— Mi riposerò più tardi — replicò Nora. La tensione le aggrovigliava il collo e le spalle.
— Riposati ora. Prendi l’altro sedile. Se chiuderai gli occhi e dormirai un poco… qualche istante di distensione…
— Non verrò con te. — Nora si tolse i propri occhiali parasole e si sfregò la sommità del naso. L’illuminazione della cabina era la luce preferita dagli investitori, una vampa ardente bianco-azzurra, sbordante nell’ultravioletto.
Nora odiava quella luce. In qualche modo aveva sempre provato risentimento nei confronti degli investitori, per aver derubato del suo significato la morte della sua famiglia. E i tre mesi che una volta aveva trascorso in una nave come quella erano stati il periodo più alienante della sua vita. Lindsay si era adattato rapidamente, un cane solare consumato, disposto a trattare con gli alieni come sarebbe stato disposto a fare con chiunque altro. Allora Nora si era interrogata su questo fatto. E adesso avevano completato il cerchio.
Lindsay riprese: — Sei arrivata fin qui. Non l’avresti fatto se non avessi voluto venire con me. Io ti conosco, Nora. Sei sempre la stessa, anche se io sono cambiato.
— Sono venuta perché volevo essere con te ogni momento possibile. — Ricacciò indietro le lacrime, il volto immobile. La sensazione era orribile, una nausea nera. Troppe lacrime, rifletté, erano state respinte per troppo tempo. Sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbero finito per soffocarla.
Constantine aveva usato ogni debolezza in Goldreich-Tremaine, pensò Nora. E la mia speciale debolezza è stato quest’uomo. Quando Abelard era tornato dalla clinica del ringiovanimento, tre settimane più tardi, era così cambiato che i robot della loro casa non avevano voluto lasciarlo entrare… Ma anche questo non era stato brutto come i giorni che aveva passato senza di lui, a cercarlo, scoprendo che la subolla del mercato nero dov’era andato era stata sgonfiata e riposta da qualche parte, chiedendosi quale furtiva Camera Stellare lo stesse facendo a pezzi.
— Questa è colpa mia — disse. — Ho accusato Constantine senza nessuna prova, e lui mi ha umiliato. La prossima volta saprò come comportarmi.
— Constantine non ha avuto niente a che fare con tutto questo — replicò Lindsay. — So cos’ho visto in quella clinica. Erano superintelligenti.
— Non riesco a credere nei cataclisti — disse ancora Nora. — Quei superintelligenti vengono sorvegliati come gioielli; non hanno spazio per delle inverosimili cospirazioni. Quello che hai visto era un imbroglio, è stata tutta una messa in scena per farmi uscire allo scoperto. Ed io ci sono cascata.
— Non essere orgogliosa, Nora. L’orgoglio ti acceca. I cataclisti mi hanno rapito, e tu non vuoi neppure ammettere che esistano. Non puoi vincere perché non puoi riportare indietro il passato. Lascia andare, e vieni con me.
— Quando vedo quello che Constantine ha fatto alla Congrega…
— Non è colpa tua! Mio Dio, non ci sono già abbastanza disastri senza che tu stia ad ammucchiarli tutti sopra le tue spalle? Goldreich-Tremaine è finita! Adesso dobbiamo vivere! Anni fa ti avevo già detto che non poteva durare, e adesso è finita! — Spalancò le braccia di scatto. Quello sinistro, attirato dalla gravità, ricadde floscio. L’altro, pieno d’energia, roteò senza sforzo descrivendo un arco.
Avevano discusso la cosa cento volte, e Nora vide che i suoi nervi si erano logorati. Sotto l’influenza del trattamento la sua pazienza, conquistata duramente, era scomparsa nell’avvampare della falsa giovinezza. Ora lui stava urlando: — Non sei Dio! Non sei la storia! Non sei il Consiglio dell’Anello! Non lusingarti! Adesso non sei più niente, sei un bersaglio, un capro espiatorio! Scappa, Nora! Canesolarìzzati!
— Il clan dei Mavrides ha bisogno di me — lei insisté.
— Stanno meglio senza di te. Adesso per loro tu sei un imbarazzo. Lo siamo tutti e due.
— E i bambini?
Lindsay rimase silenzioso per un attimo. — Mi spiace per loro. Mi spiace più di quanto non riesca a dire, ma adesso sono adulti e possono rischiare da soli. Qui non sono loro, il problema. Noi lo siamo! Se renderemo facili le cose per il nemico, sgusciando via, evaporando, verremo dimenticati. E intanto potremo aspettare la nostra occasione.
— Dando ai fascisti la vittoria in tutto? Gli assassini, gli uccisori. Quanto tempo ancora, prima che la Cintura si riempia di nuovo di agenti dei Plasmatori, e le piccole guerre avvampino in ogni angolo?
— E chi lo impedirà? Tu?
— E tu, Abelard? Vestito da puzzolente mechanist, con dati rubati ai Plasmatori in quella valigetta! Non pensi mai alla vita di qualcun altro al di fuori della tua. Ma perché, in nome di Dio, non ti ergi a difesa degli impotenti, invece di tradirli? Pensi che sia più facile per me senza di te. Io continuerò a combattere, ma senza di te non ci sarà più nessun cuore in me.
Lindsay gemette. — Ascolta. Prima che c’incontrassimo, ero un cane solare, sai quanto poco io… Non voglio quel vuoto, nessuno che si cura di me, nessuno che sa… E un altro tradimento sulla mia coscienza… Nora, abbiamo avuto quasi quarant’anni! Questo posto è stato buono per noi, ma sta finendo in pezzi da solo! I bei tempi torneranno di nuovo. Avremo a disposizione tutto il tempo che vogliamo! Volevi dell’altra vita, ed io sono uscito e l’ho ottenuta per te. Adesso, tu vuoi che la butti via. Non ho intenzione di fare il martire, Nora. Per nessuno.
— Hai sempre parlato di mortalità — lei ribatté. — Adesso sei diverso.
— Se sono cambiato, è perché tu volevi che lo facessi.
— Non così. Non col tradimento.
— Moriremo per niente.
— Come gli altri — disse lei, dispiacendosene subito. Ed eccolo là davanti a loro: l’antico senso di colpa in tutta la sua totalizzante intimità. Gli altri per cui il dovere era più della vita. Quelli che avevano abbandonato, quelli che avevano ucciso nell’avamposto dei Plasmatori. Quello era il crimine che loro due avevano lottato per cancellare, il crimine che li aveva legati insieme. — Be’, è quello che mi chiedi di fare, non è vero? Di tradire la mia gente per te!
Ecco. Lo aveva detto. Adesso non c’era nessun modo per tornare indietro. Nora aspettava in preda al dolore le parole che l’avrebbero svincolata da lui.
— Voi eravate la mia gente — lui proseguì. — Avrei dovuto sapere che non ne avrei mai avuta una a lungo. Sono un cane solare ed è il mio modo di vivere, non il tuo. Sapevo che non saresti venuta. — Appoggiò la testa contro le dita nude del suo braccio artificiale. Le luci penetranti si riflessero vivide sull’aspro metallo. — Rimani per lottare, allora. Potresti vincere, credo. — Era la prima volta che le mentiva.
— Ma posso vincere — disse Nora. — Non sarà facile, non avremo tutto quello che abbiamo avuto, ma non siamo ancora battuti. Rimani, Abelard, per favore! Ho bisogno di te. Chiedimi qualunque cosa, salvo che di rinunciare a combattere.
— Non posso chiederti di cambiare — replicò suo marito. — La gente cambia soltanto se gliene dai il tempo. Un giorno questa cosa che ci ha ossessionato si esaurirà, se vivremo entrambi. Credo che l’amore sia più forte della colpa. Se lo è e un giorno sentirai che i tuoi obblighi non hanno più bisogno di te, allora mi verrai dietro. A cercarmi…
— Lo farò, te lo prometto. Abelard… Se verrò uccisa come gli altri, e tu continuerai a vivere al sicuro, allora dimmi che non mi dimenticherai.
— Mai. Lo giuro su tutto ciò che c’è stato fra noi.
— Addio… allora. — Nora si arrampicò sull’enorme sedile degli investitori per baciarlo. Sentì la sua mano d’acciaio che le passava sul polso come una manetta. Nora gli diede un leggero bacio, poi d’impulso accennò ad avvinghiarsi a lui, ma Lindsay la lasciò andare.
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