Margaret Weis - Ambra e ferro
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«Ascoltami. Sono qui da appena qualche minuto e già parlo da sola! Fra un attimo mi metterò a cantilenare e a saltellare qua e là, agitando le mani e suonando campanelline. Ah, eccoti qui.»
Trovò la sua preda da sola nel cortile, a eseguire quello che pareva qualche sorta di esercizio o forse una danza lenta e sinuosa. Malgrado il freddo che gelava le ossa e che faceva battere i denti alla dea del mare, Majere era a petto nudo e a piedi nudi e indossava soltanto dei pantaloni morbidi legati in vita da una cintura di stoffa. Aveva i capelli grigio-ferro legati in una treccia che gli scendeva alla vita. Aveva lo sguardo rivolto dentro di sé, corpo e mente una cosa sola, mentre si muoveva al ritmo della musica delle sfere.
Zeboim piombò su di lui come un cormorano in picchiata e atterrò nel cortile giusto davanti a lui.
Lui sapeva della presenza della dea. Zeboim lo capì dal lieve balenare degli occhi. Forse sapeva della sua presenza da tempo. Era difficile dirlo, perché il dio non diede segno di notare la sua presenza nemmeno quando lei pronunciò il suo nome.
«Majere», disse severamente la dea, «dobbiamo parlare».
Gli dèi non hanno forme corporee, e non ne hanno bisogno. Possono comunicare fra loro da mente a mente, i loro pensieri vagano per l’universo, non conoscendo limiti. Al pari dei mortali, però, gli dèi hanno segreti (pensieri che non vogliono comunicare, progetti e intrighi che non vogliono svelare), per cui trovano preferibile usare le loro incarnazioni non solo quando devono comunicare con i mortali, ma anche fra loro. Il dio permette soltanto a una parte di sé di entrare nell’incarnazione, tenendo così nascosta la propria mente.
L’incarnazione di Majere proseguì l’esercizio: le mani si muovevano aggraziate nell’aria rarefatta e frizzante; i piedi nudi si muovevano silenziosamente sulla pietra da lastrico. Zeboim fu costretta a danzare a sua volta (scansandosi per evitarlo, balzando di lato) mentre cercava di tenere il suo passo e rimanere in vista del suo viso.
«Presumo che tu non possa stare fermo per un attimo», disse alla fine, irritata. Aveva appena inciampato sull’orlo della propria veste.
Majere continuò a eseguire il suo rituale quotidiano. Il suo sguardo era rivolto alle montagne, non a lei.
«Sappiamo tutti e due perché io sono qui. Quel tuo monaco: il monaco che Mina sta per sbudellare, o scorticare, o qualunque divertimento progetti di procurarsi con lui.»
Majere si distolse da lei, con i lenti movimenti prescritti, ma non prima che Zeboim vedesse un lampo negli occhi grigi del dio.
«Ah, bene!» gridò Zeboim, sfrecciando dall’altra parte per guardarlo in faccia. «Mina. Questo nome ti è familiare, vero? Perché? Questo è il problema. Penso che tu sappia qualcosa di lei. Penso che tu sappia molto di lei.»
La mano del dio descrisse in aria un arco aggraziato. Zeboim allungò la mano e gli afferrò il polso. Majere fu costretto a guardarla.
«Penso che tu abbia commesso un errore», disse la dea.
Majere rimase in piedi perfettamente fermo, calmo e composto. Aveva ogni apparenza di continuare a stare così per il secolo successivo, e l’impaziente Zeboim mollò la presa. Majere proseguì l’esercizio come se non fosse intervenuto nulla a interromperlo.
«Ecco la mia teoria», disse Zeboim. Era sfinita dal cercare di tenere il passo del dio e si sedette sul muro di pietra mentre esponeva la propria opinione. «Tu sapevi oppure hai capito qualcosa riguardo a Mina. Qualunque cosa fosse, hai deciso di incaricarne i tuoi monaci, e così il primo discepolo di Mina (il disgraziato fratello del monaco) è arrivato al tuo monastero. Che cosa doveva succedere? I monaci dovevano forse riportarlo in vita con le preghiere? Toglierli la maledizione?»
Si interruppe per consentire a Majere di fornirle qualche risposta, ma il dio non reagì.
«Comunque», proseguì Zeboim, «qualunque cosa doveva succedere non è successa, e quello che è successo è stato disastroso. Forse Chemosh l’ha scoperto e ha agito in modo da mandare all’aria i tuoi piani. Il suo discepolo ha assassinato i monaci. Tutti tranne uno: Rhys Mason. Lui doveva diventare il tuo paladino, ma oops! L’hai perso. Lui, comprensibilmente, era furioso con te. Dov’eri tu quando i tuoi monaci venivano massacrati? Eri impegnato a fare il tuo balletto? Tutto ciò riguarda la questione del libero arbitrio». La dea si strofinò le braccia, cercando di scaldarsi. «Voi dèi della luce promuovete sempre il libero arbitrio, e qui abbiamo un ottimo esempio del perché una simile idea sia assolutamente ridicola. Eccoti qui, in disperato bisogno del tuo discepolo, e lui che fa? Esercita il suo libero arbitrio. Ti abbandona e si rivolge a me per avere aiuto. Tu ti rifiuti di abbandonarlo, però. Molto clemente e comprensivo da parte tua, devo ammettere», soggiunse Zeboim con un’alzata di spalle. «Se avesse fatto così uno dei miei discepoli, l’avrei annegato nel suo stesso sangue. Ma tu no. Tu gli cammini accanto con pazienza. Con pazienza cerchi di guidarlo, ma da qualche parte, di nuovo, qualcosa va storto. Non so bene che cosa, ma qualcosa sì.»
Majere proseguiva l’esercizio. Non parlava. Non la guardava. Però l’ascoltava. Di questo lei era certa.
«Io ho lanciato Mina contro di te, o meglio contro Rhys. Non era veramente mia intenzione. Eravamo di fretta. Dovevo restituirla a Chemosh nell’ambito di un patto che abbiamo stipulato. Pensavo però di dover far conoscere quei due, poiché avevo insistito io affinché Rhys la trovasse. Volevo fargli sapere quale aspetto avesse Mina. Ebbene, signore! Immagina la mia sorpresa quando Mina afferma che lui la conosce! Lui sostiene di no, e a me è perfettamente evidente che lui dice la verità. Quel povero sciocco non sa mentire. Io gli credo, ma Mina no. Io sì. Decido di riportare assieme questi due. Per giunta, così facendo rendo la vita impossibile a Chemosh, ma questo non c’entra. Mina si incontra con Rhys, e adesso lui non la conosce e lei sa che lui non la conosce. Lei è confusa, povera cara. Non posso dire di fargliene una colpa. Lei gli dice però qualcosa di molto interessante. Dice che la prima volta che lei l’ha visto lui indossava una veste arancione. Rhys non indossava niente del genere. Indossava una veste verde assai carina, che gli avevo donato io, per cui o Mina è daltonica oppure è squilibrata.»
Zeboim si interruppe per riprendere fiato. Il solo osservare Majere pareva sfinirla. Ormai non si aspettava più che parlasse.
«Non credo che Mina sia daltonica e neanche pazza. Credo che abbia visto ciò che ha visto. Credo che abbia visto Rhys Mason in un’epoca della sua vita in cui davvero indossava una veste arancione e in cui davvero sa chi è lei. Non adesso, perché non lo sa. Non nel passato, perché non lo sapeva. Pertanto rimane... un’epoca in cui lo saprà.»
Zeboim fece una pausa per creare un effetto e poi disse: «Mina ha visto il tuo monaco nel futuro, un futuro in cui lui è ritornato da te, un futuro in cui lui saprà qualcosa di Mina. Lui sa effettivamente qualcosa, perché gliel’hai detto tu».
Zeboim alzò le spalle. «Il problema che hai tu, Majere, è che adesso questo futuro non arriverà mai, perché Mina progetta di torturare a morte il tuo povero monaco. E poi c’è la questione del kender che scoppia in piagnistei sentimentali e lacrimosi ogni volta che vede Mina, ma non ti annoierò con questo. È un kender, dopo tutto. Da quelli lì non ti puoi aspettare niente di sensato.»
Zeboim scrutò Majere.
«Vai avanti. Fai il tuo balletto. Fingi pure di essere al di sopra di tutto questo. La verità è: sei in un pasticcio. Io non sono la sola a domandarmi che cosa succeda con questa mortale di nome Mina. Mio fratello Nuitari sarà una spina nel fianco, ma non è stupido. Lui e i suoi strani cugini fanno domande. A Sargonnas non piace il fatto che questi Prediletti si congreghino nell’est di Ansalon, così vicino al suo impero. A Nuitari non va che siano tanto prossimi alla sua preziosa Torre. Mishakal è furiosa perché per distruggerli bisogna usare la mano di un bambino: un tocco meraviglioso di Chemosh, devo ammettere. Sono proprio divertita al pensiero di dolci monelli costretti a diventare assassini assetati di sangue. Perché io sono qui, Majere? Ti vedo porti questa domanda. Sono venuta ad avvisarti. Io sono il primo dio a farti visita ma non sarò l’ultimo. Tutti gli indizi puntano verso di te. Gli altri troveranno la via per raggiungere la tua fortezza sulle montagne, e alcuni (penso specificamente a mio padre) non saranno dolci e affascinanti quanto me. Faresti meglio a fare qualcosa prima di perdere completamente il controllo della situazione. Se non l’hai già perso, vale a dire. Vorresti forse toglierti un peso? Dirmi la verità? Io sarei lieta di aiutare Rhys Mason... a un certo prezzo. Io placherò mio padre e mio fratello, impedirò loro di disturbarti. Dimmi ciò che sai di Mina. Sarà il nostro segreto: lo giuro!»
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