Il Discreto Acquamarina era una cittadella dei vitalateralisti, e la sua sicurezza era assoluta. Un mosaico d’ingrandimenti di Europa, la luna di Giove, copriva le pareti del discreto: una superficie brillante solcata d’un bianco-ghiaccio e di arancio scuro, mari interni in indaco e azzurro. Sopra il brunito tavolo delle conferenze era sospesa un planetario meccanico di Europa, dove le navi spaziali ingioiellate che rappresentavano i satelliti dei vitalateralisti si spostavano in silenzio lungo orbite di fili d’argento. Il cancelliere Abelard Gomez, un vigoroso ottantacinquenne, aveva preso la direzione degli affari della congrega. I suoi più importanti compagni erano il professor Glen Szilard, il consigliere della Regina Fidel Nakamura, e l’attuale moglie di Gomez, il direttore ai progetti Jane Murray. All’estremità opposta del tavolo sedeva il Cancelliere Emerito Abelard Lindsay. Il volto solcato da rughe del vecchio visionario mostrava un sorriso canzonatorio associato ad una massiccia dose di Delirio Verde.
Gomez batté le dita sul tavolo, dando inizio all’incontro. Fecero tutti silenzio, salvo per lo strepito del vecchissimo topo sulla spalla di Lindsay. — Scusate — disse Lindsay. Prese il topo e se lo mise in tasca.
Gomez riprese il controllo dell’assemblea. — Fidel, il tuo rapporto.
— È vero, Cancelliere: la Regina è scomparsa.
Gli altri gemettero. Gomez parlò con tono secco: — Ha disertato o è stata rapita?
Nakamura si asciugò la fronte. — Wellspring l’ha portata con sé. Soltanto lui può rispondere a questa domanda. I miei co-consiglieri sono in subbuglio. Il coordinatore sta mandando fuori i cani. Ha perfino tirato fuori le tigri dalla naftalina. Vogliono prendere e processare Wellspring per alto tradimento. Non avranno pace fino a quando non l’avranno preso.
— O fino a quando Czarina-Kluster non gli sarà crollata intorno — interloquì Gomez. Un’atmosfera cupa calò nella stanza. — Le tigri — proseguì Gomez. — Le tigri sono gigantesche macchine. Potrebbero lacerare le pareti di questo discreto come se fossero carta. Non dobbiamo incontrarci di nuovo fino a quando non ci saremo armati e avremo stabilito dei perimetri sicuri.
Szilard intervenne: — I nostri cani hanno sotto controllo le uscite di questo sobborgo. Io sono pronto a sottopormi ai test della fedeltà. Possiamo purgare il sobborgo dagli ideologi ostili e farne il nostro bastione, mentre Czarina-Kluster si sfascia.
— È dura — commentò Jane Murray.
— Noi o loro — ribadì Szilard. — Non appena la notizia si diffonderà, le altre fazioni organizzeranno dei tribunali spontanei, insediando le proprie roccaforti, spogliando i dissidenti delle loro proprietà. L’anarchia sta arrivando. Dobbiamo difenderci.
— E i nostri alleati? — chiese Gomez.
Nakamura parlò: — Secondo i nostri contatti con la Congrega del Policarbonio, l’annuncio del colpo di stato di Wellspring coinciderà con il primo impatto asteroidale su Marte, il mattino del 14-4-’54… Czarina-Kluster si disintegrerà nel giro di poche settimane. La maggior parte dei profughi di Czarina-Kluster fuggirà verso un’orbita intorno a Marte. È là che Wellspring tiene la Regina. Sarà lui a governare. La nuova Kluster-Terraformante avrà un’ideologia postumana molto più forte.
— I Mech e i Plasmatori faranno a pezzi Czarina-Kluster — disse Jane Murray. — E la nostra filosofia trarrà vantaggio da quella distruzione… Questo è alto tradimento, amici. Mi sento male.
— La gente sopravvive alle nazioni — dichiarò Lindsay, gentilmente. Stava respirando con inumana regolarità: una biocorazza mechanist controllava i suoi organi interni. — Czarina-Kluster è condannata. Non ci sono né cani né purghe che possano tenerla insieme, senza la Regina. Qui siamo finiti.
— Il Cancelliere Emerito ha ragione — annuì Gomez. — Dove andremo? Dobbiamo decidere. Ci uniamo alla Congrega del Policarbonio intorno a Marte, per vivere all’ombra della Regina? Oppure noi stessi ci spostiamo in orbita circumeuropide e mettiamo in pratica i nostri piani?
— Io dico Marte — dichiarò Nakamura. — Nel clima attuale, il postumanismo ha bisogno di ogni possibile aiuto. La Causa esige solidarietà.
— Solidarietà? Fluidarietà, piuttosto — replicò Lindsay. Si rizzò a sedere con uno sforzo. — Che cos’è una Regina in più o in meno? Ci sono sempre altri alieni. Un giorno il postumanismo dovrà pure trovare la sua orbita… Perché non adesso?
Mentre gli altri discutevano, Gomez guardava di cattivo umore, attraverso gli occhi semichiusi, il suo vecchio mentore. I residui di un antico dolore lo rodevano. Non poteva dimenticare il suo lungo matrimonio con la favorita di Lindsay, Vera Constantine. C’erano state troppe ombre fra lui e Vera.
C’era stata una volta, in cui avevano spinto da parte le ombre. Ed era stato allora che lei aveva confessato a Gomez che aveva avuto l’intenzione di uccidere Lindsay. Lindsay non aveva fatto nessuna mossa per difendersi, e c’erano state molte occasioni favorevoli, ma il momento non era mai stato del tutto giusto. E gli anni erano trascorsi. E le convinzioni avevano cominciato a tentennare, finendo seppellite nella routine e nelle cose pratiche di ogni giorno. Ed era giunto il momento, infine, in cui lei aveva saputo che non avrebbe mai potuto farlo. L’aveva confessato a Gomez, poiché si fidava di lui. E si erano amati.
Gomez l’aveva allontanata dalla vendetta. Lei aveva abbracciato il postumanismo. Perfino il suo clan aveva finito per aderirvi. Il clan di Constantine adesso era quello dei pionieri vitalateralisti, che operavano intorno ad Europa.
Ma lo stesso Gomez non era sfuggito allo scorrere degli anni. Il tempo aveva un suo proprio modo per trasformare le passioni in lavoro. Lui aveva quello che voleva. Aveva il suo sogno. Doveva viverlo, respirarlo, e farne il bilancio. E aveva perso Vera, poiché era rimasta ancora un’ombra.
Vera non era mai stata del tutto sana di mente. Per anni aveva tenacemente e con calma insistito che una Presenza aliena la seguiva e l’osservava. Pareva che andasse e venisse a seconda dell’altalena dei suoi umori; per giorni Vera era allegra, convinta che la Presenza “se ne fosse andata via da qualche altra parte”; poi la trovava di nuovo imbronciata e ritirata in se stessa, convinta che la Presenza fosse tornata.
Lindsay le faceva grazia della malattia e sosteneva di crederle. Anche Gomez credeva nella Presenza: ma era convinto che fosse, in realtà, il riflesso dell’estraniamento di sua moglie dalla realtà. Non per niente l’aveva chiamata “una cosa dal colore dello specchio…”. Qualcosa che non poteva venir determinato, l’incarnazione d’una fluidità inverificabile… Quando Gomez era arrivato al punto, quando lui stesso aveva finito per sentirla, percependo perfino il suo tremolio agli angoli della visione, aveva saputo che le cose erano andate troppo in là. Il loro divorzio era stato amabile, colmo d’una gelida cortesia.
Si chiedeva, a volte, se non fosse stato Lindsay a organizzare tutto. Lindsay conosceva la trappola rappresentata dalla gioia umana, e la forza che derivava dal liberarsene a colpi di artiglio. Scottato dal dolore, Gomez aveva vinto quella forza… Szilard stava snocciolando fatti e cifre sullo stato di Circumeuropa. Il futuro habitat dei vitalateralisti stava venendo gonfiato nella posizione prevista intorno alla luce di Giove, una schiuma orbitante fatta di angoli, pareti e rigide topologie a bolla. Il fiorente clan di Constantine stava già disponendo il serpeggiante impianto idraulico attraverso le pareti e installando il sistema di sopravvivenza. Ma un tentativo da parte dei vitalateralisti di trasferirsi lì in massa, a migliaia, avrebbe impegnato le loro risorse fino all’estremo limite.
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