Margaret Weis - Ambra e cenere

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La Guerra delle Anime si è finalmente conclusa. La lotta per la supremazia che gli dei hanno combattuto senza esclusione di colpi con le armi della magia ha lasciato il continente di Ansalon nella più completa desolazione e sovvertito i precedenti equilibri di potere. Mina, una misteriosa donna-guerriero, non si rassegna tuttavia alla propria sconfitta e stringe un patto con il diavolo. Mentre un culto satanico si diffonde e minaccia un mondo già fragile e provato, i nostri eroi, un eccentrico monaco e un kender in grado di comunicare con i defunti, si alleano per arginare le forze del maligno.

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«Ecco! Prendete!»

Mina gli spinse di lato delicatamente la mano. «Mi avete venduto una barca. Ciò che ne faccio io non è responsabilità vostra.»

«Già, ma lei potrebbe non vederla così», insistette in tono minaccioso il pescatore, con un sinistro cenno del capo verso l’acqua grigioazzurra.

«Lei? Chi è "lei"?» domandò Mina, ridiscendendo nella barca.

Il pescatore si guardò attorno, come temendo di essere udito, quindi si chinò e disse con un sussurro sibilante e timoroso: «Zeboim!».

«La dea del mare.» Mina aveva avvolto in tela cerata delle fettine di carne di manzo salata per tenerle all’asciutto, e le sistemò in una cassa di legno assieme a un sacco impermeabile di gallette. Non portava con sé molto cibo poiché (in un modo o nell’altro) il suo viaggio sarebbe stato breve. Tirò fuori una carta geografica, pure avvolta in tela cerata, e la stivò con cura, essendo quella carta più preziosa del cibo. «Non temete l’ira di Zeboim. Io parto per una missione sacra. Intendo chiedere la benedizione della dea.»

Il pescatore rimase poco convinto. «Il mio sostentamento dipende dal suo favore, signora cavaliere. Riprendetevi il vostro denaro. Se davvero cercherete di attraversare il Mare di Simon fino al Bastione della Tempesta, come affermate, allora lei verrà a cercare me.»

Mina scrollò il capo con un sorriso. «Se siete tanto preoccupato per ciò che potrà pensare Zeboim, portate il denaro al suo tempio e lasciatelo alla dea in offerta. Direi che quella somma possa farvi acquisire un bel po’ di benevolenza da parte sua.»

Il pescatore ci pensò su e, dopo qualche istante trascorso a succhiarsi il labbro inferiore e a contemplare l’acqua ondeggiante, si infilò la borsa di denaro nei calzoni di tela cerata.

«Forse avete ragione, signora cavaliere. Il vecchio Ned ha offerto alla Padrona sei monete d’oro, ciascuna con impressa la testa di un tizio che si faceva chiamare Re-Sacerdote o qualcosa del genere. Il vecchio Ned aveva trovato quelle monete dentro un pesce da lui aperto, e ha pensato che dovessero essere della Padrona. Forse lei li aveva stivati lì per tenerli al sicuro. Lui non pensava che valessero molto, per via che non aveva mai sentito parlare di questo Re-Sacerdote, ma dovevano valere qualcosa perché adesso lui non esce mai col suo peschereccio senza tornare indietro con più merluzzi di quanti si possano contare.»

«Forse la dea farà così anche per voi», osservò Mina.

Stivate le provviste, Mina lasciò la barca e tornò a prendere un ultimo oggetto: la sua armatura.

«Spero di sì», disse il pescatore. «A casa ho sei bocche affamate da nutrire. La pesca non è stata tanto buona ultimamente. È un motivo per cui sono costretto a vendere questa barca qui.» Si strofinò il mento brizzolato. «Forse dividerò il denaro con la dea. Metà a lei, metà a me. Mi sembra equo, vero?»

«Perfettamente equo», ribatté Mina. Tirò fuori l’armatura e la distese sul molo. Il pescatore la scrutò e scrollò il capo.

«Farete meglio a tenerla all’asciutto», suggerì. «L’acqua salata la farà arrugginire ferocemente.»

Mina sollevò la corazza. «Non ho uno scudiero. Mi aiutereste a indossarla?»

Il pescatore la guardò fisso. «Indossare l’armatura? Per andare in barca?»

Mina gli sorrise. L’ambra dei suoi occhi si riversò su di lui, si coagulò attorno a lui. Il pescatore abbassò lo sguardo.

«Se vi rovesciate, andrete a fondo come un nano», la avvertì.

Mina si infilò la corazza dalla testa e tenne le mani in alto, in modo che il pescatore potesse stringere le cinghie di cuoio che la legavano assieme. Abituato ad allacciare i nodi della sua rete, l’uomo portò a termine l’operazione con rapidità e abilità.

«Mi sembrate un uomo buono», commentò Mina.

«Lo sono, mia signora», disse semplicemente il pescatore, «o per lo meno cerco di esserlo».

«Eppure adorate Zeboim, una dea considerata malvagia. Come mai?»

Il pescatore parve a disagio e diede un’altra occhiata verso il mare.

«Non è che sia proprio malvagia, piuttosto è... be’, capricciosa. Bisogna prenderla per il verso giusto. Se se la prende con te, non si sa come va a finire. Ti spinge in mare aperto e poi ti lascia lì senza neanche un alito di vento, in bonaccia, alla deriva sull’acqua finché non muori di sete. Oppure può sollevare un’onda tanto grande da inghiottire una casa, o alimentare venti di tempesta che sbatacchiano un uomo qua e là come fosse un ramoscello. Noi qui siamo gente buona. Quasi tutti adoriamo Mishakal o Kiri-Jolith, ma se si vive presso il mare bisogna sempre stare attenti a rendere omaggio a Zeboim, magari lasciarle un piccolo dono. Giusto per farla contenta.»

«Avete menzionato il culto di altri dèi», osservò Mina. «Qualcuno forse adora Chemosh?»

«Chi?» domandò il pescatore, impegnato nel suo compito.

«Chemosh, Signore della Morte.»

Il pescatore interruppe la sua opera, rifletté per un attimo. «Oh, sì. C’è stato un sacerdote di Chemosh che è venuto qui un mesetto fa per cercare di fare propaganda per quel dio. Sembrava ammuffito. Era vestito tutto di nero e puzzava come un sarcofago aperto. Affermava che la chierica di Mishakal ci mentiva quando ci diceva che la nostra anima sarebbe andata verso la fase successiva del viaggio della vita. Quel tizio ci diceva che il Fiume delle Anime è stato contaminato o qualcosa del genere, che le nostre anime erano intrappolate qui e che soltanto Chemosh poteva liberarci.»

«E che ne è stato di questo sacerdote?»

«Si è sparsa la notizia che lui avrebbe predisposto un altare nel cimitero, promettendo di resuscitare i morti per dimostrarci la potenza del dio. Alcuni di noi ci sono andati, pensando di vedere un bello spettacolo, se non altro. Ma poi è arrivato lo sceriffo, assieme alla chierica di Mishakal, e ha detto al sacerdote di andare a fare le sue cose da qualche altra parte, altrimenti l’avrebbe fatto arrestare per avere disturbato i morti. Il sacerdote non voleva avere guai, immagino, perché ha preso su le sue cose e se n’è andato.»

«E se ha ragione riguardo alle anime?» domandò Mina.

«Mia signora», disse il pescatore, esasperato. «Non mi avete sentito? Ho sei figli a casa e tutti che crescono in fretta come girini e vogliono tre pasti completi al giorno. Non è la mia anima che va in mare a prendere il pesce da vendere al mercato per acquistare cibo per i bambini. Vero?»

«No. Immagino di no», disse Mina.

Il pescatore fece un cenno energico col capo e diede un ultimo strattone deciso alle cinghie. «Se fosse la mia anima ad andare a pesca, mi preoccuperei della mia anima. Ma la mia anima non pesca, e allora non me ne preoccupo.»

«Capisco», annuì pensosamente Mina.

«Voi dite di partire per una missione sacra», s’informò il pescatore. «Quale dio seguite allora?»

«La regina Takhisis», rispose Mina.

«Non è morta?» domandò il pescatore.

Mina non rispose. Ringraziando l’uomo per l’aiuto, discese la scala fino alla barca.

«Non ha senso», disse il pescatore, mentre Mina mollava le cime che legavano la barca al molo. «State sprecando il vostro tempo, il vostro denaro e con ogni probabilità la vostra vita, se andate in missione sacra per una dea che non c’è più, o per lo meno così ci racconta la chierica di Mishakal.»

Mina lo guardò, con un’espressione grave. «La mia missione sacra non è tanto per la dea quanto per l’uomo che istituì i cavalieri dedicati al suo nome. A quanto mi è stato detto, colui che tradì il mio signore mandandolo a morire vive la sua vita miserabile sul Bastione della Tempesta. Io vado a sfidarlo a combattimento per vendicare Lord Ariakan.»

«Ariakan?» Il pescatore ridacchiò. «Mia signora, questo vostro Lord morì quasi quarant’anni fa. Voi quanti anni avete? Diciotto? Diciannove? Non l’avete mai conosciuto!»

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