«Tutti hanno le proprie piccole stravaganze», affermò magnanimo Krell. «Quando ero vivo, mi piaceva che le mie donne opponessero resistenza, strillassero un po’. Non sarò certo io a tranciare giudizi.»
«Il mio signore non è uno sciocco. Quando va alla grotta stasera e trova un monaco emaciato e un piccolo kender piagnucoloso incatenati alla parete, saprà che tu gli hai mentito.»
«Forse», disse impassibile Krell. «O forse no.»
Mina serrò i pugni per la frustrazione. «Sei stupido come sembri, Krell? Quando Chemosh scoprirà che gli hai mentito su di me, sarà furioso con te. Potrebbe anche consegnarti a Zeboim. Ma tu puoi ancora salvarti. Vai da Chemosh e digli che ci hai ripensato e che ti sei sbagliato...»
Krell non era stupido. Ci aveva ripensato eccome. Sapeva bene che cosa dovesse fare per proteggersi.
«Il mio signore Chemosh ha dato ordine di non essere disturbato», disse Krell, e assestò a Mina uno spintone che la ributtò dentro la camera.
Krell chiuse la porta sbattendola, la sbarrò dall’esterno e riprese la posizione davanti all’uscio.
Mina tornò alla finestra. Sapeva che cosa complottasse Krell. Tutto ciò che doveva fare lui era andare alla grotta, sbarazzarsi del kender e del cane, uccidere il monaco e togliergli le catene, lasciando trovare a Chemosh il cadavere, assieme alle prove per dimostrare che la grotta era stata il nido d’amore di Mina.
Forse Krell l’aveva già fatto. Questo sicuramente avrebbe spiegato la sua aria soddisfatta. Mina non sapeva quanto tempo fosse rimasta priva di sensi. Ore, per lo meno. Il castello era rivolto a est e la sua ombra si stagliava scura sulle onde rosso sangue. Il sole stava già calando verso la fine della giornata.
Mina rimase alla finestra. Devo riconquistare la fiducia e l’affetto del mio signore. Deve esserci un modo per dimostrargli il mio amore. Se potessi offrirgli un dono. Qualcosa che lui brami possedere.
Ma che cosa c’è che un dio non può avere se lo desidera?
Una cosa sola. Una cosa che Chemosh voleva e non poteva ottenere.
La Torre di Nuitari.
«Se potessi offrirgliela, lo farei», disse sottovoce Mina, «ancorché mi costasse la vita...».
Chiuse gli occhi e si trovò sotto il mare. La Torre dell’Alta Magia si ergeva davanti a lei. Le pareti cristalline riflettevano l’acqua azzurra limpida, il corallo rosso e le piante marine verdi e le creature marine multicolori: un panorama costante di vita marina scivolava davanti alla sua superficie sfaccettata.
Mina si trovava all’interno della Torre, nella sua prigione, e parlava con Nuitari. Era nell’acqua del globo, e parlava col drago. Era dentro il Solio Febalas, sopraffatta dallo sgomento e dalla meraviglia, circondata dal miracolo sublime rappresentato dagli dèi.
Mina tese le mani. Il suo desiderio ardente si intensificò, proruppe dentro di lei. Il cuore le martellava, i muscoli le si irrigidivano. Cadde in ginocchio con un gemito, e ancora tese le mani verso la Torre che era dappertutto dentro di lei.
Quel desiderio ardente si impadronì di lei e la sopraffece. Mina non riusciva a fermarsi. Non voleva fermarsi. Si abbandonò a quel desiderio, e le parve che il cuore le si lacerasse. Ansimò. Sentì in bocca il sapore del sangue. Rabbrividì e gemette di nuovo, e all’improvviso dentro di lei scattò qualcosa.
Il desiderio, la brama, le defluì dalle mani tese e Mina trovò la calma e la pace...
Krell aveva escogitato una via d’uscita dalla sua situazione incresciosa, ma non nel modo immaginato da Mina. Il piano d’azione secondo lei richiedeva che Krell lasciasse il castello, e lui era terrorizzato a farlo, per timore che Chemosh ritornasse da un momento all’altro. Krell avrà anche avuto il cervello di un roditore, ma aveva il doppio di astuzia per compensarlo. Il suo piano d’azione era semplice e diretto.
Non era necessario uccidere il kender, il monaco o il cane. Tutto ciò che dovesse fare Krell era uccidere Mina.
Una volta che Mina fosse morta, fine della storia. Chemosh non avrebbe avuto motivo di andare alla grotta per affrontare l’amante di lei, e il problema di Krell sarebbe stato risolto.
Krell detestava Mina e l’avrebbe assassinata molto tempo prima, ma temeva che Chemosh assassinasse lui; non certo una cosa facile a farsi, poiché Krell era già morto, ma Krell era piuttosto sicuro che il Signore della Morte avrebbe trovato un modo e non sarebbe stato piacevole.
Krell adesso riteneva privo di pericolo uccidere Mina. Chemosh la disprezzava. Provava avversione per lei. Non sopportava di vederla.
«Ha cercato di fuggire, mio signore», disse Krell, facendo le prove del suo discorso. «Non intendevo ucciderla. È che non mi rendo conto della mia forza.»
Essendosi risolto a uccidere Mina, Krell doveva soltanto decidere quando. A questo proposito tentennava. Chemosh aveva detto che sarebbe andato nella Sala delle Anime di Passaggio, ma diceva sul serio? Il dio se n’era andato, oppure era ancora appostato da qualche parte nel castello?
Ogni volta che Krell faceva per mettere la mano sulla maniglia della porta, aveva la visione di Chemosh che entrava nella stanza in tempo per osservare il cavaliere della morte tagliare la gola alla sua amante. Chemosh ormai la disprezzava, ma uno spettacolo tanto macabro poteva comunque sconvolgerlo.
Krell non osava abbandonare la propria postazione per andare ad accertarsene. Alla fine bloccò uno scagnozzo spettrale di passaggio e gli ordinò di andare a informarsi. Lo scagnozzo rimase lontano per un certo tempo, durante il quale Krell camminò su e giù per il corridoio e si raffigurò la propria vendetta su Mina, facendosi sempre più emozionato al pensiero.
Lo scagnozzo gli portò notizie gradite. Chemosh si trovava nella Sala delle Anime di Passaggio e a quanto pareva non aveva fretta di ritornare.
Perfetto. Chemosh sarebbe stato lì a vedere arrivare l’anima di Mina. Non avrebbe avuto motivo di andare alla grotta. Proprio nessun motivo.
Krell fece per allungare la mano verso la maniglia della porta e poi si fermò. Attorno all’intelaiatura della porta prese a brillare una luce d’ambra. Sotto il suo sguardo accigliato la luce ardente si fece sempre più intensa.
Quindi Krell sorrise. Era meglio di quanto avesse sperato. Mina a quanto pareva aveva incendiato quel luogo.
Colpì la porta col pugno, sguainò la spada ed entrò a grandi passi.
La grotta odorava di carne di maiale salata. Atta si leccò i baffi e fissò bramosa Nightshade, che rispettosamente, ancorché malinconicamente, si strofinava l’interno degli stivali con un pezzo di carne untuosa. Rhys aveva argomentato che sarebbe stato più facile per il kender fare scivolare i piedi fuori dagli stivali che cercare di fare scivolare gli stivali fuori dai ceppi.
«Ecco, ho finito!» annunciò Nightshade. Diede da mangiare ciò che rimaneva della carne di maiale sciupata ad Atta, che inghiottì tutto con un sol boccone e poi prese ad annusargli famelica gli stivali.
«Atta, ferma», ordinò Rhys, e la cagna obbediente arrivò trotterellando per stendersi al suo fianco.
Nightshade dimenò il piede destro ed emise un grugnito. «Niente», disse dopo un momento di sforzi. «Non si muove. Mi dispiace, Rhys. Valeva la pena tentare...»
«Devi muovere effettivamente il piede, Nightshade», disse Rhys con un sorriso.
«L’ho mosso», protestò Nightshade. «Gli stivali sono lì ben stretti. Mi sono stati sempre un po’ piccoli. È per questo che in punta mi escono le dita dei piedi. Adesso parliamo di come possiamo scappare tutti e due.»
«Ne parliamo dopo che tu ti sarai liberato», controbatté Rhys.
«Promesso?» Nightshade scrutò Rhys con aria sospettosa.
«Promesso», disse Rhys.
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