“No, tu non ci vai”, l’aveva rimproverata Nightshade. “Tu ritorni alla taverna. Dobbiamo aspettare Rhys!”
“No”, aveva ribattuto Mina. “Devo andare a Godshome altrimenti il conflitto non farà che peggiorare.”
Nightshade non capiva come la situazione potesse peggiorare granché rispetto a com’era, ma evitò di dirlo. Invece aveva risposto stizzito: “Allora stai andando nella direzione sbagliata. Godshome è a nord, e tu stai andando a ovest. Siamo diretti a Haven”. Aveva puntato il dito. “Quella lì è la strada verso nord.”
“Non ti credo”, gli aveva detto Mina. “Stai mentendo, cerchi di imbrogliarmi.”
“Non è vero”, aveva ribattuto rabbiosamente Nightshade.
“Invece sì.”
“Invece no!”
“Invece…”
“Hai tu la carta geografica”, aveva urlato alla fine Nightshade. “Guarda tu stessa.”
Mina l’aveva guardato di sottecchi. “Io non ho la carta.”
“Invece sì”, aveva detto Nightshade. “Ricordi? Io l’avevo aperta laggiù vicino a Flotsam e poi tu hai deciso che avremmo camminato svelti e…”
Si era interrotto. Mina si mordeva il labbro e con la punta della scarpa tracciava solchi nel terreno.
“Non mi dirai che l’hai…” aveva bofonchiato Nightshade con un gemito.
“Stai zitto”, aveva ribattuto Mina, con occhio torvo.
“Hai lasciato laggiù la mia carta geografica! Laggiù lontano! Dall’altra parte del mondo!”
“Non l’ho lasciata lì io. L’hai lasciata tu. È stata colpa tua!” aveva risposto lei furiosa.
Nightshade era stato preso tanto alla sprovvista da questa accusa che si era ridotto a farfugliare.
“Dovevi prendere tu la carta e portartela dietro”, aveva proseguito Mina. “La carta era una tua responsabilità perché era la tua carta. Adesso io non so quale strada imboccare.”
Nightshade aveva guardato Atta in cerca di aiuto, ma la cagna si era sdraiata a terra sul ventre restandosene lì col muso fra le zampe. Quando Nightshade si fu calmato abbastanza da poter parlare senza sputacchiarsi addosso, aveva esposto la sua spiegazione. “Avrei preso la carta, ma tu mi hai trascinato via tanto rapidamente che non ne ho avuto occasione.”
“Non parliamone più”, aveva detto petulante Mina. “Tu hai perso la carta e allora che cosa vuoi fare?”
“Ti dico io che cosa facciamo. Tu te ne torni alla taverna e io vado a cercare Rhys e poi faremo tutti una bella cena. Dopo tutto è la serata di pollo e…”
Però Mina non lo ascoltava. Era andata da un gruppo di sfaccendati che se ne stavano sulla strada fuori da una taverna con i boccali di birra in mano, discutendo ebbri se dovessero andare o no a vedere che cosa fosse quel tafferuglio.
“Scusatemi, signori”, aveva detto Mina. “Quale strada devo prendere per andare a nord?”
“Da quella parte, sorellina”, aveva risposto uno dei giovanotti, con un rutto e un vago gesto della mano.
“Te l’avevo detto”, aveva commentato Nightshade.
Mina aveva raccolto la bisaccia, se l’era gettata sulle spalle e si era incamminata.
Nightshade si era reso conto subito di avere commesso un errore. Avrebbe dovuto dire che non conosceva la strada verso nord e che dovevano aspettare Rhys. Ormai era troppo tardi. L’aveva osservata allontanarsi, sola e abbandonata, e aveva valutato se andarsene o no, ma sapeva che Rhys non avrebbe voluto che lui la lasciasse sola. Però Nightshade non sapeva come potesse rendersi utile. Mina non lo ascoltava mai comunque.
Aveva guardato Atta, che se ne stava seduta sulle zampe posteriori e lo guardava. La cagna non gli aveva offerto consigli. Con un profondo sospiro, Nightshade aveva preso ad arrancare dietro a Mina, e adesso erano di nuovo assieme, diretti a nord verso Godshome senza Rhys.
Nightshade continuava a cercare di persuadere Mina a tornare alla taverna, ma lei continuava a rifiutarsi categoricamente. La discussione li occupò per diversi chilometri fuori da Solace, dopo di che Nightshade finalmente rinunciò e risparmiò il fiato per camminare. Era grato almeno per una cosa: poiché non avevano la carta geografica, Mina non poteva correre a passo di divinità. Doveva camminare come una persona normale.
Nightshade poteva soltanto sperare che Rhys li trovasse prima o poi, anche se il kender non vedeva come. Rhys li avrebbe creduti feriti, morti o nascosti da qualche parte… Forse lo stesso Rhys era ferito o morto…
“Non voglio pensarci”, si disse Nightshade.
Camminarono per tanto, tanto tempo. Nightshade sperava che Mina prima o poi si stancasse e desiderasse riposare e, ogni volta che raggiungevano una taverna lungo la strada, suggeriva con insistenza che si fermassero. Mina si rifiutava e proseguiva di fretta, trascinandosi dietro la bisaccia nella polvere.
I viandanti che incontravano lungo la strada si fermavano a osservare quello strano terzetto. Se qualcuno cercava di avvicinarsi a Mina, Atta ringhiava, avvertendo gli estranei di tenersi a distanza. Nightshade stralunava gli occhi e allargava le mani per indicare che non poteva farci niente.
“Se incontrate un monaco di Majere di nome Rhys Mason, ditegli che ci avete visti e che stiamo andando a nord”, gridava.
La strada proseguiva, e loro pure. Nightshade non aveva idea di quanto lontano fossero arrivati, ma non riusciva più a vedere Solace. La strada maestra si era ridotta di dimensioni e non era nemmeno tanto agevole, e poi, senza preavviso, la strada diretta a nord finì. Una grande montagna ostruiva il passaggio, e la strada la aggirava, biforcandosi verso est e verso ovest.
“Da che parte andiamo?” domandò Mina.
“Come faccio a saperlo?” brontolò Nightshade. “Tu hai perso la carta, ricordi? Comunque questo è un bel posto per fermarsi a riposare… Che stai facendo?”
Mina si mise la mano sugli occhi e prese a piroettare in mezzo alla strada. Quando le vennero le vertigini, si fermò barcollando e tese la mano, con le dita che puntavano a est.
“Andremo da questa parte”, disse.
Nightshade rimase lì a guardarla, ammutolito.
“Per un nichelino degli gnomi, ti lascerei a farti mangiare dai folletti”, le disse, soggiungendo poi con un sussurro: “Ma sarebbe ingiusto verso i folletti”.
Diede un’occhiata verso ovest, dove il sole calava rapidamente scomparendo alla vista, come se non riuscisse ad andarsene con sufficiente rapidità. Le ombre si allungavano sulla strada.
Nightshade prese a girovagare su e giù lungo il ciglio della strada, cercando qualche sasso piuttosto grande. Quando ne trovò uno, lo raccolse, lo trasportò a fatica fino al punto in cui si trovava Mina e lo lasciò cadere ai suoi piedi.
“Che stai facendo?” domandò Mina, quando lui tornò col quarto sasso.
“Segno il percorso”, rispose Nightshade, trasportando il sasso numero cinque. Lo gettò giù, poi prese a disporre i sassi accatastandone quattro l’uno sull’altro e collocando il quinto a est della catasta. “In questo modo Rhys saprà quale direzione abbiamo preso all’incrocio, e potrà trovarci.”
Mina fissò i sassi ammonticchiati e all’improvviso corse verso di essi e si mise a prenderli a calci freneticamente, mandando all’aria la bella catasta di Nightshade.
“Che cosa stai facendo?” gridò Nightshade. “Smettila!”
“Lui non deve trovarmi!” gridò Mina. “Non dovrà trovarmi mai. Non voglio che mi trovi.”
Mina raccolse un sasso e lo gettò via, quasi colpendo Atta, che balzò in piedi spaventata.
Nightshade afferrò Mina, la trascinò via e le assestò un bello schiaffo sul posteriore. Il colpo non le fece granché male, dal momento che il kender non colpì altro che la sottoveste. Lo schiaffo le provocò però una violenta emozione. Mina rimase a guardarlo a bocca aperta e poi scoppiò in lacrime.
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