Patrick Süskind - Il profumo

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Jean-Baptiste Grenouille, nato il 17 luglio 1783 nel luogo più puzzolente di Francia, il Cimetière des Innocents di Parigi, rifiutato dalla madre fin dal momento della nascita, rifiutato dalle balie perché non ha l'odore che dovrebbero avere i neonati, anzi perché "non ha nessun odore", rifiutato dagli istituti religiosi, riesce a sopravvivere a dispetto di tutto e di tutti. E, crescendo, scopre di possedere un dono inestimabile: una prodigiosa capacità di percepire e distinguere gli odori. Forte di questa facoltà, di quest'unica qualità, Grenouille decide di diventare il più grande profumiere del mondo, e il lettore lo segue nel suo peregrinare tra botteghe odorose, apprendista stregone che supera in breve ogni maestro passando dalla popolosa e fetida Parigi a Grasse, città dei profumieri nell'ariosa Provenza. L'ambizione di Grenouille non è quella di arricchirsi, né ha sete di gloria; persegue, invece, un suo folle sogno: dominare il cuore degli uomini creando un profumo capace di ingenerare l'amore in chiunque lo fiuti, e pur di ottenerlo non si fermerà davanti a nulla.

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E tuttavia, come tutte le grandi imprese dello spirito danno non soltanto luce, ma anche ombra, e procurano all’umanità, oltre che bene, anche miserie e sciagure, purtroppo anche la meravigliosa scoperta di Frangipane ebbe nefaste conseguenze: poiché ora, dopo aver imparato a fissare in tinture l’essenza dei fiori e delle erbe, dei legni, delle resine e delle secrezioni animali e a travasarle in boccette, l’arte del comporre profumi era pian piano sfuggita ai pochi universalmente esperti del mestiere e rimaneva aperta ai ciarlatani, anche se erano dotati soltanto di un naso discretamente fine, come ad esempio quella puzzola di Pélissier. Senza curarsi di come avesse avuto origine il contenuto prodigioso delle sue boccette, lui poteva limitarsi a seguire i suoi ghiribizzi olfattivi e miscelare quel che gli veniva in mente al momento o che il pubblico al momento desiderava.

Certo che quel bastardo di Pélissier a trentacinque anni possedeva già un patrimonio superiore a quello che lui, Baldini, era riuscito infine ad accumulare nella terza età con duro e tenace lavoro. E quello di Pélissier aumentava di giorno in giorno, mentre quello di Baldini di giorno in giorno diminuiva. Nei tempi passati non sarebbe mai avvenuta una cosa del genere! Che un artigiano rispettabile e un commerçant arrivato dovesse lottare per la pura sopravvivenza, era cosa che datava soltanto da pochi decenni! E cioé da quando ovunque e in tutti i campi era scoppiata questa febbrile mania di rinnovamento, questo sfrenato impulso all’attivismo, questa furia di sperimentazione, questa megalomania nel commercio, nel traffico e nelle scienze!

Oppure la follia della velocità! A che scopo avere tutte quelle strade nuove che stavano costruendo ovunque, e i nuovi ponti? A che scopo? Che vantaggio c’era nel poter andare fino a Lione in una settimana? A chi poteva importare? O recarsi oltre Atlantico, in un mese raggiungere l’America a gran velocità… come se per millenni non si fosse sopravvissuti egregiamente senza questo continente. Che cosa aveva perso l’uomo civilizzato nella foresta vergine degli indiani o presso i negri? Andavano persino in Lapponia, su al nord, tra i ghiacci eterni, dove vivevano selvaggi che divoravano i pesci crudi. E volevano scoprire ancora un altro continente, che dicevano si trovasse nei mari del sud, dovunque fosse. E a che scopo questa follia? Perché anche gli altri si comportavano così, gli spagnoli, i maledetti inglesi, quegli impertinenti degli olandesi, con cui poi si era costretti ad azzuffarsi, cosa che non ci si poteva proprio permettere. Trecentomila lire costa una nave da guerra, bene, e in cinque minuti, con un solo colpo di cannone, è affondata, addio per sempre, pagata con le nostre tasche. La decima parte su tutte le entrate pretende ultimamente il signor ministro delle Finanze, e questo è rovinoso, anche quando non si paga questa quota, perché già solo l’atteggiamento mentale nel suo insieme è dannoso.

La sventura dell’uomo ha origine dal fatto che non vuole starsene quieto nella sua stanza, nel luogo che gli compete. Dice Pascal. Ma Pascal era stato un grand’uomo, un Frangipane dello spirito, un lavoratore di quelli giusti, e oggi uno così non è più consultato. Oggi leggono libri sediziosi di ugonotti o di inglesi. Oppure scrivono trattati o cosiddette grandi opere scientifiche, in cui mettono in dubbio tutto e tutti. Non c’è più niente che debba andar bene, ora d’un tratto deve cambiar tutto. Adesso in un bicchier d’acqua pare ci siano bestioline piccolissime, che prima non si vedevano; la sifilide sembra essere una malattia del tutto normale e non più una punizione del Signore; si dice che Dio abbia creato il mondo non più in sette giorni, bensì in milioni di anni, sempre che sia stato lui; i selvaggi sono esseri umani come noi; i nostri figli li educhiamo in modo sbagliato; e la terra non è più rotonda come è sempre stata, bensì appiattita sopra e sotto al pari di un melone… come se questo fosse importante! In ogni campo si chiede, si fruga, si indaga, si spia e si fanno esperimenti d’ogni genere. Non basta più dire di una cosa che cos’è e com’è… ora tutto dev’essere dimostrato, possibilmente con testimoni e con cifre e con certe prove ridicole. Questi Diderot e d’Alembert e Voltaire e Rousseau o comunque si chiamino tutti gli imbrattacarte — tra loro ci sono persino religiosi e signori della nobiltà! — sono proprio riusciti a contagiare tutta la società con la loro perfida inquietudine, con il loro puro e semplice desiderio di essere scontenti e di non essere soddisfatti di nulla al mondo, in breve con l’enorme caos che regna nelle loro teste!

Dovunque si guardasse, c’era un’agitazione febbrile. La gente leggeva libri, persino le donne. I preti stavano seduti al caffè. E se per caso la polizia faceva irruzione e ficcava in prigione uno di questi furfantoni, subito gli editori cominciavano a sbraitare e inoltravano petizioni, e i signori e le signore più importanti facevano valere la loro influenza finché, dopo un paio di settimane, o lo rimettevano in libertà o lo facevano trasferire all’estero, dove poi quello continuava a pontificare senza ritegno. Nei salotti ormai si discuteva soltanto di orbite cometarie e di spedizioni, della forza sviluppata da una leva e di Newton, di canalizzazione, di circolazione sanguigna e del diametro del globo terrestre.

E persino il re permetteva che gli esibissero un’assurdità che andava di moda, una specie di temporale artificiale chiamato elettricità: al cospetto di tutta la corte un uomo strofinava una bottiglia e si creavano scintille, e Sua Maestà, dicono, appariva profondamente impressionato. Impensabile che il suo bisnonno, quel Luigi davvero grande, sotto il cui regno felice Baldini aveva ancora avuto la fortuna di vivere per anni, avrebbe tollerato d’assistere a una dimostrazione così ridicola! Ma tale era lo spirito dei tempi nuovi, e non lasciava presagire niente di buono!

Perché se già si poteva mettere in dubbio liberamente e nel più sfacciato dei modi l’autorità della chiesa di Dio; se si parlava della monarchia, non meno voluta da Dio, e della sacra persona del re, come se entrambe fossero soltanto le posizioni variabili di un intero catalogo di altre forme di governo che si potevano scegliere a proprio gusto; se infine si arrivava al punto, come in effetti avveniva, di considerare non indispensabile Dio stesso, l’Onnipotente, Lui in persona, e di affermare in tutta serietà che esistevano ordine, etica e felicità in terra indipendentemente da Lui, soltanto per moralità innata e per ragionevolezza degli uomini stessi… o Dio, o Dio!… allora certo non c’era da meravigliarsi se tutto andava a catafascio e i costumi si corrompevano e l’umanità attirava su di sé il castigo di Colui che sconfessava. Sarebbe finita male. La grande cometa del 1681, di cui si sono presi gioco, che hanno definito nient’altro che una massa di stelle, era pur stata un segnale d’ammonimento da parte di Dio, poiché aveva annunciato — ora lo si sapeva per certo — un secolo di disfacimento, di dissoluzione, di palude spirituale e politica e religiosa, che l’umanità stessa si era creata, nella quale essa stessa un giorno sarebbe sprofondata e nella quale sarebbero prosperati soltanto fiori palustri ambigui e puzzolenti come quel Pélissier!

Stava alla finestra, Baldini, il vecchio uomo, e guardava con occhi astiosi il sole che declinava sul fiume. Chiatte apparivano sotto di lui e scivolavano lente verso ovest, in direzione del Pont Neuf e del porto, passando davanti alle gallerie del Louvre. Qui non c’erano chiatte sospinte con pertiche controcorrente: quelle che dovevano risalire il fiume imboccavano il braccio d’acqua sull’altro lato dell’isola. Qui tutto scorreva via, le navi vuote e le navi cariche, le barche a remi e quelle piatte dei pescatori, l’acqua scura e sporca e quella increspata d’oro, ogni cosa scorreva, lenta, piana e inarrestabile. E quando Baldini guardava giù, proprio fino in fondo, lungo la parete della casa, sembrava che la corrente risucchiasse via anche le fondamenta del ponte su cui si trovava, e gli venivano le vertigini.

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