Patrick Süskind - Il profumo

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Jean-Baptiste Grenouille, nato il 17 luglio 1783 nel luogo più puzzolente di Francia, il Cimetière des Innocents di Parigi, rifiutato dalla madre fin dal momento della nascita, rifiutato dalle balie perché non ha l'odore che dovrebbero avere i neonati, anzi perché "non ha nessun odore", rifiutato dagli istituti religiosi, riesce a sopravvivere a dispetto di tutto e di tutti. E, crescendo, scopre di possedere un dono inestimabile: una prodigiosa capacità di percepire e distinguere gli odori. Forte di questa facoltà, di quest'unica qualità, Grenouille decide di diventare il più grande profumiere del mondo, e il lettore lo segue nel suo peregrinare tra botteghe odorose, apprendista stregone che supera in breve ogni maestro passando dalla popolosa e fetida Parigi a Grasse, città dei profumieri nell'ariosa Provenza. L'ambizione di Grenouille non è quella di arricchirsi, né ha sete di gloria; persegue, invece, un suo folle sogno: dominare il cuore degli uomini creando un profumo capace di ingenerare l'amore in chiunque lo fiuti, e pur di ottenerlo non si fermerà davanti a nulla.

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A poco a poco riuscì a strappare a Grenouille la preparazione delle ricette di tutti i profumi che questi aveva inventato fino allora, e infine gli vietò persino di prepararne di nuovi senza che lui, Baldini, fosse presente con penna e carta a osservare il processo con occhi d’Argo e a documentarlo passo per passo. I suoi appunti, ben presto molte dozzine di formule, li trascrisse poi a fatica in bella calligrafia su due diversi libriccini; uno lo chiuse a chiave nella sua cassaforte a prova di fuoco, l’altro lo portò sempre con sé, anche di notte quando andava a dormire. Questo gli diede sicurezza. Infatti adesso, se voleva, era in grado di compiere da sé i miracoli di Grenouille, quei miracoli che l’avevano scosso profondamente quando ne aveva fatto esperienza la prima volta. Con la sua raccolta di formule scritte credeva di poter scongiurare il tremendo caos creativo che sgorgava dall’intimo del suo apprendista. Anche il fatto di prender parte ai riti creativi non più soltanto con sciocco stupore, bensì osservando e registrando, ebbe un effetto tranquillizzante su Baldini e rafforzò la sua fiducia in se stesso. Dopo un certo tempo ebbe persino la sensazione di contribuire in modo fondamentale alla riuscita dei sublimi aromi. E subito dopo averli registrati nel suo libretto e quando li custodiva in cassaforte, o ben stretti sul proprio petto, non dubitava più che fossero in tutto e per tutto suoi. Ma anche Grenouille fu avvantaggiato dal procedimentodisciplinare impostogli da Baldini. In verità avrebbe anche potuto farne a meno. Non occorreva mai che consultasse una vecchia formula per ricostruire un profumo dopo settimane o mesi, perché non dimenticava gli odori. Ma con l’uso obbligatorio del misurino e della bilancia imparò il linguaggio dell’arte profumiera, e sentì per istinto che la conoscenza di questo linguaggio avrebbe potuto essergli utile. In poche settimane Grenouille non soltanto imparò i nomi di tutte le sostanze odorose del laboratorio di Baldini, ma fu anche in grado di scrivere da sé la formula dei suoi profumi e viceversa di trasformare formule e indicazioni non sue in profumi e in altri prodotti profumati. E più ancora! Dopo aver imparato a esprimere in grammi e gocce le sue idee in fatto di profumi, non gli servì neppure più la fase sperimentale intermedia. Quando Baldini lo incaricava di inventare un nuovo aroma, sia per creare un profumo da fazzoletto, sia per un sachet, sia per un belletto, Grenouille non poneva più mano a flaconi e a polverine, ma si limitava a sedersi al tavolo e a scrivere la formula direttamente. Aveva imparato ad ampliare il percorso dalla sua rappresentazione olfattiva interna al profumo finito aggirando la fabbricazione della formula. Per lui era soltanto un tragitto più lungo. Ma agli occhi del mondo, cioé agli occhi di Baldini, era un progresso. I miracoli di Grenouille restavano gli stessi. Ma le ricette che ora li corredavano facevano sì che il procedimento non incutesse più paura, e questo era un vantaggio. Quanto più Grenouille dominava le mosse e i procedimenti del mestiere, quanto più sapeva esprimersi normalmente nel linguaggio convenzionale dell’arte profumiera, tanto meno il padrone lo temeva e sospettava di lui. Ben presto Baldini lo considerò senz’altro ancora un individuo dotato di un olfatto non comune, ma non più un novello Frangipane o addirittura un inquietante stregone, e a Grenouille andava bene così. La regola del mestiere era per lui un piacevole camuffamento. Tranquillizzava persino Baldini con il suo procedimento esemplare che consisteva nel pesare gli ingredienti, nell’agitare la bottiglia della miscela e nel tamponare i fazzoletti bianchi per le prove. Era già quasi in grado di agitare questi ultimi con gesti aggraziati, di farli passare sotto il naso elegantemente come il padrone. E talvolta, a intervalli ben meditati, commetteva errori, fatti in modo che Baldini fosse costretto a notarli: dimenticava di filtrare, orientava la bilancia in modo sbagliato, annotava in una formula una percentuale assurdamente alta di tintura di ambra… e si lasciava rinfacciare l’errore, per poi a bella posta correggerlo. In tal modo riusciva a cullare Baldini nell’illusione che alla fin fine tutto andasse come doveva. Non voleva certo spaventare il vecchio. Anzi, voleva davvero imparare da lui. Non la miscela dei profumi, non la giusta composizione di un aroma, naturalmente no! In questo campo nessuno al mondo avrebbe potuto insegnargli qualche cosa, e anche gli ingredienti presenti nel negozio di Baldini non sarebbero mai bastati a realizzare le sue idee di un profumo veramente importante. Quello che poteva realizzare da Baldini in fatto di odori erano passatempi, paragonati agli odori che portava dentro di sé e che pensava di creare un giorno. Ma per questo, lo sapeva, gli occorrevano due presupposti indispensabili: uno era la copertura di un’esistenza borghese, o per lo meno della categoria dei garzoni, al cui riparo egli avrebbe potuto indulgere alle proprie passioni e perseguire indisturbato i suoi scopi. L’altro era la conoscenza di quei procedimenti artigianali con cui si potevano produrre, isolare, concentrare e conservare le sostanze aromatiche, e soltanto allora disporne per un uso più nobile. Infatti Grenouille possedeva sì il naso migliore del mondo, sia dal punto di vista analitico sia da un punto di vista profetico, ma non possedeva ancora la capacità di impadronirsi degli odori in concreto.

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E così si lasciò istruire di buon grado nell’arte di far bollire il sapone fatto di grasso di maiale, di cucire guanti di pelle lavabile, di mescolare ciprie fatte di farina di frumento e di mandorle pestate e di radici di viole polverizzate. Arrotolò candele profumate fatte di carbone vegetale, salnitro e segatura di legno di sandalo. Confezionò pasticche orientali pressando insieme mirra, resina di benzoino e polvere d’ambra. Impastò incenso, gommalacca, vetiver e cannella per farne palline da bruciare. Setacciò e schiacciò con la spatola Poudre Impériale fatta di foglie di rosa, fiori di lavanda e corteccia di cascarilla triturati. Mescolò belletti, bianchi e azzurro-vena, e confezionò matite grasse, rosso-carminio, per le labbra. Elaborò la più fine polvere per unghie e gessi dentari dal sapore di menta. Mescolò liquidi per arricciare le parrucche e gocce antiverruca per i calli, sbiancalentiggini per la pelle ed estratto di belladonna per gli occhi, balsamo di cantaride per i signori e aceto igienico per le signore… La fabbricazione di tutte le acquette e polverine, degli articoli da toilette e di bellezza, ma anche di misture di tè e di spezie, di liquori, di marinate e simili, in breve, tutto ciò che Baldini aveva da insegnargli con la sua vasta cultura tradizionale, Grenouille lo imparò, in verità senza particolare interesse, ma anche senza lamentarsi e con successo.

Dimostrò invece un particolare interesse quando Baldini lo istruì nella fabbricazione delle tinture, degli estratti e delle essenze. Non si stancava mai di schiacciare noccioli di mandorle amare nel torchio a vite o di pestare semi di abelmosco o di triturare con la mezzaluna grassi gnocchi d’ambra grigia oppure di grattugiare radici di viole, per poi macerare i frammenti in alcool della miglior qualità. Imparò a conoscere l’uso dell’imbuto separatore, con cui si scindeva l’olio puro delle bucce di limone pressato dal torbido liquido residuo. Imparò a far seccare erbe e fiori stesi su reti in luoghi caldi e ombrosi, e a conservare le foglie fruscianti in recipienti e cassapanche sigillati con la cera. Imparò l’arte di depurare le pomate, di preparare gli infusi, filtrarli, concentrarli, chiarificarli e rettificarli.

Certo il laboratorio di Baldini non era adatto a produrre olii di fiori e di erbe in grande stile. Del resto a Parigi sarebbe stato quasi impossibile trovare le quantità necessarie di piante fresche. Tuttavia all’occasione, quando al mercato si potevano trovare a poco prezzo rosmarino fresco, salvia, menta o semi d’anice oppure quando arrivava una partita più grossa di bulbi di iris o di radici di valeriana, di cumino, di noce moscata o fiori di garofano secchi, la vena d’alchimista di Baldini si metteva a pulsare, e lui tirava fuori il suo alambicco grande, una tinozza di rame per distillare sulla quale era applicato un recipiente condensatore — un cosiddetto alambicco a testa di moro, come annunciava con orgoglio Baldini — con cui già quarant’anni prima aveva distillato lavanda all’aperto, sulle pendici meridionali della Liguria e sulle alture del Luberon. E mentre Grenouille sminuzzava il prodotto da distillare, Baldini con fretta febbrile — dato che la rapida elaborazione era l’alfa e l’omega del mestiere — accendeva un focolare coperto, sul quale collocava un paiolo di rame riempito di una buona quantità d’acqua. Gettava lì dentro le parti vegetali, tappava sul manicotto il doppio imbuto a testa di moro e vi collegava due tubicini per l’acqua che affluiva e che defluiva. Questa raffinata struttura per il raffreddamento dell’acqua, spiegava Baldini, l’aveva installata lui stesso soltanto in un secondo momento, perché ovviamente a suo tempo all’aperto avevano raffreddato l’acqua unicamente facendo vento. Poi soffiava sul fuoco per ravvivarlo.

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