A quel tempo a Parigi c’erano almeno una dozzina di profumieri. Sei di loro vivevano sulla riva destra, sei sulla riva sinistra e uno proprio nel mezzo, e cioé sul Pont au Change, che collegava la riva destra con l’Ile de la Cité. Su questo ponte avevano costruito da entrambi i lati case a quattro piani, così fitte che attraversandolo non si riusciva a vedere il fiume in nessun punto, e si aveva invece l’impressione di trovarsi in una strada del tutto normale, con solide fondamenta e per di più estremamente elegante. In effetti il Pont au Change era considerato un centro commerciale tra i più raffinati della città. Qui si trovavano i negozi più rinomati, qui c’erano gli orafi, gli ebanisti, i migliori produttori di parrucche e di borse, i fabbricanti di biancheria intima e delle calze più fini, corniciai, venditori di stivali da cavallerizzo, ricamatori di spalline, fonditori di bottoni d’oro e banchieri. E qui c’erano anche il negozio e l’abitazione del profumiere e guantaio Giuseppe Baldini. Sopra la sua vetrina si stendeva un lussuoso baldacchino laccato di verde, e lì accanto era appeso lo stemma di Baldini, tutto in oro, un flacone d’oro dal quale usciva un mazzo di fiori d’oro, e davanti alla porta c’era un tappeto rosso, che ugualmente riportava lo stemma di Baldini sotto forma di ricamo in oro. Quando si apriva la porta, risuonava un carillon persiano, e due aironi d’argento cominciavano a sprizzare dai becchi acqua di viole in una coppa dorata, anch’essa con la forma a flacone dello stemma di Baldini.
Poi, dietro al banco in legno di bosso chiaro, c’era Baldini in persona, vecchio e rigido come una colonna, in parrucca incipriata d’argento e giacca blu gallonata d’oro. Una nuvola d’acqua di frangipani, con cui si spruzzava tutte le mattine, lo avvolgeva in modo quasi visibile e spostava la sua figura in una vaga lontananza. Nella sua immobilità sembrava l’inventario di se stesso. Solo quando risuonava il carillon e gli aironi cominciavano a sprizzare — entrambe le cose non avvenivano molto di frequente — d’un tratto la vita si risvegliava in lui, la sua figura si ammorbidiva, diventava piccola e irrequieta e volava fuori, tra ripetuti inchini, da dietro il banco, talmente in fretta che la nuvola d’acqua di frangipani riusciva a malapena a seguirlo, per pregare i clienti di accomodarsi e di assistere all’esibizione dei profumi e dei cosmetici più pregiati.
Baldini ne aveva a migliaia. La sua offerta partiva dalle essences absolues, da olii di fiori, tinture, estratti, secrezioni, balsami, resine e altre droghe in forma secca, fluida o cerosa, passava a diverse pomate, paste, ciprie, saponi, creme, sachets, bandoline, brillantine, creme da barba, gocce antiverruca e finti nei, per finire con acque da bagno, lozioni, sali profumati, aceti da toilette e una serie infinita di profumi veri e propri. Ma Baldini non si accontentava di questi prodotti della cosmesi tradizionale. La sua ambizione consisteva nel radunare nel suo negozio tutto ciò che in genere emanava un profumo o che in qualche modo serviva al profumo. E così, accanto alle pasticche, ai coni e ai nastri d’incenso, si trovavano anche tutte le spezie possibili, dai semi d’anice alla scorza di cannella, sciroppi, liquori e distillati di frutta, vini di Cipro, Malaga e Corinto, miele, caffè, tè, frutta secca e candita, fichi, caramelle, cioccolato, marroni, persino capperi, cetrioli e cipolle in salamoia e tonno marinato. E poi ancora ceralacca odorosa, carta da lettera profumata, inchiostro per lettere d’amore all’olio di rose, cartelle da scrivania di pelle spagnola, portapenne in legno di sandalo bianco, cassettine e cassapanche in legno di cedro, pot-pourri e coppe per petali di fiori, incensieri d’ottone, flaconi e vasetti di cristallo con tappi d’ambra molata, guanti profumati, fazzoletti, cuscinetti per aghi da cucito imbottiti di fiori di macis e tappeti impregnati di aroma di muschio, che potevano riempire una stanza di profumo per più di cent’anni.
Naturalmente tutte queste merci non avevano posto nel lussuoso negozio che si affacciava sulla strada (o sul ponte), e così, in mancanza di una cantina, non soltanto il solaio della casa, ma tutto il primo e il secondo piano come pure quasi tutte le stanze del piano terra che davano sul fiume dovevano servire da magazzino. Di conseguenza, in casa Baldini regnava un indescrivibile caos di odori. Tanto era scelta la qualità dei singoli prodotti — Baldini acquistava infatti soltanto merci di primissima qualità — altrettanto intollerabile era la consonanza olfattiva dei medesimi, simile a un’orchestra composta da mille membri, in cui ciascun musicista suoni fortissimo una diversa melodia. Baldini stesso e i suoi impiegati erano divenuti insensibili a questo caos come certi vecchi direttori d’orchestra, i quali appunto sono tutti duri d’orecchio, e anche sua moglie, che abitava al terzo piano e lo difendeva strenuamente da un’ulteriore avanzata delle merci, non percepiva quasi più la moltitudine di odori come un disturbo. Non così avveniva al cliente che entrava per la prima volta nel negozio di Baldini. Il miscuglio di profumi che vi regnava lo colpiva come un pugno in faccia, lo esaltava o lo stordiva a seconda della sua costituzione, e comunque confondeva i suoi sensi al punto che spesso non ricordava neppure più la ragione per cui era entrato. I fattorini dimenticavano le ordinazioni. Signori dall’aspetto imponente si sentivano poco bene. E più di una signora era colta da un attacco a metà di isteria e a metà di claustrofobia, perdeva i sensi e tornava in sé soltanto con un potentissimo sale aromatico di olio di garofano, ammoniaca e alcool canforato.
In simili circostanze non c’era proprio da meravigliarsi che il carillon persiano davanti alla porta del negozio di Baldini risuonasse sempre più di rado e che sempre più di rado gli aironi d’argento sprizzassero acqua di viole.
«Chénier!» gridò Baldini da dietro il banco, dove era rimasto seduto per ore rigido come una colonna fissando la porta, «si metta la parrucca!» E tra barili d’olio d’oliva e prosciutti di Bayonne pendenti dal soffitto comparve Chénier, il garzone di Baldini, un po’ più giovane di quest’ultimo ma anche lui già anziano, e avanzò verso il reparto più elegante del negozio. Tolse la parrucca dalla tasca della giacca e se la calcò in testa. «Esce, signor Baldini?»
«No», disse Baldini, «mi ritiro per qualche ora nel mio studio e desidero non essere disturbato per nessun motivo.»
«Ah, capisco! Sta per creare un nuovo profumo.»
BALDINI È così. Servirà a profumare una pelle spagnola per il conte Verhamont. Vuole qualcosa di totalmente nuovo. Qualcosa come… come… credo si chiamasse «Amore e psiche» quello che voleva, e sembra che provenga da quel… quel guastamestieri di Rue Saint-André des Àrts, quel… quel…
CHÉNIER Pélissier.
BALDINI Già. Pélissier. Giusto. Così si chiama il guastamestieri. «Amore e psiche» di Pélissier. Lo conosce?
CHÉNIER Ma sì. Certo. Adesso lo si sente dappertutto. Lo si sente a ogni angolo di strada. Ma se vuole il mio parere: niente di speciale! Non si può comunque paragonare a quello che comporrà lei, signor Baldini.
BALDINI Naturalmente no.
CHÉNIER È un profumo estremamente comune, questo «Amore e psiche».
BALDINI Volgare?
CHÉNIER Proprio volgare. Come tutto quello che fa Pélissier. Credo che contenga olio di limoncello.
BALDINI Davvero? E che altro?
CHÉNIER Essenza di fiori d’arancio, forse. E forse tintura di rosmarino. Ma non posso dirlo con certezza.
BALDINI Mi è anche del tutto indifferente.
CHÉNIER Naturalmente.
BALDINI Me ne infischio di quello che ha diluito nel suo profumo quel guastamestieri di Pélissier. E neppure me ne lascerò ispirare!
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