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Margaret Weis: Ambra e cenere

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Margaret Weis Ambra e cenere

Ambra e cenere: краткое содержание, описание и аннотация

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La Guerra delle Anime si è finalmente conclusa. La lotta per la supremazia che gli dei hanno combattuto senza esclusione di colpi con le armi della magia ha lasciato il continente di Ansalon nella più completa desolazione e sovvertito i precedenti equilibri di potere. Mina, una misteriosa donna-guerriero, non si rassegna tuttavia alla propria sconfitta e stringe un patto con il diavolo. Mentre un culto satanico si diffonde e minaccia un mondo già fragile e provato, i nostri eroi, un eccentrico monaco e un kender in grado di comunicare con i defunti, si alleano per arginare le forze del maligno.

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«Sei esausta, Mina», le disse Chemosh, con l’alito lieve e caldo sulla guancia di lei. «Il sonno è ciò che ti serve. Il sonno, non la morte. Soltanto i poeti confondono le due cose.»

Le accarezzò il viso con la mano, le lisciò i capelli.

«Ma voi siete venuto a prendermi, mio signore», protestò stancamente Mina, rilassandosi al tocco di lui per poi sciogliersi come il coltello di cera. «Voi siete la Morte e siete venuto a prendermi.»

«Sì. Ma non ti voglio morta. Mi servi viva, Mina.» Le labbra di lui le sfiorarono i capelli.

Il tocco del dio sapeva essere umano, se il dio lo desiderava. Il tocco di Chemosh suscitò in Mina struggimenti e sensazioni che lei non aveva mai provato. Virginea nel corpo e nella mente, Mina era stata protetta contro il desiderio dalla sua regina, che non voleva la sua discepola eletta distratta dalle debolezze della carne.

Mina adesso conosceva il desiderio, lo sentiva ardere e animarsi dentro di lei.

Chemosh mise la mano a coppa sul viso di Mina, si mosse lentamente per accarezzarle il collo. Col dito seguì il percorso che avrebbe potuto scegliere la lama del coltello, e Mina lo percepì acuto, freddo e ardente, e rabbrividì per un dolore che era tanto amaro quanto esaltante.

«Sento battere il tuo cuore, Mina», disse Chemosh. «Sento la tua carne calda, il tuo sangue che pulsa.»

Mina non capiva quelle strane sensazioni che il suo tocco suscitava in lei. Il corpo le doleva, ma il dolore era piacevole, e lei non avrebbe mai voluto che tale piacere finisse. Gli si strinse più vicino. Le sue labbra cercarono quelle di lui e Chemosh la baciò, lentamente, delicatamente, un bacio prolungato.

Si staccò da lei, la lasciò andare.

Mina aprì gli occhi. Guardò negli occhi di lui che erano scuri e vuoti come il mare su cui un giorno lei si era svegliata trovandosi sola.

«Che cosa mi farete, mio signore?» gridò, fattasi timorosa.

«Ti darò la vita, Mina», rispose Chemosh, scostandole i capelli dalla fronte con la mano. Il pizzo bianco le sfiorò il viso, il profumo speziato della mirra le riempì le narici. Mina si stese a terra, cedendo al tocco di lui.

«Ma voi siete la Morte», ribatté, confusa.

Chemosh la baciò sulla fronte, sulle guance, sul collo. Le sue labbra si spostarono verso l’incavo della gola.

«È venuto qui da te qualche altro dio, Mina?» domandò. Continuava ad accarezzarla, ma la sua voce era alterata, tagliente.

«Sì, qualcuno sì, mio signore», rispose lei.

«Perché sono venuti?»

«Qualcuno per salvarmi. Qualcuno per castigarmi. Qualcuno per punirmi.»

Rabbrividì. Chemosh la strinse più forte e Mina si sentì rassicurata.

«Hai fatto promesse a qualcuno di loro?» domandò lui. La voce era ancora più tagliente.

«No. Nessuna, mio signore. Lo giuro.»

Lui rimase compiaciuto. «Perché no, Mina?» chiese con un sorriso che gli increspava le labbra.

Mina gli prese la mano, se la mise sul seno, sopra il cuore che batteva. «Volevano la mia fede. Volevano la mia dedizione. Volevano la mia paura.»

«Ebbene?»

«Nessuno di loro voleva me.»

«Io voglio te, Mina», disse Chemosh. Tenne la mano sul seno di lei, sentì il battito del suo cuore farsi più rapido. «Concediti a me. Rendimi padrone di tutte le cose. Rendimi padrone della tua vita.»

Mina rimase in silenzio. Sembrava turbata, si agitava inquieta sotto il tocco di lui.

«Dimmi che cosa c’è nel tuo cuore, Mina», disse Chemosh. «Non mi offendo.»

«L’avete tradita», disse finalmente lei, con tono di accusa.

«È stata Takhisis a tradire noi, Mina», ribatté Chemosh in tono di rimprovero. «Ha tradito anche te.»

«No, mio signore», protestò Mina. «No, mi ha detto la verità.»

«Menzogne, Mina. Tutte menzogne. E tu lo sapevi.»

Mina scrollò il capo e cercò di liberarsi della stretta di lui.

«Tu sapevi che ti aveva mentito», proseguì spietato Chemosh. La tenne inchiodata con la sua stretta, la premette a terra. «Alla fine lo sapevi. Eri contenta che l’elfo l’avesse uccisa.»

Mina sollevò le mani, i suoi occhi d’ambra si alzarono verso il drago. «Maestà, io vi ho sempre amata, adorata. Ho dedicato la vita al vostro servizio e sono pronta a onorare questo impegno. Per colpa mia, voi avete perduto il corpo che avreste abitato. Io vi offro il mio. Prendete la mia vita. Usatemi come vostro veicolo. In questo modo io darò dimostrazione della mia fede!»

La regina Takhisis era bellissima, ma la sua bellezza era minacciosa e terribile a vedersi. Il volto era freddo come le vaste terre desolate e ghiacciate verso sud, dove un uomo perisce in pochi istanti, col respiro che gli si fa ghiaccio nei polmoni. Gli occhi erano le fiamme della pira funebre. Le unghie erano artigli, i capelli erano i capelli lunghi e scarmigliati del cadavere. L’armatura era fuoco nero. Al fianco portava una spada perennemente macchiata di sangue, una spada usata per staccare le anime dai corpi.

Mina gridò, un piagnucolio di dolore e di collera. Lottava nelle grinfie della Morte.

Takhisis fece per prendere il cuore di Mina, intendendo far suo quel cuore. Takhisis fece per prendere l’anima di Mina, intendendo strappargliela via dal corpo e scagliarla nell’oblio. Takhisis fece per colmare il corpo di Mina con la propria essenza immortale.

«Ammettilo, Mina.» Chemosh la tenne forte, la costrinse a guardarlo negli occhi. «Tu speravi che qualcuno le desse il colpo di grazia al posto tuo.»

Il re elfo teneva in mano il frammento spezzato della dragonlance. Scagliò la lancia, la scagliò con la forza della sua angoscia e della sua colpa, la scagliò con la forza della sua paura e del suo amore.

La lancia colpì Takhisis, le si conficcò nel petto.

Lei guardò giù sconvolta vedendo la lancia spuntarle dalla carne. Le sue dita si mossero per toccare il sangue scuro e lucido che scaturiva da quella ferita terribile. Barcollò, fu sul punto di cadere...

«Ho ucciso l’elfo con le mie stesse mani», gridò Mina. «La mia regina è morta fra le mie braccia. Avrei dato...»

Mina interruppe le parole che le si riversavano fuori. Abbassò gli occhi distogliendoli dallo sguardo intenso di Chemosh, voltò la testa.

«Avresti dato la vita per Takhisis? Hai dato la vita, Mina, quella volta che hai combattuto Malys. Takhisis ti ha riportata indietro per le sue ragioni egoistiche. Aveva bisogno di te. Altrimenti ti avrebbe lasciata cadere fra le dita come polvere e cenere. E alla fine ha avuto la temerarietà di incolpare te per la sua rovina.»

Mina gli si afflosciò tra le mani.

«Aveva ragione lei, mio signore.» Da sotto le palpebre le filtrarono lacrime di vergogna. «La sua morte è stata colpa mia.»

Chemosh le scostò il viluppo di capelli rossi per vederle il viso. «E quando è morta, qualcosa in te era contento.»

Mina gemette e distolse il volto da lui. Si lisciò i capelli inumiditi dalle lacrime, si asciugò le lacrime.

«Non è la fedeltà alla tua regina a trattenerti in questa valle. Tu resti qui per via del tuo senso di colpa. Il senso di colpa ti tiene prigioniera. Il senso di colpa è il tuo carceriere. Il senso di colpa ti ha quasi uccisa.»

Chemosh le pose entrambe le mani sul viso, la guardò in profondità negli occhi d’ambra.

«Non hai motivo di sentirti in colpa, Mina. Takhisis si è meritata il suo destino.»

La voce gli si addolcì, gli si placò. «Lei non c’è più, e nemmeno Paladine.»

«Paladine...» mormorò Mina. «Il mio giuramento, vendicare la morte della mia regina... su di lui, sugli elfi...»

«Così farai», le promise Chemosh. «Ma non ancora. Non adesso. Bisogna preparare la via. Ascoltami, Mina, e capiscimi. Quei due grandi dèi adesso non ci sono più. Ne rimane soltanto uno: il loro fratello Gilean, dio del libro, dio del dubbio e dell’indecisione. Rimane lì con la bilancia dell’equilibrio, la luce in una mano, la tenebra nell’altra. In ogni istante di veglia le soppesa per accertarsi che non si spostino.»

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