— Non illuderti — disse ancora. — Io non ti offro una vera ricompensa. Un giorno Czarina-Kluster dovrà cadere. Le nazioni non durano, in quest’epoca. Soltanto la gente dura, soltanto i progetti e le speranze… Io posso offrirti soltanto quello che abbiamo. Non la sicurezza, la libertà.
— Il postumanismo — lei citò. — È la vostra ideologia di stato. Naturalmente ci adatteremo.
— Pensavo che tu avessi le tue convinzioni, Vera. Tu sei una galatticista.
Vera si passò leggermente le dita, con fare assente, su una delle cicatrici branchiali sul suo collo. — Ho imparato la mia politica nella sfera di osservazione. A Fomalhaut. L’ambasciata. — Esitò. — Là la vita mi ha cambiato più di quanto tu non possa immaginare. Ci sono delle cose che non riesco a spiegare.
— C’è qualcosa in questa stanza — disse Lindsay.
Lei lo fissò, sbalordita. — Sì — esclamò. — Lo senti? Non molti ci riescono.
— Cos’è? Qualcosa degli alieni di Fomalhaut? I sacchi-di-gas?
— Loro non ne sanno niente.
— Ma tu sì — lui ribadì. — Parlamene.
Ormai, c’era troppo dentro per tirarsi indietro. Parlò con riluttanza. — La prima volta l’ho notato quand’ero all’ambasciata. L’ambasciata galleggia nell’atmosfera di Fomalhaut Quattro, un pianeta gigante, gassoso, simile a Giove… Là, dovevamo vivere nell’acqua per sopravvivere alla gravità. Ci avevano messi insieme, Mechanist e Plasmatori, condividevamo l’ambasciata, non c’era altra scelta. Ogni cosa è stata cambiata; anche noi cambiammo… Gli investitori erano venuti a prelevare un contingente mechanist per riportarlo alla Matrice Disaggregata. Credo che la Presenza fosse a bordo della nave degli investitori. Da allora la Presenza è stata con me.
— È reale? — chiese Lindsay.
— Penso di sì. Talvolta quasi la vedo. Una specie di tremolio. Una cosa che ha il colore di uno specchio.
— Cos’hanno detto gli investitori?
— Hanno negato ogni cosa. Hanno detto che soffrivo di allucinazioni. — Esitò. — E non sono stati gli unici a dirlo. — Le dispiacque di averlo confessato così, subito. Ma il fardello era alleviato. Lo guardò, osando sperare.
— Un alieno, allora — disse Lindsay. — E non uno delle diciannove specie conosciute.
— Tu mi credi. Tu pensi che si trovi davvero qui.
— Dobbiamo credere l’uno nell’altro. Così, la vita è migliore. — disse Lindsay. — Ispezionò con ancor maggiore attenzione l’angusta cella intorno a sé, come per mettere alla prova i propri occhi. — Vorrei attirarlo all’aperto.
— Non verrà fuori — dichiarò la ragazza. — Credimi, l’ho implorato molte volte di farlo.
— Non dobbiamo provarci qui — fece Lindsay. — Qualunque manifestazione allarmerebbe Kitsune. Lei si sente sicura, su questo mondo. Dobbiamo considerare i suoi sentimenti.
La sua sincerità la sbalordì. Non le era mai passato per la mente che la sua catturatrice potesse avere dei sentimenti, o che qualcuno potesse avere un rapporto personale con quella titanica massa di carne.
Lindsay prese su il topo, che cominciò a squittire rumorosamente con disperata energia. Lo esaminò con un tale innocente interesse che, prima di riuscire a evitarlo, lei provò una fitta di pietà, uno stimolo a proteggerlo. La sensazione la sorprese e la riscaldò.
Lindsay disse: — Partiremo tra breve… Verrai con noi. — S’infilò il topo nella tasca della sua lunga giacca. L’animaletto vi rimase tranquillo.
La storia della Matrice Disaggregata era una lunga, tormentosa cronaca di mutamenti. La popolazione aveva raggiunto i nove miliardi. All’interno del Consiglio dell’Anello il potere era scivolato via dalle mani narcotizzate degli zen serotonisti. Dopo quarant’anni del loro regno, nuovi ideologi plasmatori avevano abbracciato il progetto del galatticismo visionario.
Il nuovo credo si era diffuso lentamente. Era nato nelle ambasciate interstellari, dove gli ambasciatori infrangevano i limiti umani nella loro lotta per capire i modi di vita alieni. Adesso i profeti del galatticismo erano pronti ad abbandonare completamente l’umanità, per conseguire una coscienza galattica là dove la pura lealtà verso la specie era obsoleta.
Ancora una volta la distensione era stata infranta. I Mechanist e i Plasmatori lottavano con acerrima rivalità per assicurarsi i favori degli alieni. Su diciannove specie aliene, soltanto cinque avevano mostrato anche soltanto un vago interesse ad un rapporto più stretto con l’umanità. I Processori della Nube di Condruli erano disposti a venire, ma soltanto se fosse stato possibile atomizzare Venere per favorirne la digestione. Gli Acquatici del Corallo Nervoso avevano manifestato un vago interesse ad invadere la Terra, ma ciò avrebbe significato infrangere la sacra tradizione dell’Interdetto. Gli Spettri della Cultura erano disposti a unirsi a chiunque riuscisse a sopportarli, ma i loro orrendi effetti sul corpo diplomatico della Matrice Disaggregata li avevano resi oggetto di genuino terrore.
I sacchi-di-gas di Fomalhaut avevano offerto più di chiunque altro. C’erano voluti parecchi anni per padroneggiare la loro “lingua”, che poteva decriversi, nel migliore dei casi, come un insieme di stati instabili in un’atmosfera in movimento. Ma una volta stabilito un vero contatto, i progressi erano stati rapidi. Fomalhaut era una stella enorme con una sterminata coorte di asteroidi ricchi di metalli pesanti.
La coorte degli asteroidi era inutile per i sacchi-di-gas, ai quali i viaggi spaziali non interessavano. Però gli interessava Giove, e avevano in progetto di disseminarlo di krill aerobico. Gli investitori erano disposti ad occuparsi del trasporto, anche se perfino le loro gigantesche navi potevano trasportare soltanto, ad ogni viaggio, un ridotto manipolo di quei sacchi-di-gas, chirurgicamente sgonfiati. La controversia aveva infuriato per anni. I Mechanist avevano una loro fazione galatticista, la quale lottava per mettere a punto una fisica capace di sconvolgere la mente dei sinistri Dirottatori dei Vettori. I dirottatori, come gli investitori, possedevano una tecnica per costruire astronavi più veloci della luce. Gli investitori sarebbero anche stati disposti a vendere il proprio segreto, ma soltanto a un prezzo astronomico. I dirottatori se ne infischiavano dell’umanità, ma qualche volta mostravano un’attenzione assai indiscreta.
Un’avanzata lungo il braccio galattico pareva inevitabile. Una delle due strategie avrebbe avuto successo: quella dei Plasmatori con i loro negoziati diplomatici, o quella dei Mechanist che aggredivano direttamente il problema del volo stellare. Soltanto una delle fazioni maggiori poteva aver successo. Ai gruppi separatisti minori mancavano la ricchezza, gli specialisti, e l’influenza diplomatica. Era andata prendendo forma una sempre più pronunciata bipolarità.
Nel frattempo le larve dei sacchi-di-gas, nelle loro astronaviuovo ispezionavano minuziosamente lo spazio circumsolare. Piccoli gruppi di rinnegati plasmatori e mechanist tracciavano la mappa delle ricchezze di Fomalhaut. Un singolo sistema solare non sarebbe mai più stato sufficiente.
Il crollo della distensione aveva ridestato i vecchi odii. La guerra era rifiorita come gli incendi della boscaglia, senza che i traballanti investitori potessero porvi un freno. Spuntarono nuove bizzarre fazioni, guidate dai diplomatici tornati a casa. Le loro reclute stazionavano ai margini della società: i carnivori, l’armata virale, i coronasferisti.
Il caleidoscopio della storia attuava le sue permutazioni, con un ritmo sempre più serrato, adeguandosi a qualche mal conosciuto crescendo. I modelli cambiavano e si deformavano e volavano in pezzi, ogni chip di luce una vita umana.
Repubblica Corporativa Popolare
di Czarina-Kluster
13-1-’54
Dopo settant’anni di ricchezza e di stabilità, il disastro investì Czarina-Kluster. L’élite della Congrega dei Vitalateralisti s’incontrò in segreto per districarsi dalla crisi.
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