Terry Pratchett - Il colore della magia

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In un angolo remoto dell’universo in una piega isolata del tempo, esiste l’incredibile mondo Disco la cui forma è perfettamente conforme al proprio nome: è infatti un gigantesco disco che le più recenti teorie astronomiche in voga sul pianeta vogliono sorretto da quattro magici elefanti ritti in piedi sul dorso di una cosmica tartaruga (il cui sesso è tuttavia ancora ignoto). La superficie superiore di Disco ospita numerosi regni e varie razze di abitanti, ma la leggenda vuole che anche sul lato inferiore del pianeta esistano terre abitate, ovvero il mitico continente Contrappeso. La leggenda diventa realtà quando nella città di Ankh-Morpork arriva un inatteso visitatore dal continente misterioso: è l’ingenuo e ricchissimo Duefiori, sempre seguito fedelmente dal suo forziere ricco di tesori e di decine di zampette, e ben deciso a godersi una meritata vacanza in veste di turista. Ma fra i troll e i tagliagole che abbondano in città un ricco forestiero può avere vita breve, e un incidente diplomatico va evitato in ogni modo. Al mago Rincewind tocca dunque il compito dì guidare e proteggere l’incauto turista… un’impresa alquanto pericolosa, per non dire disperata.

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Ormai il Viaggiatore si muoveva rapidamente. Scuotivento scorgeva la distesa d’acqua illuminata dal sole e l’incredibile Rimbow. che balenava allettante al di là, e invitava i folli ad avventurarsi troppo lontano… Vide anche un gruppo di uomini che si arrampicavano disperatamente sui pendii della rampa di lancio e manovravano un grosso tronco squadrato nel tentativo frenetico di fare deragliare il vascello prima che svanisse oltre il Bordo. Le ruote ci sbatterono contro, con il solo effetto che la nave ondeggiò, Duefiori perse la presa sulla scala e cadde nella cabina e il portello si richiuse con fracasso. Scuotivento si tuffò in avanti, gemendo, e tentò di aprirlo.

Ormai il mare coperto di bruma era molto più vicino. E il Bordo, che costituiva il perimetro roccioso dell’arena, era anch’esso minacciosamente prossimo.

Scuotivento si rialzò. Non c’era più che una cosa da fare, e lui la fece. Fu colto dal panico quando i carrelli, venuti a contatto con la leggera salita del binario, sbalzarono il vascello, simile a un salmone scintillante, in aria e oltre il Bordo.

Pochi secondi dopo, accompagnato dal rumore di dozzine di piedini, il Bagaglio superò l’orlo del mondo, con le gambe che seguitavano a pedalare con lena, e sprofondò nell’Universo.

Fine

Scuotivento si svegliò e rabbrividì. Era gelato.

"Allora è così", pensò. "Quando uno muore, va in un luogo freddo, umido, nebbioso. L’Ade, dove i mesti spiriti dei Morti vagano per sempre nelle tristi paludi, con i fuochi fatui tremolanti… Aspetta un minuto…"

Di sicuro l’Ade non era poi così scomodo? Lui invece lo era, e molto. La schiena gli doleva nel punto in cui un ramo la comprimeva, le gambe e le braccia, lacerate dai ramoscelli gli facevano male e, a giudicare da come si sentiva la testa, qualcosa di duro recentemente l’aveva colpita.

"Se questo era l’Ade, sicuramente si trattava dell’inferno… Aspetta un minuto…"

Albero. Si concentrò sulla parola scaturita dalla sua mente: un successo inaspettato, dato il ronzio nelle orecchie e le luci danzanti davanti agli occhi. Albero. Una cosa di legno. Ci siamo! Rami e ramoscelli e cose. E, sdraiato sopra, Scuotivento. Albero. Gocciolante d’acqua. Una bianca nube fredda tutta intorno. Anche sotto. Strano.

Era vivo e si trovava, pieno di lividure e graffi, sdraiato su un alberello spinoso che cresceva nel crepaccio di una roccia; e questa si protendeva dalla bianca parete spumeggiante della cascata. Rabbrividì. L’Albero diede uno scricchiolio di avvertimento.

Una forma vaga, azzurra, gli sfrecciò davanti, s’immerse per un attimo nelle acque rombanti, tornò indietro e si fermò su un ramo vicino alla testa di Scuotivento. Era un uccellino con un ciuffo di penne azzurre e verdi. Inghiottì il pesciolino d’argento che aveva strappato alla Cascata e gli diede un’occhiata curiosa.

Il mago si accorse che intorno a lui svolazzava un gran numero di uccelli simili.

Si libravano nell’aria, sfrecciavano e calavano senza sforzo nell’acqua; spesso uno di loro strappava alla cascata una preda e così facendo sollevava uno spruzzo extra. Parecchi erano appollaiati sull’albero, iridescenti come gioielli. Scuotivento li contemplava affascinato.

Era in realtà il primo uomo che avesse mai visto i rimpescatori. le minuscole creature che tanto tempo prima avevano sviluppato uno stile di vita assolutamente unico anche per il Disco. Molto prima che i krulliani costruissero la Circonferenza, i rimpescatori avevano escogitato il loro metodo efficace per campare al confine del mondo.

La presenza di Scuotivento non sembrava infastidirli. Lui ebbe una rapida agghiacciante visione di se stesso che passava il resto della vita su quell’albero, mangiando uccelli crudi e il pesce che riusciva a strappar loro quando gli svolazzavano vicino.

L’albero si mosse. Scuotivento, che si sentiva scivolare all’indietro, ebbe un lamento. Riuscì però ad aggrapparsi a un ramo. Solo che, presto o tardi, si sarebbe addormentato…

Nella scena si produsse un leggero cambiamento e nel cielo apparve una luce rosata. Nell’aria, vicino all’albero, si librava un’alta figura ammantata di nero. In una mano teneva una falce. Il viso era nascosto all’ombra dei cappuccio.

— Sono venuta per te — disse la bocca invisibile, in toni grevi come il battito del cuore di una balena.

Il tronco dell’albero ebbe un altro scricchiolio di protesta; una radice si staccò dalla roccia e fece rimbalzare una pietra sul casco di Scuotivento.

La Morte veniva sempre di persona a mietere le anime dei maghi.

— Di che cosa morirò? — chiese Scuotivento.

L’alta figura esitò. — Pardon? — disse.

— Be’ non mi sono rotto niente e non sono affogato, quindi di che cosa morirò? Uno non può essere ucciso dalla Morte; deve esserci una ragione. — Con sua enorme sorpresa, il mago non si sentiva più terrorizzato. Forse per la prima volta in vita sua non aveva paura. Peccato che l’esperienza non sarebbe durata a lungo.

Sembrò che la Morte fosse giunta a una conclusione.

— Potresti morire di terrore — intonò. La voce conservava la sua nota cimiteriale, ma rivelava un lieve tremito d’incertezza.

— Non funzionerà — affermò Scuotivento con aria compiaciuta.

— Non è necessario che ci sia una ragione. Posso semplicemente ucciderti.

— Ehi, non puoi farlo! Sarebbe un omicidio!

La figura sospirò e si tirò indietro il cappuccio. Invece della testa ghignante della morte, che Scuotivento si aspettava, si trovò di fronte la faccia pallida e vagamente trasparente di un demone dall’aria alquanto preoccupata.

— Sto facendo un gran pasticcio, vero? — disse questi stancamente.

— Tu non sei la Morte? Chi sei? — gridò Scuotivento.

— Scrofola.

Scrofola ?

— La Morte non poteva venire. — Il demone appariva infelice. — A Pseudopolis c’è una grande pestilenza. Doveva andare a pattugliare le strade. Così ha mandato me.

— Nessuno muore di scrofola! Ho i miei diritti. Sono un mago!

— Va bene, va bene. Questa doveva essere la mia grande occasione — disse la Scrofola. — Ma rifletti: se ti colpisco con questa falce sarai morto proprio come se l’avesse fatto la Morte. Chi lo verrebbe a sapere?

— Lo saprei io!

— No, che non lo sapresti. Saresti morto. — La logica di Scrofola era ineccepibile.

— Smamma! — disse Scuotivento.

— Va bene tutto. — Il demone alzò la falce. — Ma perché non cercare di guardare le cose dal mio punto di vista? Per me questo ha una grande importanza e tu devi ammettere che la tua vita non è poi tanto meravigliosa. La reincarnazione può solo rappresentare un miglioramento… uh!

Si portò la mano alla bocca, ma Scuotivento già gli puntava contro un dito tremante.

— Reincarnazione! — esclamò eccitato. — Allora è vero ciò che affermano i mistici!

— Io non ammetto niente — ribatté la Scrofola stizzosa. — Mi è sfuggito. Allora, sei pronto a morire di buon grado o no?

— No!

— Come vuoi — replicò il demone. Sollevò la falce, che si abbassò sibilando come maneggiata da un professionista. Ma Scuotivento non c’era. In effetti si trovava vari metri più in basso e la distanza andava sempre crescendo, perché il ramo aveva scelto quel preciso momento per spezzarsi e spedirlo in un viaggio ininterrotto verso il golfo interstellare.

— Torna indietro! — urlò il demone.

Il mago non rispose. Galleggiava prono nell’aria e fissava le nuvole che si stavano diradando.

E svanirono.

Sotto, l’Universo intero strizzava l’occhio a Scuotivento. C’era la Grande A’Tuin, immensa, ponderosa e costellata di crateri. C’era il satellite del Disco. C’era un bagliore lontano che poteva essere soltanto il Possente Viaggiatore. E c’erano tutte le stelle, simili a diamanti polverizzati appuntati su velluto nero, le stelle che attiravano e finalmente chiamavano a loro i più audaci…

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