Bruce Sterling - La matrice spezzata

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È considerata l'opera che, insieme a Neuromante (1984) di William Gibson, ha dato inizio alla stagione della narrativa Cyberpunk.
Definito da Sterling stesso come il favorito tra i suoi libri, “La matrice spezzata” racconta di un mondo in cui l'umanità è divisa tra i rivoluzionari Shaper, favorevoli a un'umanità biologica, in lotta contro gli aristocratici Mechanist (che vorrebbero imporre il dominio della macchina) per il definitivo controllo del genere umano. Il volume comprende un romanzo e cinque racconti pubblicati tra il 1982 e il 1984, ambientati nello stesso sfondo fanta-storico e che costituiscono una sorta di minisaga, quasi una summa dell'intenso universo sterlinghiano.
Nominato per il premio Nebula per miglior romanzo in 1985, premio BSFA in 1986.

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— Saprebbe dirci le cifre esatte? — chiese uno dei fratelli Szilard, rivelando un’avida bramosia mechanist per i dati nudi e crudi. — I rapporti su questo argomento a Czarina-Kluster sono nebulosi.

— Stando all’ultimo rapporto, la Muromadre ammontava a quattrocentomilaottocentododici tonnellate. — Il colonnello era orgoglioso. — Avete niente da dichiarare? No? Allora seguitemi.

Seguirono il dembowskiano in un ufficio privato di compensazione, dove lasciarono le proprie valige, e vennero dati loro dei kimono sterilizzati per ospiti. Fluttuarono a piedi nudi nell’aria calda nella principale arteria di Dembowska.

Pavimento, soffitto e pareti della cavernosa area del duty-free shop erano fatti di carne. I cicada camminavano con riluttanza, sfiorando appena con le dita dei piedi la pelle elastica. Guardavano con malcelato desiderio i negozi, le isole-salvagente di pietra e metallo. Lindsay li aveva istruiti perché mostrassero il massimo tatto ed era orgoglioso del modo in cui nascondevano le proprie reazioni istintive.

Perfino Lindsay avvertì una certa titubanza quando entrarono nella prima, lunga galleria; la sua struttura rotonda, simile a un esofago, risvegliava inquietudini sepolte in un pozzo profondo.

Il gruppo salì su un trasporto a slitta aperto, mosso dalle contrazioni peristaltiche dei tendini disposti a binario sotto di esso.

La liscia parete era costellata a intervalli da tappi sfinterici per la pasta nutriente predigerita. La luce s’irradiava, morbida, da vesciche translucide, gonfie d’una bianca fosforescenza.

Gomez, al fianco di Lindsay, studiava l’architettura con un’intensità assai simile a uno stato di trance. La sua attenzione era ancora più acuita da una droga conosciuta nei circoli cicada come “Delirio Verde”.

— Si sono rovinati — disse Gomez, a bassa voce. — Possibile che ci sia una personalità dietro a tutto questo? Deve volerci una mezza tonnellata di cervello posteriore per governare tutta questa carne. — I suoi occhi si restrinsero. — Immagina come si deve sentire.

Il clone di Carnassus, nel primo scomparto della slitta, toccò i comandi. Una giuntura umida si dischiuse nel pavimento, facendo precipitare la slitta in caduta libera verticale. Vennero catapultati giù lungo la tromba multibinario di un ascensore, interrotta qua e là da vertiginose prospettive di piazze e sobborghi.

Negozi e uffici scorrevano via fulminei, incassati in un’ondeggiante, scura pelle satinata. Il calore e l’odore della pelle profumata erano dappertutto: intimità su scala industriale. La folla era scarsa. Per la maggior parte si trattava di bambini, che correvano in giro nudi.

La slitta si arrestò con una brusca frenata. Il gruppo sbarcò su una piattaforma pelosa. Gomez diede di gomito a Lindsay quando la slitta vuota tornò indietro scivolando verso l’alto lungo i binari. — Le pareti hanno orecchie, Cancelliere.

Sì, li avevano. E anche occhi.

C’era qualcosa nell’aria di quel livello. Il profumo era particolarmente inebriante. D’un tratto Gomez sentì le palpebre pesanti, e i fratelli Szilard che avevano inforcato le telecamere a benda, se le sfilarono dalla fronte per asciugarsi il sudore. Jane Murray ed Emma Meyer, sconcertate da qualcosa che non riuscivano a definire, si guardavano intorno sospettose. Mentre i due dembowskiani li conducevano giù dalla piattaforma addestrandosi nelle cavernose profondità, Lindsay identificò d’un tratto la causa: feromoni sessuali. L’architettura era eccitata.

Il gruppo seguì un sentiero a bassa gravità: pelle indurita segnata dagli interminabili solchi d’innumerevoli impronte digitali. Il soffitto sovrastante era un tappeto ondulato di lucidi capelli neri, per spostarsi, una mano dopo l’altra.

Era chiaro che quel livello era una mostra: gli edifici preesistenti erano stati spogliati, ridotti a pure intelaiature, tralicci per la carne. Voluttuosi profili organici s’innalzavano da ogni lato, angoli euclidei erosi e smussati per ottenere morbide linee materne. Le strutture fluivano su dal pavimento per fondersi in archi a collo di cigno con il lucido soffitto. Gli edifici erano infossati, scavati, il liscio color rosa degli sfinteri a guisa di porte sfumava impercettibilmente nella pelle punteggiata di peluria.

Si fermarono sul prato peloso davanti a un enorme ed elaborato edificio, le sue scure pareti ostentavano lucidi mosaici di avorio. — Il vostro ostello — annunciò il colonnello. La doppia porta dell’edificio si spalancò, ruotando su cardini muscolari simili a fauci.

Jane Murray esitò mentre gli altri entravano; prese Lindsay per il braccio. — Quell’avorio nelle pareti sono denti. — Era diventata pallida sotto i gelidi azzurri e acquamarina della sua tintura facciale cicada.

— Feromoni femminili nell’aria — disse Lindsay. — La rendono nervosa. È la reazione del retrocervello, dottore.

— Gelosa delle pareti? — La postantropologa sorrise. — Questo posto dà la sensazione di essere un gigantesco discreto.

Malgrado questa spacconata, Lindsay vide la sua paura. Lei avrebbe preferito trovarsi perfino nei più famigerati discreti della cicada, con i loro giochi clandestini, piuttosto che in quell’alloggio di dubbia natura. Entrarono.

Murasaki si rivolse al gruppo: — Dividerete l’ostello con due gruppi di agenti di commercio, uno di Diotima e l’altra di Themis, ma avrete un’ala tutta per voi. Da questa parte, per favore.

La seguirono lungo una passerella d’innesti di avorio piatto. Uno della miriade di cuori che pullulavano su Dembowska pulsava dietro le costole del soffitto. Il suo doppio battito dava il ritmo al lieve gorgheggio musicale che proveniva da una laringe incassata nella parete.

Il loro alloggio era un miscuglio biomeccanico. Degli schermi collegati con la Borsa ardevano sulle pareti, seguendo l’ascesa e la caduta dei più importanti titoli mechanist. La mobilia era costituita da grumi e da montagnole di gusto raffinato: letti di carne ricurvi, pudicamente ammantati di lenzuola e coperte stampate con disegni di giaggioli. L’ampio appartamento era diviso da membrane tatuate a mo’ di paraventi, Il colonnello batté una mano su una delle membrane divisorie. Questa s’increspò ritraendosi dentro il soffitto come una palpebra. Il colonnello indicò con un gesto cortese uno dei letti. — Questi mobili sono un esempio dell’erotecnologia della nostra Muromadre. Esistono per vostro conforto e piacere. Devo informarvi, però, che la nostra Muromadre si riserva il diritto della fecondità.

Emma Meyer, che si era accomodata con cautela su uno dei letti, balzò di scatto in piedi. — Scusi?

Il colonnello corrugò la fronte. — Le eiaculazioni maschili diventano proprietà del ricevente. Questo è un antico principio femminile.

— Oh, capisco.

Murasaki contrasse le labbra. — Lo considera strano, dottore?

— Niente affatto — replicò Emma Meyer, in tono convinto. — Ha perfettamente senso.

La ragazza dembowskiana proseguì: — Qualunque bambino generato dagli uomini del vostro gruppo avrà la completa cittadinanza. Tutti i murofigli sono ugualmente amati. Si dà il caso che io sia un clone perfetto, ma mi sono guadagnata il mio posto per i miei meriti, nell’amore della Madre. Non è così, Martin?

Il colonnello aveva una maggior comprensione per quelle che erano le finezze diplomatiche. Annuì brevemente. — L’acqua dei bagni è sterile e contiene soltanto un minimo di sostanze organiche disciolte. Può essere bevuta tranquillamente. L’impianto idraulico è modellato sulla tecnologìa genitourinaria, ma non vi sono liquami di scarto.

Gomez trasudava un affascinato entusiasmo. — Come progettista biologico, la vostra ingegnosa architettura m’incanta. Non soltanto per l’abilità tecnica ma anche per la sua raffinata estetica. — Esitò. — C’è tempo per un bagno prima dell’arrivo dei bagagli?

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