era dura nella Skimmers Union, alla perdita del ruolo di città capitale si era accompagnata una lotta sorda e rabbiosa per il controllo degli scampoli di potere rimasti e la caccia ai capri espiatori. I membri del clan di Constantine ne erano stati le maggiori vittime.

Un tempo lei era stata la favorita del fondatore del loro clan, coperta di doni e dall’affetto parossistico di Constantine. Ma il suo clan aveva giocato troppe carte sbagliate. Philip Constantine aveva rischiato il loro futuro puntando sulla possibilità di uccidere Lindsay, e aveva fallito. Il clan aveva fatto grandi investimenti sull’incarico di ambasciatore di Vera, ma lei era tornata senza le ricchezze che loro si erano aspettati. Ed era cambiata in maniera tale da allarmarli. Adesso era sacrificabile.

A mano a mano che il potere del clan era diminuito, avevano vissuto nel terrore di Lindsay. Lui era sopravvissuto al duello ed era ritornato più potente che mai. Sembrava inarrestabile, più grande della vita, ma l’attacco che si erano aspettati non era mai venuto, e si erano resi conto che aveva anche lui i suoi punti deboli. Per suo tramite speravano di far leva sulle sue emozioni, contando sull’amore o sul senso di colpa che provava per Vera Kelland. Era l’ultima e la più disperata delle scommesse. Con un po’ di fortuna avrebbero potuto assicurarsi un asilo. O la vendetta. O tutte e due le cose.

— Perché venire da me? — chiese Lindsay. — Ci sono altri luoghi. La vita da mechanist non è così brutta come la dipinge il Consiglio dell’Anello.

— I Mech ci metterebbero contro la nostra stessa gente. Frantumerebbero il nostro clan. No, Czarina-Kluster è il luogo migliore. C’è asilo all’ombra della vostra Regina. Ma non ci sarà, se tu operi contro di noi.

— Capisco — annuì Lindsay. E sorrise. — I miei amici non si fidano di voi. Abbiamo ben poco da guadagnare, capisci. Czarina-Kluster pullula già di disertori. Il tuo clan non condivide la nostra ideologia postumana. Cosa ancora peggiore, ci sono molte persone in Czarina-Kluster che odiano il nome Constantine. Ex detentisti, cataclisti, e così via… Capisci le difficoltà?

— Quei giorni sono alle nostre spalle, Cancelliere. Non intendiamo fare del male a nessuno.

Lindsay chiuse gli occhi. — Potremmo scambiarci assicurazioni fino a quando il sole esploderà — dichiarò, come se citasse qualcuno — e non riuscire mai a convincerci a vicenda. O ci fidiamo l’una dell’altro, oppure no.

La sua franchezza la riempì di timori. Si sentiva smarrita. Il silenzio si prolungò facendola sentire a disagio. — Ho un regalo per te — disse. — Un antico cimelio di famiglia. — Attraversò l’angusta cella per sollevare una gabbia rettangolare, avvolta in un drappo di velluto color pesca. Sollevò il panno della gabbia e gli mostrò il tesoro del clan: un topo albino di laboratorio. Correva su e giù per la gabbia sempre allo stesso modo, con una bizzarra e ripetitiva precisione. — È una delle prime creature ad aver mai raggiunto l’immortalità fisica. Un antico esemplare da laboratorio. Ha più di trecento anni.

Lindsay replicò: — Sei molto generosa. — Sollevò la gabbia e l’esaminò. All’interno di essa il topo, la sua capacità di apprendere completamente esaurita dall’età, era stato ridotto a un assoluto comportamento meccanico. Le contrazioni del suo muso, perfino i movimenti dei suoi occhi, erano totalmente stereotipati.

Lindsay continuò a fissarlo, indagatore. Lei sapeva che non ne avrebbe ricavato nessuna reazione. Non c’era niente nei gelatinosi occhi rossi del topo, neppure il più fioco guizzo di consapevolezza animale. — È mai stato fuori dalla gabbia? — chiese Lindsay.

— Non più da secoli, Cancelliere. È troppo prezioso.

Lindsay aprì la gabbia. Con la sua routine infranta, il topo si rannicchiò accanto al tubo d’acciaio dal quale sgocciolava la sua acqua, con gli arti coperti di pelliccia fibrosa che tremavano.

Lindsay agitò le dita guantate accanto all’ingresso della gabbia. — Non aver paura — disse al topo, con un tono il più serio possibile. — C’è tutto un mondo qua fuori.

Nella testa del topo scattò qualche antico, corroso riflesso. Con uno squittio si lanciò attraverso la gabbia contro la mano di Lindsay, artigliandola e mordendola con furia convulsa.

Vera rantolò e balzò in avanti, scossa dal suo stesso gesto, sgomenta per la reazione del topo. Lindsay le fece cenno di tornare indietro e sollevò la mano, osservando impietosito il topo che lo attaccava. Sotto il guanto destro lacerato, dita dure, prostetiche, luccicavano nella loro intelaiatura a griglia color rame e nero.

Lindsay agguantò con dolce fermezza l’animale che si contorceva, facendo attenzione che non si spezzasse i denti. — La prigione ha compresso e modellato la sua mente in maniera innaturale — disse. — Ci vorrà molto tempo per dileguare le sbarre dietro i suoi occhi. — Sorrise. — Per fortuna, il tempo è una merce abbondante.

Il topo smise di lottare. Ansimava, colto dagli spasimi di qualche epifania roditoria. Lindsay lo mise giù con delicatezza, sulla superficie del tavolo, accanto allo schermo del mercato azionario. L’animaletto si agitò per rimettersi in piedi sulle sue zampette rosa e cominciò ad andare su e giù tutto agitato, voltandosi per tornare indietro tutte le volte che raggiungeva quelli che erano stati i confini della sua gabbia.

— Non può cambiare — gli disse Vera. — Le sue capacità sono esaurite.

— Sciocchezze — ribatté Lindsay. — Ha soltanto bisogno di attuare un balzo prigoginico fino al successivo livello di comportamento. — Questa calma asserzione della sua ideologia la spaventò. Qualcosa, però, doveva essere trasparito sul suo viso. Lindsay sfilò dalla propria mano il guanto lacerato. — La speranza è il nostro dovere — dichiarò. — Devi sempre sperare.

— Per anni abbiamo sperato di poter guarire Philip Constatine — replicò Vera. — Adesso sappiamo che non è possibile. Siamo pronti a dartelo, in cambio d’un salvacondotto.

Lindsay la fissò, serio. — Questa è crudeltà — rispose.

— Era il tuo nemico — lei spiegò. — Volevamo fare ammenda.

— Per me, quella possibilità sei tu.

Funzionava. Ricordava ancora Vera Kelland.

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