Man mano che avanzavano, Osha lanciava richiami nel fumo. Nessuno rispose. Un cane stava divorando un cadavere, ma quando percepì l’odore dei meta-lupi fuggì. Tutti gli altri animali erano stati sterminati nei canili. Anche i corvi messaggeri del maestro stavano banchettando con dei cadaveri, così come i corvi che nidificavano nella Torre Spezzata. Bran riconobbe Tym il Foruncoloso anche se qualcuno gli aveva aperto la faccia in due con un colpo d’ascia. Un cadavere carbonizzato, appena fuori dal guscio incenerito del Tempio della Madre, era seduto con le braccia alzate e le mani nere chiuse a pugno, quasi sfidando chiunque ad avvicinarsi.
«Se gli dei sono con noi» la voce di Osha era bassa, piena di rabbia «gli Estranei si porteranno quelli che hanno fatto questo.»
«È stato Theon» disse Bran cupamente.
«No, guarda» Osha indicò nel cortile con la picca. «Quello è uno dei suoi uomini di ferro. E là, quello è il cavallo da guerra di Greyjoy, vedi? Quello nero con tutte le frecce piantate dentro.» Si spostò tra i morti, con la fronte aggrottata. «E qui c’è Lorren il Nero.» Era stato macellato al punto che la sua barba era diventata di un colore rosso scuro. «Se n’è tirati dietro parecchi, però.» Osha rivoltò uno dei corpi con un piede. «Qui c’è un emblema. Un piccolo uomo, tutto rosso.»
«L’uomo scuoiato di Forte Terrore» disse Bran.
Improvvisamente, Estate emise un ululato e schizzò via.
«Il parco degli dei…» Meera Reed, con lo scudo e la lancia in pugno, corse sulla scia del meta-lupo.
Gli altri lo seguirono, avanzando tra le volute di fumo e le pietre crollate. L’aria era migliore sotto gli alberi. Ai margini del parco, qualche pino era stato annerito dal fuoco, ma più in avanti la vegetazione e il terreno umido avevano vinto le fiamme.
«C’è della forza nel legno che vive» Jojen Reed parve quasi leggere quello che passava nella mente di Bran. «Una forza possente quanto quella del fuoco.»
Maestro Luwin giaceva sul ventre, sul bordo della pozza di acqua scura al centro del parco degli dei, sotto la protezione dell’albero del cuore. Dietro di lui, sulle foglie cadute, una scia di sangue scuro indicava la strada che aveva percorso strisciando. Estate si fermò accanto a lui. Sulle prime, Bran pensò che l’anziano sapiente fosse morto. Ma quando Meera gli tastò la gola, Luwin emise un debole lamento. «Hodor?» disse Hodor, pieno di tristezza. «Hodor?»
Delicatamente, girarono Luwin sulla schiena. Aveva occhi grigi e capelli grigi. Un tempo, anche le sue tonache erano state grigie, ma adesso apparivano molto più scure, per tutto il sangue che le impregnava.
«Bran…» disse piano, nel vederlo alto nella cesta sulle spalle di Hodor. «E anche Rickon.» Il vecchio sorrise. «Gli dei sono misericordiosi. Lo sapevo…»
«Lo sapevi?» Bran non capiva.
«Le gambe, l’avevo capito… i vestiti erano giusti… ma i muscoli delle gambe… di quel ragazzino decapitato… povero figlio…» Tossì, e sputò altro sangue. «Siete svaniti… nella foresta… come?»
«Non siamo mai andati nella foresta» rispose Bran. «Be’, solo fino ai margini, e poi siamo tornati subito indietro. Ho mandato avanti i meta-lupi a lasciare le tracce, ma ci siamo nascosti nella tomba del lord mio padre.»
«Le cripte, certo» Luwin riuscì a sorridere, un po’ di sangue gli scintillava sulle labbra. Quando cercò di muoversi, emise un gemito.
Bran sentì gli occhi che gli si riempivano di lacrime. Quando qualcuno era ferito, lo si portava da un maestro. Ma quando un maestro era ferito, da chi lo si portava?
«Dobbiamo fare una lettiga per trasportarlo» disse Osha.
«Non serve» la fermò Luwin. «Sto morendo, donna.»
«Non puoi!» disse Rickon con rabbia. «No che non puoi!» Accanto a lui, Cagnaccio mostrò i denti e ringhiò.
«Zitto, piccolo» sorrise Luwin. «Sono molto più vecchio di te. E posso… morire quando ne ho voglia.»
«Hodor, giù» ordinò Bran. Hodor andò in ginocchio vicino al maestro.
«Ascolta…» Luwin disse a Osha. «I principi… gli eredi di Robb… non… non insieme… mi capisci?»
«Sì.» La donna dei bruti si appoggiò alla picca. «Più al sicuro separati. Ma dove? Pensavo, forse i Cerwyn…»
Maestro Luwin scosse il capo, anche se lo sforzo gli costò molto: «Il ragazzo Cerwyn è morto. Ser Rodrik, Leobald Tallhart, lady Hornwood… tutti morti. Deepwood Motte è caduta, Moat Cailin, presto anche Piazza di Thorren. Gli uomini di ferro sono sulla Costa Pietrosa. E a est, il Bastardo di Bolton.»
«Dove allora?» chiese Osha.
«Porto Bianco… gli Umber… non so… guerra dovunque… ogni uomo contro il suo vicino, e l’inverno sta arrivando… quale follia, quale nera, atroce follia…» maestro Luwin allungò una mano, afferrando Bran per un braccio, le dita serrate in un ultimo, disperato sforzo. «Devi essere forte, adesso. Forte. »
«Lo sarò» rispose Bran, ma era difficile. “Ser Rodrik è stato ucciso, e anche maestro Luwin. Tutti, tutti…”
«Bravo» disse Luwin. «Bravo ragazzo. Il figlio… di tuo padre, Bran. Ma ora va’.»
Osha alzò lo sguardo all’albero-diga, al volto rosso scolpito nel tronco pallido: «E lasciarti qui agli dei?».
«Ti chiedo…» sussurrò il maestro «… un… un sorso d’acqua… e poi… un altro favore… se puoi…»
«Sì.» Osha si girò verso Meera. «Porta via i ragazzi.»
Jojen e Meera guidarono Rickon fuori dal parco degli dei tenendolo in mezzo a loro. Hodor li seguì. Rami bassi strisciarono contro il volto di Bran mentre passavano tra gli alberi, e le foglie lavarono via le sue lacrime. Osha li raggiunse nel cortile qualche momento più tardi. Non disse una parola riguardo a maestro Luwin.
«Hodor deve restare con Bran» dichiarò in tono secco la donna dei bruti. «In modo da essere le sue gambe. Rickon lo prendo con me.»
«Noi andiamo con Bran» disse Jojen Reed.
«Sì, lo pensavo anch’io» disse Osha. «Credo che proverò la Porta Est, proseguendo sulla Strada del Re per un po’.»
«Noi prendiamo la Porta dei Cacciatori» disse Meera.
«Hodor» disse Hodor.
Prima di muoversi, passarono per le cucine. Osha trovò alcune forme di pane bruciacchiato ma ancora commestibile, e perfino un pollo arrostito che divise a metà. Meera scovò un’ampolla di miele e un grosso sacco di mele. Tornati fuori, venne il momento degli addii. Rickon si aggrappò alla gamba di Hodor e continuò a piangere fino a quando Osha non gli diede un colpetto sul didietro con il manico della picca. A quel punto, la seguì senza troppe proteste, Cagnaccio gli andò dietro. L’ultima immagine che Bran ebbe di loro fu la coda del meta-lupo che scompariva dietro la Torre Spezzata.
La grata di ferro che chiudeva la Porta dei Cacciatori era stata talmente deformata dal calore che non la si poteva sollevare per più di mezzo metro. Per oltrepassarla, furono costretti a strisciare con il ventre a terra tra i rostri inferiori, l’uno dopo l’altro.
«Andiamo dal lord vostro padre?» chiese Bran mentre attraversavano il ponte levatoio tra le mura. «Alla Torre delle Acque grigie?»
Meera guardò il fratello, cercando da lui una risposta.
«La nostra strada porta a nord» affermò Jojen.
Ai margini della foresta del lupo, Bran si voltò nella sua cesta. Voleva dare un ultimo sguardo al castello che era stato la sua vita. Fili di fumo si alzavano ancora nel cielo grigio, ma ormai non erano molto diversi da quelli che avrebbero potuto levarsi dai comignoli di Grande Inverno in un qualsiasi freddo pomeriggio d’autunno. Chiazze nere segnavano alcune delle feritoie degli arcieri. E, qua e là nelle mura perimetrali, mancava un merlo o si notava una crepa. Ma, visto da lontano, tutto questo sembrava poca cosa. Le sommità delle fortezze e delle torri si levavano come sempre avevano fatto per centinaia di anni, visto da lontano, era davvero difficile dire che il castello era stato saccheggiato e bruciato.
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