Neil Gaiman - Nessun dove

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Sotto le vie di Londra c’è un mondo che la maggior parte delle persone non riesce neppure a immaginare. Una città di mostri e di santi, di assassini e di angeli, cavalieri in armatura e pallide ragazze in velluto nero: questa è la Londra di chi è precipitato tra le fenditure. Richard Mayhew è un giovane uomo d’affari che sta per scoprire l’altra città: un singolo atto di generosità lo catapulta fuori dalla sua tranquilla e prevedibile esistenza e lo fa entrare in un mondo che è al tempo stesso stranamente familiare e incredibilmente bizzarro. C’è una ragazza di nome Porta e delle persone che vogliono ucciderla. C’è un angelo che si chiama Islington che vive in un salone illuminato dalle candele, e Old Bailey, che abita sui tetti. Ci sono ratti intelligenti e il signor Parla-coi-Ratti, e un Conte che tiene il proprio seguito sulla carrozza di un treno della metropolitana. Un ponte nella notte sta a guardia della perigliosa via verso Knightsbridge, dove vivono le persone delle fogne, la Bestia nel labirinto, e si scoprono pericoli e piaceri che superano la più fervida immaginazione. E Richard, che vorrebbe solo tornarsene a casa, troverà ad attenderlo uno strano destino. Laggiù, sotto le strade della sua città, in quel luogo chiamato Nessun.

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Richard apri gli occhi. «No, grazie» rispose.

Per prima cosa vide le piume. Non sapeva se si trattasse di un soprabito, di una cappa o di chissà che, ma qualunque cosa fosse quel capo di abbigliamento, era ricoperto di penne. Da tutto quel piumaggio spuntava una faccia, gentile e rugosa. Dove non era coperto di piume, il corpo appariva avvolto a destra e a sinistra da funi. Richard si scopri a ricordare una rappresentazione di Robinson Crusoe a cui aveva assistito da bambino: questo era Robinson Crusoe, se avesse fatto naufragio in cima a un tetto invece che su un’isola deserta.

«Mi chiamano Old Bailey, ragazzo» disse l’uomo Robinson Crusoe. Armeggiò alla ricerca di un paio di occhiali, che teneva appesi al collo con uno spago, li inforcò, e attraverso di essi scrutò Richard. «Non ti riconosco. A quale baronia serbi fedeltà? Qual’è il tuo nome?»

Richard si mise seduto. Sul lato opposto del tetto c’era qualcosa che pareva una tenda. Una vecchia tenda marrone, molto rammendata e punteggiata di bianco dagli escrementi degli uccelli.

«Taci!» disse il Marchese de Carabas. «Non dire un’altra parola.» Quindi si rivolse a Old Bailey. «Chi mette il naso dove non dovrebbe a volte…» fece schioccare rumorosamente le dita sotto il naso del vecchio, che sobbalzò «… lo perde. Ora, tu mi devi un favore da vent’anni, Old Bailey. Un grosso favore. È tempo che lo riscuota.»

Il vecchio lo guardò di sottecchi. «Sono stato un pazzo» disse piano.

«Non c’è pazzo più pazzo di un vecchio pazzo» confermò il Marchese. Si infilò la mano in una delle tasche interne del trench e ne trasse una scatolina d’argento, più grande di una tabacchiera, più piccola di una scatola per sigari e più riccamente decorata di entrambe. «Sai di cosa si tratta?»

«Vorrei non saperlo.»

«La terrai al sicuro per me.»

«Non voglio.»

«Non hai scelta» disse il Marchese de Carabas. Quindi diede un colpetto a Richard con la punta quadrata di uno stivale. «Bene» disse. «È meglio che ci diamo una mossa, ti pare?»

Attraversò il tetto a grandi passi, con Richard che lo seguiva tenendosi ben lontano dalla facciata del palazzo. Il Marchese apri una porta e cominciarono a scendere per una scala a chiocciola male illuminata.

«Chi era quell’uomo?»

I passi risuonavano sulle scale nella luce fioca.

«Non hai ascoltato una parola di quello che ho detto, vero? Sei già nei guai. Ogni cosa che fai, ogni cosa che dici, ogni cosa che senti, non fa che peggiorare la situazione. Faresti meglio a pregare di non esserti spinto troppo oltre.»

Richard piegò la testa da un lato. «Mi scusi» disse. «So che questa è una domanda indiscreta, ma lei, per caso, è clinicamente pazzo?»

«Possibile, ma assai improbabile. Perché?»

«Be’,» ribatté Richard «uno di noi deve esserlo per forza.»

Si trovavano ora nel buio più assoluto, e Richard inciampò leggermente mentre raggiungeva l’ultimo scalino, alla ricerca di un ulteriore inesistente gradino.

«Attento alla testa» disse il Marchese, e apri una porta mentre Richard batteva la fronte contro qualcosa e usciva, riparandosi gli occhi dalla luce.

Richard si strofinò la fronte. Poi si strofinò gli occhi. La porta che avevano appena attraversato era quella dello stanzino delle scope sulle scale del palazzo in cui abitava.

Il Marchese stava esaminando il volantino dell’ AVETE VISTO QUESTA RAGAZZA?attaccato accanto alla porta di Richard.

«Non il suo lato migliore» commentò.

Quindi Richard apri la porta d’ingresso, ed eccolo a casa. Era, gli fece piacere notare attraverso le finestre, un’altra volta notte.

«Richard!» esclamò Porta. «Ce l’hai fatta!»

Mentre lui era fuori, si era lavata, e l’aspetto degli strati di abiti dava l’idea che si fosse sforzata di eliminare sporco e sangue anche da li. Su viso e mani non c’era più traccia di sudiciume. Richard si chiese quanti anni avesse: quindici? sedici? di più? Non era comunque in grado di dirlo.

Aveva indossato la giacca di pelle che portava quando l’aveva trovata: un’enorme cosa marrone che somigliava a un vecchio giaccone da aviatore e che in qualche modo la faceva sembrare più piccola di quanto fosse in realtà, e anche più vulnerabile.

«Be’, si» disse Richard.

Il Marchese de Carabas appoggiò un ginocchio a terra davanti alla ragazza, chinò il capo e disse, «Mia signora.»

Lei pareva a disagio.

«Oh, alzati, de Carabas. Sono lieta che tu sia venuto.»

Si rialzò con un unico, armonioso movimento. «Mi è dato di capire» disse «che sono state pronunciate le parole favore, molto e grande. Congiuntamente.»

«Più tardi.» Andò da Richard e gli prese le mani. «Richard. Grazie. Ti sono davvero molto grata per tutto quello che hai fatto. Ti ho cambiato le lenzuola nel letto. E vorrei tanto ci fosse un modo per poterti ripagare.»

«Te ne vai?»

Annui. «Sono al sicuro adesso. Più o meno. Spero. Per un po’.»

«E dove vai?»

Gli sorrise dolcemente e scosse il capo. «Ah-ah. Sono uscita dalla tua vita. E tu sei stato meraviglioso.»

Si alzò sulla punta dei piedi e lo baciò sulla guancia.

«Se mai avessi bisogno di mettermi in contatto con te…?»

«Non ne avrai. Mai. E…» poi fece una pausa. «Senti, mi dispiace, d’accordo?»

Richard si controllò i piedi, con aria imbarazzata. «Non c’è nulla di cui dispiacersi» disse, e aggiunse incerto: «È stato divertente.»

Quindi alzò gli occhi.

Ma non c’era più nessuno.

TRE

Domenica mattina Richard prese dal cassetto in fondo all’armadio il telefono a forma di Bat-mobile che gli aveva regalato zia Maude un Natale di qualche anno prima, e lo inserì nella presa.

Provò a telefonare a Jessica, ma senza successo. La sua segreteria telefonica era spenta, e cosi anche il telefonino. Probabilmente era andata in campagna a casa dei suoi genitori.

I genitori di Richard erano morti entrambi. Suo padre era deceduto all’improvviso quando Richard era ancora un ragazzo, per un infarto. E da quel momento sua madre aveva iniziato a morire piano piano, cosicché quando Richard se ne era andato da casa si era semplicemente spenta: sei mesi dopo essersi trasferito a Londra aveva ripreso il vagone letto per la Scozia e aveva trascorso gli ultimi due giorni in ospedale, seduto accanto al suo capezzale. A volte lo riconosceva, altre volte lo chiamava con il nome di suo padre.

Richard si sedette sul divano a rimuginare. I fatti dei due giorni precedenti diventavano sempre meno reali, sempre meno verosimili. A essere reale restava il messaggio lasciato da Jessica nella sua segreteria. Lo ascoltò e lo riascoltò, quella domenica, sperando ogni volta che si addolcisse, che nella sua voce apparisse un po’ di calore. Non accadde.

Pensò di uscire a comprare il giornale, poi decise di non farlo. Arnold Stockton, il capo di Jessica, una caricatura di uomo dai molti menti che si era fatto da sé, era il propietario dei giornali della domenica che non appartenevano a Rupert Murdoch. I suoi giornali parlavano di lui. E anche gli altri.

Invece, si fece un bel bagno caldo, ingurgitò parecchi panini e numerose tazze di tè. Per un po’ guardò la televisione e si costruì delle conversazioni immaginarie con Jessica.

Alla fine di ogni dialogo mentale facevano l’amore in modo selvaggio, rabbioso, appassionato e solcato di lacrime; dopo di che tutto era di nuovo a posto.

Lunedì mattina la sveglia di Richard non suonò. Si precipitò in strada alle nove meno dieci, la valigetta che ondeggiava furiosamente, e si mise a guardare di qua e di là come un folle, alla ricerca di un taxi.

Poi sospirò di sollievo, perché una grossa auto nera era entrata nella sua via e si dirigeva proprio verso di lui, con la scritta gialla TAXI in brillante evidenza. Agitò la mano.

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