Bruce Sterling - La matrice spezzata

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È considerata l'opera che, insieme a Neuromante (1984) di William Gibson, ha dato inizio alla stagione della narrativa Cyberpunk.
Definito da Sterling stesso come il favorito tra i suoi libri, “La matrice spezzata” racconta di un mondo in cui l'umanità è divisa tra i rivoluzionari Shaper, favorevoli a un'umanità biologica, in lotta contro gli aristocratici Mechanist (che vorrebbero imporre il dominio della macchina) per il definitivo controllo del genere umano. Il volume comprende un romanzo e cinque racconti pubblicati tra il 1982 e il 1984, ambientati nello stesso sfondo fanta-storico e che costituiscono una sorta di minisaga, quasi una summa dell'intenso universo sterlinghiano.
Nominato per il premio Nebula per miglior romanzo in 1985, premio BSFA in 1986.

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Lindsay aprì infine il contenitore. All’interno c’era una bobina grigio-ferro con dieci centimetri di nastro-guida biancastro. Lindsay mise da parte il coperchio (il sottile metallo era pesante come il piombo alla gravità degli investitori) e poi s’immobilizzò. Il nastro si era messo a frusciare nella scatola. L’estremità del nastro-guida scattò verso l’alto, torcendosi, e tutto il nastro cominciò a srotolarsi. Si sollevò, sferzando l’aria e increspandosi, deboli barbagli di colore in apparenza casuali si avvolgevano come tante spire per la sua lunghezza. In pochi istanti aveva formato una sorta di nuvola aperta di nastro brillante, sorreggendosi a un reticolo rigido e semiappiattito.

Lindsay, sempre inginocchiato e muovendo solamente gli occhi, osservava guardingo. Si rese conto che l’estremità bianca era la testa della creatura-nastro. La testa si muoveva su un lungo cappio allungato, controllando la stanza in cerca di movimenti.

La creatura-nastro continuò a muoversi incessantemente, allungandosi fino a formare una massa aperta di spirali ed eliche. Allentato al massimo, finì per formare una sorta di gomitolo di spago rigonfio e barcollante, alto quanto un uomo. Le sue volute di sostegno, irrigidite, frusciavano con un sottile raschiamento sul pavimento.

A tutta prima, lui aveva pensato che si trattasse di una macchina. Una macchina pericolosa, poiché gli orli del nastro animati da continue contorsioni erano affilati come rasoi. Ma nel modo in cui si srotolava c’era una fluidità organica non programmata.

Lindsay non si era ancora mosso. Sembrava che la creatura non fosse in grado di vederlo.

Scosse violentemente la testa, e i massicci occhiali parasole sulla sua fronte volarono attraverso la stanza. La testa del nastro volò subito al loro inseguimento.

La mimica cominciò dalla coda. Il nastro si rimpicciolì, accartocciandosi come una palla di carta da imballaggio, abbozzando la forma degli occhiali parasole, ripiegandosi strettamente. Prima di aver completato del tutto l’opera, il nastro parve però perdere interesse. Esitò, osservando gli occhiali parasole che rimanevano inerti, poi si sfaldò in una massa sciolta che sferzava l’aria.

Mimò brevemente la forma accucciata di Lindsay, arrotolandosi in una scultura di nastro frusciante nella dimensione d’un uomo con la bocca spalancata. La colorazione imitò rapidamente quella ruggine su nero della sua tuta. Poi la testa del nastro guardò altrove e l’immagine volò in pezzi, con i colori che cambiavano in una cascata di pulsazioni irregolari.

Il nastro tremolò, mentre Lindsay guardava. La sua testa bianca esaminò lentamente l’intera scena, tutt’intorno, quasi furtivamente. Lampeggiò d’un marrone fangoso, il colore della pelle degli investitori. Lentamente una memoria biologica, o cibernetica, ne prese il controllo. Cominciò ad affardellarsi e a spiegazzarsi in una nuova forma. Prese consistenza l’immagine d’un piccolo investitore. Lindsay era eccitato. Nessun essere umano aveva mai visto un investitore bambino, e si supponeva che fossero molto rari. Ma ben presto Lindsay capì dalle proporzioni che il nastro stava modellando una femmina adulta. Il nastro era troppo piccolo per formare una replica in grandezza naturale, ma l’accuratezza del modello, anche se alto soltanto fino al ginocchio, lo lasciò stupefatto. Minuscole vesciche riproducevano la pelle dura e sassosa del cranio e del collo; i minuscoli occhi, due protuberanze colorate, avevano un’espressione tranquilla.

Lindsay provò un brivido. Riconobbe l’individuo. E l’espressione era d’un ottuso dolore animale. Il nastro stava riproducendo l’immagine del comandante investitore. Ansimava, le sue costole dal profilo d’una botte si alzavano e si abbassavano. Era goffamente accosciata, una mano artigliata allargata sopra ciascuno dei ginocchi spinti verso l’alto. La bocca si apriva come in preda agli spasimi, mostrando dei denti a paletta malamente imitati e le pareti cave, sottili come carta, della riproduzione in scala ridotta della testa del modello. Il comandante della nave stava male. Nessuno aveva mai visto un investitore ammalato. La stranezza della cosa, pensò Lindsay, doveva essere rimasta impressa nella memoria del nastro. Quella era un’occasione da non perdere. Con glaciale lentezza, Lindsay aprì la chiusura-lampo della sua tuta ed espose il videomonocolo appeso alla catenella. Cominciò a filmare.

Il ventre squamoso si rinserrò, e due orli di nastro si aprirono alla base della massiccia coda del modello. Comparve una massa bianca, rotonda, con un luccichio di bagnato, un bolo oblungo di nastro strettamente avvolto: un uovo.

Fu un processo lento, doloroso. L’uovo era coriaceo: le contrazioni dell’ovidotto lo comprimevano, spingendolo in avanti. Finalmente fu libero, anche se era ancora collegato al corpo procreatore da un tratto di nastro trasparente. L’immagine del comandante-investitore ruotò, strascicandosi, poi si chinò ad esaminare l’uovo con un’intensità rapita, nauseata.

Lentamente allungò le enormi mani, raschiò l’uovo, si annusò le dita. La sua frangia cominciò a sollevarsi, irrigidita, inturgidita dal sangue. Le braccia le tremavano. Attaccò l’uovo. Ne morse selvaggiamente l’estremità più appuntita, penetrando come la lama di un coltello nel guscio coriaceo con quei denti malamente imitati. Comparve un nastro giallo, un tuorlo dalla consistenza simile a quella del formaggio fuso.

Il comandante banchettò, le braccia fatte di nastro ingiallirono a causa di quella viscida melma esplosa. La frangia sporse dietro la sua testa, irrigidita dal furore. La furtiva sgradevolezza del suo crimine era inequivocabile: valicava facilmente la barriera fra le specie, tanto quanto la ricchezza.

Lindsay mise via il suo monocolo. Il nastro, attirato dal suo movimento, slacciò la propria testa e si sollevò incerto. Lindsay agitò le braccia verso di lui e il modello si disfece di colpo in un groviglio. Lindsay si alzò in piedi e cominciò a trascinare il suo corpo avanti e indietro nella pesante gravità. Il nastro osservò, arrotolandosi e guizzando.

Cartello Dembowska
10-10-’53

Lindsay discese barcollando la rampa di accesso, i suoi guanti-piede ormai consumati, slittavano. Dopo la luce abbagliante a bordo della nave interstellare, l’area di sbarco gli parve fosca, subacquea. Fu colto da una sensazione di vertigine. Forse avrebbe potuto farcela in caduta libera, ma la debole gravità dell’asteroide di Dembowska gli scombussolava lo stomaco.

L’atrio conteneva un gran numero di viaggiatori provenienti dagli altri cartelli mechanist. Non aveva mai visto tanti Mech in un solo posto, e suo malgrado quello spettacolo lo allarmò. Davanti a lui, bagagli e passeggeri entravano nelle passatoie di controllo della dogana. Più oltre, alle loro spalle, s’intravedevano le vetrine dei duty-free-shop di Dembowska.

D’un tratto Lindsay rabbrividì. Non aveva mai sentito l’aria così fredda. Una corrente gelida filtrava attraverso la sua tuta sottile, e il tessuto flessibile dei suoi guanti-piede. Il suo alito si condensava in nuvole di vapore. Stordito, si diresse verso la dogana.

Una giovane donna lo aspettava subito davanti al posto di dogana, in rilassato equilibrio sulla punta di uno stivale. Indossava una calzamaglia scura e una giacca dal collo di pelliccia. — Capitano-dottore? — gli chiese.

Lindsay si arrestò con difficoltà, stringendo il tappeto con le dita dei piedi.

— La valigia, prego. — Lindsay porse la sua vecchia valigetta diplomatica, imbottita di dati rubacchiati dagli archivi di Kosmosity. La donna lo prese per un braccio con fare amichevole, guidandolo attraverso una porta anonima al di là degli analizzatori della dogana. — Sono la moglie-poliziotta Greta Beatty. Sono il suo ufficiale di collegamento. — Scesero una rampa di scale fino a un ufficio. Greta porse la valigetta a una donna in uniforme e ricevette in cambio una busta affrancata.

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