Lois Bujold - L’ombra della maledizione

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 Da una grande maestra della narrativa fantastica, più volte vincitrice del premio Hugo, un potente racconto di mistero, magia e tradimento. Il destino di un cavaliere, della sua stirpe e di un regno tormentato. Provato nel corpo e nello spirito da una lunghissima prigionia, il comandante Lupe dy Cazaril ritorna nel regno di Chalion, in cui aveva servito come paggio, e viene nominato tutore di Royesse, bella e intelligente sorella dell’erede al trono. Ma quell’occasione di riscatto si trasforma presto in un incubo, poiché Cazaril scopre che a corte proprio quegli uomini che lo hanno tradito ora occupano posti di grande potere. E scopre soprattutto che l’intera stirpe di Chalion è gravata da una terribile maledizione, che non può essere annullata se non con la magia più nera…

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«Ci sto pensando, Erudito Umegat», rispose la Devota, con un timido sorriso.

«Se dovessi restare a corto d’idee, attingerò ai miei ricordi giovanili e vedrò di offrirti qualche suggerimento.»

«Credevo che sarei stata mandata a leggere al Divino qualche noioso testo di teologia», commentò la Devota, porgendo il libro a Cazaril, «ma lui ha preferito questo volume di racconti.»

Cazaril esaminò con interesse il volume che, a giudicare dal marchio dello stampatore, era di origine ibrana.

«È un’idea interessante», affermò Umegat. «L’autore segue un gruppo di viandanti in pellegrinaggio verso un santuario, e a turno ciascuno di essi narra la sua storia. È tutto molto… sacro.»

«A dire il vero, mio signore, alcune storie sono alquanto lascive», sussurrò la Devota.

«Dovrò rispolverare il sermone di Ordol relativo alle lezioni della carne. Ho promesso alla Devota di ridurre il tempo delle sue penitenze al Bastardo ogni volta che arrossirà, e temo che mi abbia creduto», sorrise Umegat.

«Io… ah… mi piacerebbe avere in prestito quel libro, quando avrai finito di leggerlo.»

«Te lo farò consegnare, mio signore.»

Congedatosi dal roknari, Cazaril riattraversò la Piazza del Tempio e si avviò per risalire la collina, ma deviò prima di giungere in vista dello Zangre e si diresse invece al palazzo cittadino del Provincar della Baocia. Quel massiccio, antico edificio di pietra somigliava a Palazzo Jironal, ma era molto più piccolo e privo di finestre al piano inferiore, mentre quelle al piano superiore erano protette da griglie di ferro battuto. L’edificio era stato riaperto non solo per il suo signore e la sua signora, ma anche per la vecchia Provincara e per Lady Ista, arrivate da Valenda. Pieno al massimo della sua capienza, quel palazzo, un tempo abitato soltanto da un cupo silenzio, si era trasformato in una specie di ronzante alveare. Giunto ai cancelli, Cazaril si presentò a un ossequioso portinaio e, dopo avergli comunicato il motivo della sua visita, venne accompagnato all’interno senza indugi.

In un’alta camera soleggiata, posta sul retro della casa, trovò la Royina Vedova Ista. Era seduta su una piccola balconata dalla ringhiera di ferro, affacciata su un giardinetto e sul recinto annesso alle stalle. Congedata la dama di compagnia, Ista indicò a Cazaril di occupare la sedia che la donna aveva lasciato libera, adiacente alla sua. Quel giorno, i capelli castani di Ista erano intrecciati intorno alla testa, e il suo volto e il suo abbigliamento apparivano così nitidi e definiti che Cazaril quasi se ne stupì.

«È un ambiente gradevole», osservò lui, sedendosi.

«Sì, mi piace questa stanza. È quella che occupavo da ragazza, quando mio padre ci portava con sé alla capitale, il che non accadeva spesso. Il vantaggio maggiore, però, è che da qui non posso vedere lo Zangre», aggiunse, abbassando lo sguardo sul sottostante giardino, delimitato e protetto.

«La scorsa notte, però, ci siete stata, al banchetto», obiettò Cazaril, rammentando che aveva potuto scambiare con lei soltanto poche parole formali. Lei si era limitata a congratularsi per la sua nomina a Cancelliere e per il suo fidanzamento, e se n’era andata abbastanza presto. «Devo dire che avevate un aspetto splendido e che Iselle è stata gratificata dalla vostra presenza.»

«Mangio a palazzo per farle piacere, ma non intendo dormirci», replicò Ista.

«Suppongo che gli spettri siano ancora in circolazione, solo che io non li posso più vedere… Con mio estremo sollievo, vorrei aggiungere.»

«Anch’io non riesco a vederli né con la vista fisica né con la seconda vista, ma li percepisco, quasi fossero un gelo che riveste le pareti. Ma forse è soltanto il loro ricordo a raggelarmi. Detesto lo Zangre», ammise Ista, sfregandosi le braccia come per scaldarle.

«Quei poveri spettri… Li comprendo molto meglio adesso che non quando mi terrorizzavano», osservò Cazaril. «In un primo tempo, ho creduto che l’esilio e il disfacimento fossero una sorta di rifiuto da parte degli Dei, una dannazione, ma adesso so che è un atto di misericordia. Quando vengono accolte presso gli Dei, le anime rammentano loro stesse… La mente può contemplare tutta la propria vita contemporaneamente, come fanno gli Dei, quasi con la stessa spaventosa chiarezza con cui la materia ricorda se stessa. Per alcuni, questa forma di paradiso può riuscire intollerabile, un vero inferno, ed è per questo che gli Dei concedono loro la liberazione dell’oblio.»

«L’oblio… Esso mi appare come un paradiso. Credo che pregherò di diventare anch’io uno spettro del genere.»

Temo si tratti di una misericordia che ti verrà negata , pensò Cazaril. «Sapete che la maledizione è stata rimossa da Iselle, da Bergon, da tutti quanti e da tutta Chalion?»

«Sì. Iselle me ne ha parlato, entro i limiti in cui è in grado di capire l’accaduto, ma io ho percepito la cosa mentre succedeva. Le mie dame mi stavano vestendo per andare alle preghiere del mattino del Giorno della Figlia e, sebbene non ci sia stato nulla da vedere, da sentire o da percepire, d’un tratto mi è sembrato che una nebbia si fosse dissolta dalla mia mente. Non mi ero resa conto di quanto la maledizione mi si fosse avviluppata intorno, come una nebbia umida che avvolgesse la pelle della mia anima, finché non è svanita. A quel punto, ho temuto che voi foste morto e ne ero dispiaciuta.»

«In effetti sono morto, ma la Signora mi ha rimandato nel mondo, nel mio corpo, cioè, anche se il mio amico Palli sostiene che non mi ha rimesso a posto nel modo giusto.»

«È strano… Il dissolversi della maledizione ha reso il mio dolore più nitido, e tuttavia più distante», mormorò Ista, distogliendo lo sguardo.

«Lady Ista, avevate ragione riguardo alla profezia», affermò Cazaril, schiarendosi la gola. «Ci volevano tre morti. E io, concentrandomi sul matrimonio, ho sbagliato volutamente , perché avevo paura e la vostra strada mi pareva troppo difficile. Tuttavia, alla fine, ogni cosa è andata per il meglio nonostante i miei errori e per grazia della Signora.»

«L’avrei fatto io stessa, se avessi potuto», disse Ista, con una nota di amarezza nella voce. «Evidentemente, il mio sacrificio non è stato giudicato accettabile.»

«Non si tratta di… Non è questo il motivo», protestò Cazaril. «Sì, insomma, lo è e tuttavia non lo è. È una cosa che riguarda la forma della vostra anima e non il fatto che essa sia degna oppure no. Bisogna trasformarsi in una coppa, per ricevere ciò che vi si riversa, mentre voi siete — e siete sempre stata — una spada, come vostra madre e vostra figlia… Le donne della vostra famiglia hanno tutte un carattere d’acciaio. Adesso capisco perché, prima d’ora, non avevo mai visto dei santi. Il mondo non si abbatte sulla loro volontà come l’onda su una roccia né si apre davanti a loro come acqua tagliata dalla prua di una nave. Essi sono agili e flessibili, e nuotano attraverso il mondo, silenziosi come pesci.»

Ista si limitò a inarcare le sopracciglia, ma Cazaril non riuscì a capire se quello era un gesto di assenso, di disaccordo o di semplice, garbata ironia.

«Ora che state meglio, dove andrete?» chiese, cambiando argomento.

«La salute di mia madre sta diventando sempre più precaria… Immagino che invertiremo i ruoli e che io la assisterò, nel castello di Valenda, come lei ha assistito me», rispose Ista, scrollando le spalle. «Preferirei tuttavia andare in qualche posto dove non sono mai stata, un posto che non sia né Valenda né Cardegoss, e che non ospiti ricordi.»

Cazaril non trovò nulla da obiettare, ma il suo pensiero corse a Umegat che, pur non essendo un superiore spirituale di Ista, s’intendeva di perdite e di dolori come pochi altri, tanto da aver reso quasi un’arte la capacità di riprendersi. Dal canto suo, Ista aveva almeno altri vent’anni per ritrovare un equilibrio. Quando Umegat, che all’epoca aveva più o meno l’età attuale di Ista, aveva recuperato il corpo devastato di Daris, forse si era infuriato e aveva pianto, proprio come lei, oppure aveva imprecato contro gli Dei con la stessa freddezza dei suoi gelidi silenzi.

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