“Adesso potrei essere in qualche bel cimitero”, disse il kender malinconicamente, “a trovare un sacco di defunti simpatici…”.
“Mina!” Uno dei Prediletti urlò il suo nome, e un altro ripeté: “Mina!”.
Il nome si diffuse tra loro. I Prediletti presero a correre verso la barca.
“Come fanno a conoscermi?” Mina rabbrividì. Indietreggiò timorosa, premendosi contro Rhys. “Perché mi fissano con quegli occhi orribili?”
I Prediletti le si ammassarono attorno, allungando le mani verso di lei, chiamandola per nome.
“Li odio! Fateli andare via!” supplicò Mina, girandosi e nascondendo la testa nella veste di Rhys. “Fateli andare via!”
“Mina! Mina, toccami”, la imploravano i Prediletti, allungando le mani verso di lei. “Mi hai reso tu quello che sono!”
Uno dei Prediletti afferrò il braccio di Mina, e lei strillò in preda al panico. Rhys non poteva stringere Mina e allo stesso tempo scacciare i Prediletti. Faceva già fatica a trattenere la bambina che urlava e si contorceva. Gettò l’emmide a Nightshade.
“È benedetto dal dio!” gridò Rhys.
Il kender capì. Lasciò cadere il gancio d’accosto e afferrò il bastone. Facendolo roteare come una mazza, colpì con tutte le sue forze il polso del Prediletto.
Al contatto col bastone, la carne del Prediletto si annerì e si staccò dall’osso, lasciando una mano scheletrica che purtroppo mantenne la presa. Le dita ossute continuavano ad artigliare il braccio di Mina.
“Gran bell’aiuto!” gridò Nightshade, lanciando un’occhiata irosa ai cieli. “Mi sembrava che un dio potesse fare di meglio!”
Altri Prediletti presero ad affollarsi lì attorno. Nightshade li colpì col bastone, cercando di scacciarli ma senza molta fortuna. Il fatto che dei grumi di carne si annerissero e si staccassero dalle ossa non sembrava infastidirli minimamente. Continuavano ad arrivare, e Nightshade continuava ad assestare colpi. Le braccia cominciavano a dolergli, le palme delle mani gli sudavano, e lui aveva la nausea per quella vista raccapricciante di mani e braccia senza carne che gli si agitavano intorno.
Atta faceva scattare le mascelle, abbaiava e compiva sortite rapide contro i Prediletti, affondando i denti in ogni loro parte che le arrivasse a tiro, ma i morsi della cagna avevano su di loro meno effetto del bastone.
“Torniamo alla barca!” ansimò Rhys, sforzandosi di trattenere Mina e scacciare i Prediletti. Questi non prestavano alcuna attenzione né a lui né al kender né al cane. Cercavano disperatamente di afferrare Mina.
Il suo strillo penetrante, giusto nell’orecchio, fece sobbalzare Nightshade al punto che lasciò cadere l’emmide.
Dita scheletriche afferrarono il polso di Mina. Rhys colpì in faccia il Prediletto con una manata, spezzandogli il naso e frantumandogli gli zigomi. Mina fissò con orrore quelle dita ossute penetrarle nella carne e, urlando con voce stridula, colpì il Prediletto col pugno.
Fiamme (color ambra, incandescenti) distrussero completamente il Prediletto, senza lasciare nulla, nemmeno cenere. Il calore della vampata investì Rhys e Nightshade e poi si dissolse.
“Rhys”, disse con voce tremula Nightshade dopo un momento, “mi restano ancora le sopracciglia?”.
Rhys riuscì a lanciargli un’occhiata rassicurante, ma non ebbe il tempo di fare altro. Mina, tenendo stretta la mano di Rhys, si voltò verso i Prediletti.
Il calore della sacra furia di Mina li aveva respinti. Non cercavano più di afferrarla. Continuavano a circondarla, osservandola con lo sguardo inespressivo e ripetendo più volte il suo nome. Alcuni pronunciavano “Mina” con voce bassa, triste e supplichevole. Altri ringhiavano “Mina” disperati, incolleriti.
“Smettetela di dire così!” strillò Mina.
I Prediletti tacquero.
“Vado alla mia torre”, disse Mina con occhio torvo. “Fuori dai piedi.”
“Dovremmo tornare alla barca”, sollecitò Nightshade. “Proviamo a correre?”
“Non la raggiungeremmo mai”, disse Rhys.
I Prediletti non avrebbero lasciato allontanare Mina. La stavano aspettando qui. Forse era stato un suo ordine a spingerli su questa isola.
“La nostra vita è nelle sue mani”, disse Rhys. Muovendosi lentamente, si chinò e raccolse il bastone.
Nightshade gemette e mormorò: “Nessun pasticcio di carne può ripagare tutto questo”.
Mina, tirandosi dietro Rhys, avanzò. I Prediletti si ritrassero, lasciandole spazio per passare. Mina attraversò la folla di morti, osservandoli guardinga e con occhi spaventati, stringendo tanto forte la mano di Rhys da lasciargli segni rossi con la punta delle dita. Nightshade li tallonava, incespicando nelle caviglie di Rhys. Atta si teneva di fianco a Rhys; aveva il corpo che tremava, il labbro ritratto a scoprire i denti, ed emetteva un ringhio continuo.
“Dimmi di nuovo perché lo stiamo facendo”, disse Nightshade.
“Ssssh!” ammonì Rhys. Aveva visto quegli occhi vuoti spostarsi da Mina al kender, e un lampo di luce solare riflettersi sull’acciaio. I Prediletti però non attaccarono. Rhys immaginò che non l’avrebbero fatto finché loro fossero rimasti con Mina.
“Rhys”, sussurrò Nightshade, “lei non se li ricorda! E li ha creati lei!”.
Rhys annuì e continuò a camminare. I Prediletti avevano vagato senza meta sull’isola finché non avevano avvistato Mina. Dopo di che non avevano visto più nulla. Si radunavano attorno a lei, pronunciando il suo nome con tono riverente. Alcuni allungavano le mani verso di lei, ma Mina si ritraeva davanti a loro. “Andatevene!” diceva con tono aspro. “Non toccatemi.”
Uno dopo l’altro indietreggiarono.
Mina continuò a camminare verso la torre, stringendo la mano di Rhys. Quando raggiunsero l’ingresso, trovarono la porta a due battenti sbarrata.
“Tutta questa strada e ha dimenticato la chiave”, mormorò Nightshade.
“Non mi serve la chiave”, disse Mina. “Questa è la mia torre.”
Lasciando la mano di Rhys, si avvicinò alla grande porta e, premendo con tutte le sue forze, diede una spinta. Al suo tocco, i battenti massicci si aprirono lentamente.
Mina balzò dentro, guardandosi attorno con la meraviglia e la curiosità di una bambina. Rhys la seguì più lentamente. Sebbene la torre fosse fatta di cristallo, qualche magia nelle pareti escludeva la luce. Il sole mattutino non riusciva a entrare nemmeno dalla porta, ma veniva inghiottito sulla soglia. Dentro era tutto buio. Rhys si fermò subito all’ingresso.
Lentamente, a mano a mano che gli occhi si abituavano a quell’oscurità umida e fredda, Rhys si rese conto che l’interno della torre non era poi così buio come era parso inizialmente. Le pareti di cristallo diffondevano la luce solare, cosicché l’interno era illuminato da una luce pallida e fioca, che ricordava il bagliore lunare.
L’atrio era cavernoso. Una scala a chiocciola intagliata nelle pareti di cristallo serpeggiava attorno allo spazio interno, conducendo in alto, a perdita d’occhio. Globi di luce magica erano collocati a intervalli regolari lungo la scalinata, per guidare il cammino di chi la percorreva. Quasi tutti i globi tremolavano come candele gocciolanti, come se la loro magia cominciasse a svanire. Alcuni si erano spenti del tutto.
Molto tempo prima, l’atrio della Torre dell’Alta Magia di Istar doveva essere stato magnifico. Qui i maghi di Istar accoglievano i colleghi maghi e altri ospiti e dignitari. Qui dovevano avere atteso il Re-Sacerdote, per consegnargli le chiavi della loro amata torre, acconsentendo con dolore ad arrendersi piuttosto che rischiare la vita di innocenti in battaglia.
Forse il Re-Sacerdote era stato l’ultimo mortale a percorrere questo atrio, pensò Rhys. Si immaginò il Re-Sacerdote, splendido nella sua gloria mal indirizzata, mentre girava attorno vittorioso e trionfante, congratulandosi con se stesso per avere scacciato i suoi nemici, prima di chiudere e sbarrare dietro di sé la grande porta. Segnando così anche il destino di Istar.
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