«E adesso che Zeboim è ritornata, lo sorveglia ancora?»
«Giorno e notte», rispose Chemosh. «Testimonianza dell’amore di una madre.»
«Neanch’io nutro alcun affetto per i traditori, mio signore», disse Mina. «Porterò a termine volentieri qualunque incarico voi mi assegniate riguardo a questo qui.»
«Bene», disse Chemosh. «Voglio che tu lo liberi.»
«Che io lo liberi, mio signore?» ripeté Mina, sbalordita.
«Aiutalo a sottrarsi alla sorveglianza di Zeboim e portalo da me.»
«Ma perché, mio signore? Se lui è proprio come l’avete descritto...»
«Anche peggio. È ambiguo e astuto e scaltro e infido. E tu non devi mai farmi domande, Mina. Puoi rifiutarti di fare questa cosa. Sta a te scegliere, ma non devi domandarmi perché. Le mie ragioni sono mie e basta.»
Chemosh sollevò la mano, con le dita accarezzò la guancia di Mina. «Liberare Krell non sarà un compito facile. È zeppo di pericoli, poiché non soltanto devi affrontare il cavaliere della morte ma devi prima vedertela con la dea vendicatrice. Se ti rifiuterai, lo capirò.»
«Non rifiuto, mio signore», ribadì freddamente Mina. «Farò questo per voi. Dove devo portarlo?»
«Nel mio castello qui nell’Abisso. Questo, per il momento, è il luogo in cui io risiedo.»
«Per il momento, mio signore?» domandò Mina.
Chemosh le prese le mani, se le portò alle labbra. «Un’altra domanda, Mina?»
«Mi dispiace, mio signore», si scusò Mina arrossendo. «È un mio difetto, temo.»
«Ci sforzeremo di correggerlo. Quanto alla tua domanda, a questa non mi dispiace rispondere. A me non piace questa sistemazione. Voglio camminare nel mondo, fra i vivi. Ho progetti di trasloco. Progetti che coinvolgono anche te, Mina.» Le baciò le mani, con baci teneri e prolungati. «Se non mi deluderai.»
«Non vi deluderò, mio signore», promise lei.
«Bene», troncò bruscamente Chemosh e le lasciò cadere le mani. Si girò dall’altra parte. «Fammi sapere se ti serve qualcosa.»
«Mio signore!» lo chiamò Mina, mentre stava per perderlo di vista nell’oscurità. «C’è qualcosa che mi serve: un’arma benedetta o un oggetto magico o un incantesimo intriso di potenza sacra.»
«Una simile arma non ti sarebbe di alcuna utilità contro Zeboim», disse Chemosh. «Lei è un dio, come me, e pertanto è immortale. Devo avvisarti, Mina, che se Zeboim crede anche solo per un attimo che tu sia venuta a salvare Krell ti infliggerà lo stesso tormento che ha inflitto a lui. Nel qual caso, per quanto io possa addolorarmi per la tua perdita, non potrò fare nulla per soccorrerti.»
«Capisco, mio signore», disse Mina tranquillamente. «Pensavo piuttosto al cavaliere della morte, Krell.»
«Tu hai affrontato Soth e sei sopravvissuta per raccontarlo», disse Chemosh alzando le spalle. «Quando Krell scopre che tu sei lì per liberarlo, sarà tutto ansioso di aiutarti.»
«Il problema sarà restare viva abbastanza a lungo da convincerlo di questo, mio signore.»
«Giusto», convenne Chemosh pensosamente. «L’unico divertimento che il povero Krell trova nella sua prigione è massacrare chiunque si trovi ad approdare su quello scoglio. Non essendo troppo intelligente, è il tipo che prima uccide e poi fa domande. Io potrei concederti qualche amuleto o talismano, però...»
Lasciò in sospeso la frase, esaminò attentamente Mina, mentre si aggiustava con cura il pizzo al polso.
«Però trovare un modo per sconfiggerlo fa parte della mia prova», aggiunse Mina. «Capisco, mio signore.»
«Qualunque altra cosa ti serva, ti basta esprimere il desiderio.»
Diede un’occhiata al letto da cui si era alzata Mina, alle lenzuola spiegazzate, ancora calde del suo corpo. «Pregusto il tuo ritorno sana e salva», le disse e, con un grazioso inchino, se ne andò.
Mina sprofondò nel letto. Aveva capito lo sguardo di lui e percepito la sua promessa, sentendo il contatto delle labbra di lui sulle sue. Il corpo le doleva e le tremava per il desiderio di lui, e Mina dovette concedersi un momento per calmarsi, per costringersi a concentrarsi sull’incarico apparentemente impossibile che lui le aveva assegnato.
«O forse non tanto impossibile», disse Mina. «Per tutto ciò che mi serve, mi basta esprimere il desiderio.»
Era affamatissima. Non rammentava di avere mangiato quando era nella prigione che si era costruita da sola. Presumeva di avere mangiato. Aveva qualche vago ricordo di Galdar che la sollecitava a mangiare, ma non aveva ricordi di sapori od odori e nemmeno sapeva di che cosa si fosse nutrita.
«Mi serve del cibo», dichiarò Mina, soggiungendo, a mo’ di esperimento: «Vorrei bistecca di cervo, stufato d’agnello, una torta rustica, vino speziato...».
Mentre lei parlava, i piatti comparvero davanti a lei, materializzandosi su una tavola su cui era stesa una tovaglia. Da bere c’erano vino e birra e un’acqua limpida, pura e fredda. Le pietanze erano preparate meravigliosamente: tutto ciò che lei avrebbe potuto desiderare. Mentre mangiava, escogitò col pensiero vari piani, scartandone subito alcuni, tenendo quelli che le piacevano, rimuginandoci sopra. Prese qualcosa da uno di essi, lo mise assieme a un’idea di un altro e finalmente mise a punto il tutto. Ripassò l’intero progetto e ne fu soddisfatta.
Con un gesto fece scomparire i cibi e la tavola, il vino e la tovaglia. Mina rimase per un attimo immersa nei pensieri per accertarsi che non le mancasse nulla.
«Voglio la mia armatura», ordinò alla fine. «L’armatura donatami da Takhisis. L’armatura forgiata con la sua gloria nella notte in cui proclamò il suo ritorno nel mondo.»
La luce delle candele balenava dalle profondità del metallo nero lucente. L’armatura che lei aveva indossato per tutta la Guerra delle Anime, l’armatura da Cavaliere di Neraka, contrassegnata dalla mano della sua regina stessa, era distesa per terra ai suoi piedi. Sollevando la corazza, ornata col simbolo di Takhisis (il teschio colpito dal fulmine), Mina si sedette sull’orlo del letto e si mise a lucidare il metallo, usando un angolo del lenzuolo di batista, finché l’armatura non assunse un’intensa lucentezza.
Il desiderio espresso da Mina la condusse alla città sovrana di Palanthas, dove fece visita alla Grande Biblioteca. Non indugiò in città una volta conseguito il suo scopo in biblioteca, ma osservò che vi erano in giro numerosi elfi, laceri, magri e impoveriti. Li guardava incrociandoli per la strada e le pareva che pensassero di averla già conosciuta, ma non si ricordassero in quale occasione. Forse in un brutto sogno. Se ne andò da Palanthas ed espresse il desiderio di trovarsi vicino a un piccolo villaggio di pescatori sulle coste settentrionali dell’Abanasinia.
«Siete matta, mia signora», commentò schiettamente il pescatore. Stava in piedi sul molo e osservava Mina caricare provviste su una barchetta. «Se le onde non vi sommergono e non vi fanno a pezzi la barca, il vento vi strapperà via la vela, vi farà rovesciare e vi spingerà sotto. Non ce la farete mai. Rovina di una bella barca.»
«Vi ho pagato il doppio del costo della barca», rintuzzò Mina.
Stivò a poppa un otre di acqua dolce. Procedendo in modo precario mentre l’imbarcazione dondolava con le onde, Mina risalì la scala a pioli fin sul molo. Stava per trasportare giù il secondo otre quando il pescatore la fermò.
«Ecco, signora cavaliere», disse, accigliandosi mentre porgeva la borsa di monete d’acciaio. «Riprendetevi il vostro denaro. Non lo voglio. Non voglio essere coinvolto in questa vostra follia. Avrei sulla coscienza la vostra morte per il resto della mia vita.»
Mina sollevò l’otre e se lo gettò sulle spalle. Superò il pescatore e andò verso la barca, sistemando il secondo otre accanto al primo. Voltandosi per tornare a prendere le provviste, lo vide ancora accigliato, ancora nell’atto di porgere la borsa col denaro. Il pescatore scrollò la borsa, facendo tintinnare le monete.
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