«C’è qualcuno lì fuori», avvertì Rhys. «Forse dovresti tornare a sederti.»
«Ma ci hanno lasciato dei viveri da mangiare», ribatté Nightshade. «Potrebbero offendersi se non mangiamo.»
«Nightshade, per favore...»
«Oh, va bene.» Il kender tornò strascicando i piedi al suo posto accanto alla parete e si accovacciò.
«Atta, buona!» ordinò Rhys. «Da me!»
La cagna rinunciò ad abbaiare e tornò a stendersi accanto a lui. Rimase vigile, con gli orecchi ritti e il corpo teso per saltare.
Mina entrò nella grotta.
Rhys non sapeva che cosa si aspettasse: Zeboim, il capitano dei minotauri, uno dei Prediletti. Tutto tranne lei. La guardò con stupore.
Mina a sua volta guardò lui. La luce dentro la piccola cavità si era fatta sempre più vivida con l’alzarsi del sole, ma comunque ci volle un po’ perché gli occhi di Mina si adattassero all’interno ombroso della grotta.
Dopo qualche istante Mina avanzò e rimase a guardare giù verso Rhys. Gli occhi d’ambra lo osservarono attentamente, e Mina si accigliò.
«Sei diverso», gli disse con tono accusatorio.
Rhys scrollò il capo. Aveva il cervello intorpidito per lo sfinimento, i suoi processi mentali incespicavano come il kender incatenato.
«Temo di non capire che cosa vogliate dire, signora...»
«Invece sì!» Mina era in collera. «La tua veste è diversa! Tu indossavi una veste arancione decorata con rose quando ti ho visto in quella taverna, e adesso la tua veste è di un verde sporco. Anche i tuoi occhi sono diversi.»
«I miei occhi sono i miei occhi, signora», disse Rhys, sconcertato. Si domandò dove lei avesse raccattato quell’immagine di lui come era stato, non come era. «Non riesco molto bene a cambiarli. E la mia veste è la veste che indossavo quando ci siamo incontrati...»
«Non mentirmi!» Mina gli diede uno schiaffo in faccia.
«Atta, no!» Rhys trattenne la cagna furiosa per la collottola e la trascinò via fisicamente dall’attacco.
«Fai qualcosa con quel bastardo», disse freddamente Mina, «altrimenti gli rompo l’osso del collo».
A Rhys pizzicava la guancia. Lo zigomo gli doleva. Tenne stretta la cagna adirata. «Atta, vai da Nightshade.»
Atta lo guardò per accertarsi che dicesse sul serio e poi, con la testa china e la coda abbassata, andò a stendersi accanto al kender.
«Vi sto dicendo la verità, signora», disse tranquillamente Rhys. «Io non mento.»
«Certo che menti», disse sdegnosa Mina. «Tutti mentono. Gli dèi mentono. Gli uomini mentono. Noi mentiamo a noi stessi, se non c’è nessun altro a cui mentire. L’ultima volta che ti ho visto, indossavi una veste arancione e mi hai riconosciuta. Mi hai guardata e dai tuoi occhi ho visto che sapevi tutto di me.»
«Signora», disse Rhys smarrito, «quella era la prima volta che vi vedevo nella mia vita».
«Adesso non hai quello sguardo negli occhi, ma ce l’avevi quando ci siamo incontrati l’altra volta.» Mina serrò i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi. «Dimmi che cosa sai di me!»
«Tutto ciò che so è che avete tolto la vita a mio fratello e ne avete fatto un vostro schiavo...»
«Non un mio schiavo!» gridò Mina con veemenza inattesa. Si guardò attorno colpevole, come temendo che qualcuno la ascoltasse. «Non è un mio schiavo. Nessuno di loro è mio schiavo. Sono tutti seguaci del mio signore Chemosh. Smettila di piagnucolare, kender! Che hai? Frignavi così l’ultima volta che ti ho visto!»
Assalì Nightshade, che era accovacciato a terra, gli occhi colmi di lacrime che gli colavano sulle guance. Cercava di restare in silenzio. Aveva le labbra serrate, ma ogni tanto gli sfuggiva un gemito.
«Non posso farne a meno, signora.» Nightshade si passò la manica sul naso. «È una cosa tanto triste.»
«Che cosa è triste? Se non la smetti, ti do io qualcosa per cui piangere.»
«Me l’avete già dato», disse Nightshade. «Siete voi. Voi siete tanto triste.»
Mina rise. «Non essere ridicolo! Io non sono triste. Io ho tutto ciò che voglio. Ho l’amore e la fiducia del mio signore, e ho potere...»
Si zittì. La sua risata svanì, e Mina si strinse maggiormente nello scialle. Sentiva fresca l’aria nella grotta, dopo essere stata fuori al calore della luce solare. «Io non sono triste.»
«Non voglio dire che siete triste voi», balbettò Nightshade. Diede un’occhiata a Rhys, cercando il suo aiuto.
Rhys non ne aveva da offrire. Non aveva idea di che cosa stesse dicendo il kender.
«Quando vi guardo, mi sento triste.»
«E fai bene», disse minacciosamente Mina. Tornò a rivolgersi a Rhys. «Dimmi, monaco. Dimmi la risposta all’indovinello.»
«Quale indovinello, signora?» domandò stancamente Rhys.
Mina ci ripensò. «Il drago sembrava sorpreso di vedermi. Non era arrabbiato né furioso. Era sorpreso. Mi ha detto: "Chi sei? Da dove vieni?"»
Mina si inginocchiò davanti a Rhys per guardarlo dritto negli occhi. «Questo è l’indovinello. Io non so rispondere, ma tu sì. Tu lo sai chi sono io.»
Rhys fece del suo meglio per spiegare. «Signora, il drago vi ha posto l’indovinello eterno: l’indovinello che l’intera umanità si pone e a cui nessuno sa dare risposta. "Chi sono io? Da dove vengo?" Noi ci sforziamo per tutta la vita di capire...»
Lo sguardo di Mina si fece distratto. Lei lo guardava, ma non lo vedeva. Stava vedendo il drago.
«No», disse a bassa voce. «Non va bene. Non è così che l’ha detto. L’inflessione è sbagliata.»
«L’inflessione?» Rhys scrollò il capo. «Non so che cosa intendiate, signora.»
«Il drago non intendeva: "Chi sei?" Il drago intendeva: "Chi sei tu? Da dove vieni tu?"»
Gli occhi d’ambra di Mina si concentrarono di nuovo su di lui. «Hai capito la differenza?»
Rhys alzò le spalle. «Io non conosco la risposta. Dovreste parlare col drago, non con me.»
«Il drago si è infuriato. Pensava che lo prendessi in giro, e non voleva più avere niente a che fare con me. Io veramente non so che cosa intendesse, ma tu sì, e me lo dirai.»
Mina gli afferrò il mento e gli sbatté la testa contro la parete di roccia frastagliata. Il colpo gli spedì scintille di dolore feroce nel cranio. La vista gli si annebbiò, e per un momento Rhys temette di svenire. Sentì in bocca il sapore del sangue per essersi morso l’interno della guancia. La testa gli pulsava.
«Non posso dirvi ciò che non so», disse Rhys, sputando sangue.
«Non vuoi dirmelo, intendi.»
Mina lo guardò con occhio furioso. «Ho sentito dire che voi monaci siete addestrati a sopportare il dolore, ma questo solo quando siete vivi.»
Si chinò su di lui, mise le mani sul fondo roccioso sui due lati di Rhys. I suoi occhi d’ambra, da vicino, parevano inghiottirlo. «Uno dei Prediletti mi direbbe tutto ciò che voglio farmi dire. I Prediletti non mentono a me. Tu potresti assaporare il bacio di Mina, monaco.»
Le labbra di lei gli sfiorarono la guancia.
A Rhys si strinse lo stomaco. Il cuore gli si accartocciò. Pensò a Lleu, un mostro che ardeva di dolore e che poteva trovare sollievo soltanto nell’assassinio.
Rhys inspirò e disse, con tutta la calma che poté: «Dovrei pronunciare un giuramento a Chemosh, e questo non lo farò mai».
Mina sorrise sdegnosa. «Non fingere di essere tanto virtuoso, monaco. Tu sei vincolato da giuramento a Zeboim. Me l’ha detto lei. Se io glielo chiedo, lei venderà la tua anima a Chemosh...»
«Io sono vincolato da giuramento a Majere», disse tranquillamente Rhys.
Mina si tirò indietro a sedere sui talloni. Arricciò il labbro. «Bugiardo! Tu hai abbandonato Majere. Me l’ha detto Zeboim.»
«Grazie alla saggezza di un kender e al rifiuto del mio dio di abbandonarmi, ho imparato la lezione», disse Rhys. «Ho chiesto perdono a Majere e lui mi ha concesso la sua benedizione.»
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