Una nave commerciale
degli investitori
29-9-’53
Lindsay giaceva sul pavimento della sua cavernosa cabina di lusso, respirando profondamente. L’atmosfera carica di ozono della nave degli investitori gli faceva prudere il naso, che era bruciato dal sole malgrado gli olii impiegati per proteggersi. Le pareti della cabina erano di metallo annerito, costellato di orifizi blindati; da uno di essi sgorgava un rivolo di acqua distillata, che ricadeva mollemente nell’intensa gravità.
Quella cabina aveva conosciuto un uso molto frequente. Leggere graffiature riempivano di simboli cuneiformi il pavimento e le pareti, fin quasi al soffitto. Gli umani non erano i soli passeggeri a pagare una tariffa agli investitori.
Secondo la moderna eso-sociologia dei Plasmatori, gli stessi investitori non erano i primi proprietari di quelle navi stellari. Ricoperto da mosaici vanagloriosi e da bassorilievi metallici, ogni apparecchio degli investitori pareva unico. Ma un’analisi accurata mostrava la sottostante struttura basilare: esagoni smussati a prua e a poppa, con sei lunghe facce laterali rettangolari. Era opinione corrente che gli investitori avessero comperato le loro navi, o le avessero trovate. O rubate.
Il guardiamarina gli aveva dato un giaciglio, un ampio materasso piatto con un disegno a esagoni marrone e bianchi, fatto su misura per gli investitori. La sua superficie era ruvida come tela di sacco. Aveva un vago sentore dell’olio-di-squama degli investitori.
Lindsay aveva saggiato la parete metallica della sua cabina, interrogandosi sulla natura dei graffi. Malgrado la parete desse l’impressione di essere leggermente granulosa, le cerniere d’acciaio dei suoi guanti-piede vi scivolavano sopra come se fosse vetro. Comunque, avrebbe potuto ammorbidirsi sotto pressioni e temperature estreme. Una bestia molto grossa fornita di artigli che galleggiasse in una pozza di etano liquido ad alta pressione, per esempio, poteva aver raschiato le pareti nel tentativo di scavare una galleria per scappare.
La gravità era dolorosa, ma le luci della cabina erano state attenuate. La cabina era gigantesca e priva di arredi. I suoi indumenti appesi ai ganci magnetici sparsi qua e là parevano patetici rottami.
Era strano che gli investitori avessero lasciato spoglia una stanza, anche se fungeva da zoo. Lindsay giacque là in silenzio, cercando di riprender fiato, riflettendo sulla cosa.
Il portello blindato risuonò, poi si aprì. Lindsay si rizzò dal pavimento aiutandosi con il braccio artificiale, l’unico arto che non gli facesse male a causa della gravità. Sorrise. — Sì, guardiamarina. Novità?
Il guardiamarina entrò nella stanza. Era piccolo, per un guardiamarina, più alto di Lindsay appena di un avambraccio, e la sua corporatura robusta era accentuata dalla sua abitudine da uccello di tenere la testa abbassata. Pareva più un membro dell’equipaggio che un guardiamarina. Lindsay lo studiò soprappensiero.
Gli accademici stavano ancora elaborando ipotesi sulla struttura gerarchica degli investitori. I comandanti delle navi erano sempre femmine, le uniche femmine a bordo delle navi. Erano il doppio più grandi dei maschi dell’equipaggio, di corporatura massiccia. Alle loro dimensioni si accompagnava una calma pigra, una laconica presunzione di autorità. I guardiamarina erano secondi in comando, una combinazione di diplomatici e ministri. Il resto dell’equipaggio formava un adorante harem maschile. Gli sgattaiolanti maschi dell’equipaggio con i loro occhi luminosi come perle pesavano tre volte più d’un normale maschio umano, ma intorno ai loro mostruosi comandanti parevano fragili creature svolazzanti.
Le frange erano la principale esibizione cinetica. Gli investitori, che assomigliavano a dei rettili, avevano lunghe frange scanalate dietro la testa, una pelle translucida dai colori dell’arcobaleno percorsa da una rete di vasi sanguigni. Le frange si erano evolute per facilitare il controllo della temperatura; potevano venir allargate a ventaglio per assorbire la luce del sole, o aperte all’ombra per restituire il calore in eccesso. Nella vita civilizzata gli investitori erano una reliquia, allo stesso modo delle sopracciglia umane, che si erano evolute per deflettere il sudore dagli occhi. Adesso, come le sopracciglia, il loro uso sociale era diventato predominante.
La frangia del guardiamarina inquietava Lindsay. Tremolava troppo. Un rapido tremolio veniva di solito interpretato come un segno di divertimento. Negli esseri umani i movimenti muscolari relativi a una rauca risata, o a un risolino nervoso, erano un segno di profonda tensione. Lindsay, malgrado il suo interesse professionale, non aveva nessun desiderio di essere il primo ad assistere a una crisi isterica di un investitore. Sperò che si trattasse soltanto d’un istintivo atteggiamento di ripugnanza nei suoi confronti. Quella nave era arrivata di recente nel sistema solare, e il suo equipaggio non era abituato all’umanità.
— Nessuna notizia, Artista — disse il guardiamarina, in un faticoso inglese commerciale. — Soltanto un’ulteriore discussione sul pagamento.
— Un buon affare — replicò Lindsay, in investitore. La gola gli fece male per quell’acuto flautare, ma lo preferiva ai bizzarri tentativi del guardiamarina per padroneggiare la lingua umana.
Quel guardiamarina non era come il primo da lui incontrato. Quell’investitore era stato conciliante e cortese, il suo vocabolario carico di scorrevoli anche se poco convincenti cliché spulciati dalle trasmissioni televisive umane. Quel nuovo guardiamarina stava facendo un evidente sforzo per riuscire a parlare.
Era chiaro che gli investitori avevano mandato i loro elementi migliori per il primo contatto. Ora, dopo trentasette anni, pareva che il sistema solare venisse considerato sicuro anche per gli elementi più scadenti tra gli investitori. — Il nostro comandante ti vuole su nastro — disse il guardiamarina, in inglese.
Lindsay portò automaticamente la mano alla sottile catena che gli avvolgeva il collo. Il suo videomonocolo con il prezioso film di Nora era appeso là. — Ho un nastro per la maggior parte vuoto. Non posso cederlo, ma…
— La nostra comandante è molto legata al suo nastro. Il suo nastro ha moltissime altre immagini ma nessuna della tua specie. Lei lo studierà.
— Vorrei avere un’altra udienza con la comandante — disse Lindsay. — La prima è stata così breve… Mi sottoporrò con gioia alla registrazione. Hai la tua telecamera?
Il guardiamarina sbatté gli occhi, la lucida membrana nittitante tremolò verso l’alto sopra il suo bulbo oculare scuro e sporgente. La penombra della stanza pareva metterlo a disagio. — Ho il nastro. — Aprì la sua valigetta sovraspalla e tirò fuori un contenitore piatto e rotondo. Strinse il contenitore fra due delle sue enormi dita dei piedi e lo appoggiò sul pavimento color grigio metallico. — Aprirai il contenitore. Poi farai dei movimenti divertenti e caratteristici della tua specie che il nastro vedrà. Continua a farlo finché il nastro non ti avrà capito.
Lindsay fece oscillare la mandibola da parte a parte imitando l’annuire degli investitori. Il guardiamarina parve soddisfatto. — Parlare non è necessario. Il nastro non sente il suono. — L’investitore si girò verso la porta. — Tornerò a prendere il nastro fra due delle tue ore.
Rimasto solo, Lindsay studiò il contenitore, il coperchio metallico rugoso e dorato era grande come entrambe le sue mani completamente spalancate. Prima di aprirlo aspettò un attimo, assaporando tutto il proprio disgusto. Era rivolto tanto verso se stesso quanto verso i suoi ospiti.
Gli investitori non avevano chiesto di venir deificati; semplicemente avevano perseguito i propri guadagni. Erano stati per secoli consapevoli dell’esistenza dell’umanità. Del resto, erano assai più vecchi dell’umanità. Ma si erano saggiamente astenuti dall’interferire fino a quando non avevano visto che avrebbero potuto estorcere un decente guadagno dalla specie. Dal punto di vista degli investigatori, le loro azioni erano semplici e chiare.
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