— Simpatizzo con il vostro problema. — Il dottore mi stava guidando verso la scala che saliva.
— Con il tempo, morivano — continuai cocciutamente, — o per le conseguenze delle torture subite o per altre cause. Non si otteneva alcuno scopo valido nel tenerli imprigionati.
— Suppongo di no. Sta’ attento a quell’aggeggio con l’uncino: sta cercando di agganciarti il mantello.
— Perché lo tenete rinchiuso? Non avete obblighi legali nel senso in cui li avevamo noi, ne sono certo.
— Per restare nella parte, suppongo. È per questo che Baldanders conserva la maggior parte di questi aggeggi. — Il Dr. Talos si volse a guardarmi, un piede sul primo scalino. — Adesso ricordati di comportarti bene. Non amano essere chiamati cacogeni, sai. Rivolgiti loro usando i nomi che diranno di avere questa volta, e non fare riferimenti al fango, anzi, in effetti, sarà meglio che tu non parli di nulla di spiacevole. Il povero Baldanders ha lavorato così duramente per rimediare e far la pace con loro dopo aver perso la testa nella Casa Assoluta! Sarà annientato se tu dovessi rovinare tutto proprio quando loro stanno per partire.
Promisi che sarei stato il più diplomatico possibile.
Dal momento che la nave si librava sulla torre, avevo supposto che Baldanders ed i comandanti della nave si trovassero all’ultimo livello, ma mi ero sbagliato. Mentre salivamo al piano successivo udii un mormorio di voci e poi il suono di quella del gigante che mi fece pensare, come mi era accaduto spesso quando viaggiavamo insieme, al crollo di un lontano muro in rovina.
Anche quella stanza conteneva macchinari, ma questi, anche se apparivano altrettanto vecchi quanto quelli al piano di sotto, sembravano però funzionanti ed inoltre collegati, in base a qualche logica ma incomprensibile relazione, gli uni con gli altri, come i congegni nella sala di Typhon. Baldanders ed i suoi ospiti si trovavano all’estremità più lontana della camera, dove la testa del gigante, tre volte più grossa di quella di un uomo normale, si ergeva al disopra dell’ammasso di metallo e cristallo come quella di un tirannosauro che sbucasse dalle più alte foglie di una foresta. Mentre avanzavo verso di loro, notai quel che rimaneva di una giovane donna che avrebbe potuto essere una sorella di Pia, e che giaceva sotto una campana lucente. Il suo addome era stato aperto con una lama tagliente ed alcuni dei suoi visceri rimossi e disposti intorno al suo corpo che sembrava essere nel primo stadio di decomposizione, anche se le labbra si muovevano. I suoi occhi si aprirono mentre le passavo accanto, poi si richiusero.
— Abbiamo compagnia! — annunciò il Dr. Talos. — Non immaginerai mai chi è!
La testa del gigante si volse lentamente, ma mi fissò senza dar mostra di capire, come aveva fatto quando il Dr. Talos lo aveva svegliato, quella prima mattina, a Nessus.
— Conosci già Baldanders — continuò il dottore, rivolto a me, — ma ti devo presentare gli altri ospiti.
Tre uomini, o esseri che almeno sembravano tali, si alzarono con moti aggraziati. Uno di loro, se fosse veramente stato un essere umano, sarebbe stato basso e tozzo. Gli altri due erano parecchio più alti di me, alti come esultanti. Le maschere che tutti e tre portavano davano loro l’aspetto di raffinati uomini di mezz’età, pensosi e posati, ma io ero conscio del fatto che gli occhi che mi fissavano attraverso le fessure delle maschere dei due più alti erano più grandi degli occhi umani, ed anche del fatto che l’essere più tozzo non aveva affatto gli occhi, per cui dietro la sua maschera si vedeva solo oscurità. Tutti e tre erano vestiti di bianco.
— Onorevoli! Questo è un nostro grande amico, il Maestro Severian dei torturatori. Maestro Severian, permettimi di presentarti gli onorevoli Hieroduli Ossipago, Barbatus e Famulimus. Il compito di questi nobili personaggi è quello d’inculcare la saggezza nella razza umana… qui rappresentata da Baldanders ed ora anche da te stesso.
L’essere che il Dr. Talos aveva presentato come Famulimus parlò. La sua voce avrebbe potuto essere senz’altro umana se non fosse stato per la maggiore risonanza e musicalità, superiori a quelle di qualsiasi voce umana avessi mai udito, e tali da darmi l’impressione di ascoltare il discorso di qualche strumento a corda animatosi di vita propria.
— Benvenuto — intonò la voce. — Per noi non c’è gioia più grande che incontrarti, Severian. Tu ti sei cortesemente inchinato davanti a noi, ma dinnanzi a te noi piegheremo le ginocchia. — E s’inginocchiò brevemente, come fecero anche gli altri.
Nulla di ciò che quell’essere avrebbe potuto dire o fare mi avrebbe potuto stupire maggiormente, e venni colto troppo di sorpresa per riuscire a rispondere.
L’altro cacogeno alto, Barbatus, parlò come avrebbe potuto fare un cortigiano, per riempire il silenzio di un vuoto nella conversazione che sarebbe altrimenti stato imbarazzante. La sua voce era più profonda di quella di Famulimus, e sembrava avere in sé una nota militare.
— Tu sei il benvenuto qui… decisamente benvenuto, come ha detto il mio caro amico e come tutti noi abbiamo tentato di manifestare. Ma i tuoi amici devono rimanere all’esterno, fintanto che noi saremo qui. Naturalmente, tu lo sai già. L’ho detto solo per una questione di formalità.
Il terzo cacogeno, con voce tanto profonda che la si percepiva più che udirla, mormorò che non aveva importanza, e, come se temesse che io potessi scorgere le fessure vuote della sua maschera, si volse e finse di osservare qualcosa fuori dalla stretta finestra alle sue spalle.
— Allora forse non importa — osservò Barbatus. — Dopo tutto, Ossipago è quello che ne sa di più.
— Allora hai amici qui? — sussurrò il Dr. Talos. Era una sua caratteristica il fatto che raramente parlava ad un gruppo, come fa la maggior parte delle persone, ma si rivolgeva invece al singolo individuo come se fossero soli, oppure declamava come se si trovasse davanti ad un’assemblea di migliaia di persone.
— Alcuni isolani mi hanno scortato qui — risposi, tentando di affrontare la cosa meglio che potevo. — Devi sapere della loro esistenza. Vivono su masse fluttuanti di canne, nel lago.
— Stanno insorgendo contro di te! — Il Dr. Talos si rivolse al gigante. — Ti avevo avvertito che sarebbe accaduto. — Si precipitò alla finestra dalla quale l’essere chiamato Ossipago sembrava intento a guardare e, spintolo da un lato, scrutò fuori nella notte. Quindi, voltosi verso il cacogeno, s’inginocchiò, gli afferrò la mano e la baciò. Quella mano era chiaramente un guanto di un qualche materiale flessibile, pitturato per sembrare carne e contenente qualcosa che non era certo una mano.
— Ci aiuterai, Onorevole, vero? Hai certo fantassini a bordo della tua nave. Allinea, per una volta, esseri orrendi sulle mura, ed esse rimarranno al sicuro per un secolo.
— Severian sarà il vincitore — intervenne Baldanders con la sua voce lenta. — Altrimenti, perché si sarebbero inginocchiati dinnanzi a lui? Anche se può darsi che lui muoia e noi no. Conosci i loro metodi, dottore. Il saccheggio potrebbe disseminare il sapere.
— Lo ha mai fatto prima? Dimmi! — Il Dr. Talos si volse furiosamente contro di lui.
— Chi lo può dire, Dottore?
— Sai che non lo ha mai fatto. Essi sono gli stessi ignoranti, superstiziosi bruti che sono sempre stati! — Si volse di nuovo. — Nobili Hieroduli, rispondetemi! Se qualcuno lo sa, quelli siete voi!
Famulimus fece un gesto, e non fui mai tanto consapevole della verità dietro la sua maschera come in quel momento, perché nessun braccio umano avrebbe mai potuto fare un movimento del genere, che inoltre era privo di significato e non indicava né consenso né dissenso, né irritazione né consolazione.
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