Come potevo rifiutare all’Increato ciò che avevo spontaneamente dato all’Autarca quando avevo decapitato Santa Katharine?
Le rimanenti isole erano adesso separate, e, sebbene le barche si muovessero in mezzo a loro e su ogni ramo ci fossero vele gonfie di vento, non potevo fare a meno di provare la sensazione che fossimo immobili sotto le nubi e che il nostro moto fosse solo l’ultima illusione di una terra che stava sprofondando.
Molte delle isole fluttuanti che avevo visto in precedenza quel giorno erano state lasciate indietro come rifugio per le donne ed i bambini. Ne rimanevano una mezza dozzina, ed io mi trovavo sul punto più alto di quella di Llibio, che era la più grande delle sei. Oltre al vecchio ed a me, l’isola trasportava sette combattenti, mentre le altre ne portavano quattro o cinque ciascuna. In aggiunta alle isole, c’erano circa trenta barche, ciascuna equipaggiata con due o tre uomini.
Non volevo ingannarmi con il pensiero che i nostri cento uomini, con i coltelli e le lance da pesca costituissero una forza formidabile. Una sola manciata dei dimarchi di Abdiesus li avrebbe sparpagliati come paglia. Ma essi erano miei seguaci, e quello di guidare uomini in battaglia è un sentimento che non ha uguali.
Non un bagliore splendeva sulle acque del lago, fatta eccezione per la luce riflessa che cadeva dalla miriade di foglie della Foresta della Luna, a cinquantamila leghe di distanza. Quelle acque mi facevano pensare all’acciaio, oliato e lucidato. Il vento era debole e non creava spuma, anche se le sospingeva in lunghe onde simili a colline di metallo. Dopo qualche tempo, una nube oscurò la luna, ed io mi chiesi se la gente del lago al buio avrebbe perso l’orientamento. Tuttavia, per il modo in cui maneggiavano le imbarcazioni, avrebbe potuto essere anche mezzogiorno, e, sebbene barche ed isole venissero spesso a trovarsi vicine, in tutto il viaggio non ne vidi mai due che corressero anche il minimo pericolo di una collisione.
L’essere trasportato in quel modo, nel mezzo del mio arcipelago, senza altro suono tranne il sussurro del vento ed il battito dei remi che affondavano e si sollevavano con la regolarità di un orologio, senza che si percepisse altro movimento a parte il gentile dondolio delle onde, avrebbe potuto essere una cosa rilassante o addirittura soporifica, perché ero stanco, anche se avevo dormito un poco prima della partenza, ma il freddo dell’aria notturna ed il pensiero di ciò cui stavamo andando incontro mi tenevano ben sveglio.
Né Llibio né alcuno degli isolani era stato in grado di darmi altro se non vaghissime informazioni in merito all’interno del castello che stavamo per assalire. Non avevo idea se l’edificio principale fosse o meno una vera fortezza, e cioè una torre fortificata abbastanza alta da permettere di vedere al di là del muro di cinta, e non sapevo neppure se c’erano altri edifici in aggiunta al primo (un barbacane, per esempio), o se il muro fosse rinforzato da torrette o quanti difensori potevano esservi. Il castello era stato costruito nell’arco di due o tre anni da mano d’opera nativa, quindi non poteva essere formidabile, diciamo, come il Castello di Acies; ma un luogo che avesse avuto anche solo un quarto della sua solidità sarebbe stato inespugnabile per noi.
Ero acutamente consapevole di quanto poco adatto fossi a guidare una simile spedizione: non avevo mai neppure visto una battaglia, e tanto meno partecipato ad una. La mia conoscenza dell’architettura militare veniva dall’essere cresciuto nella Cittadella e da qualche casuale occhiata data alle fortificazioni di Thrax, e quello che sapevo di tattica, o che pensavo di sapere, derivava da letture altrettanto casuali. Ricordavo ora di aver giocato da ragazzo nella necropoli, combattendo finte schermaglie con bastoni di legno, e quel pensiero mi fece sentire male. Non era perché temessi per la mia vita, ma perché sapevo che un errore da parte mia avrebbe potuto causare la morte della maggior parte di quegli uomini innocenti ed ignoranti che guardavano a me per avere una guida.
La luna tornò a splendere brevemente, attraversata dalle sagome scure di uno stormo di cicogne, ed io potei scorgere la riva, una fascia di notte più fitta, all’orizzonte. Una nuova massa di nubi coprì la luna ed una goccia d’acqua mi cadde sulla faccia. Questo mi fece improvvisamente sentire felice, senza che ne sapessi il perché… senza dubbio rammentavo inconsciamente la notte in cui avevo combattuto contro l’alzabo. Forse stavo pensando anche alle acque gelide che si riversavano fuori dalla bocca della caverna degli uomini-scimmia.
Eppure, accantonando tutte queste fortuite associazioni, la pioggia poteva in effetti rivelarsi una benedizione. Noi non avevamo archi, e se la pioggia avesse bagnato le corde degli archi dei nostri nemici, tanto di guadagnato. Certo, sarebbe stato impossibile usare i proiettili del potere cui aveva fatto ricorso l’arciere del capo villaggio; inoltre la pioggia avrebbe favorito un attacco di sorpresa, ed io avevo già da tempo deciso che il nostro attacco poteva avere qualche speranza di successo solo se fosse stato condotto furtivamente e di sorpresa.
Ero immerso nei miei piani, quando le nubi si aprirono di nuovo e vidi che ci stavamo muovendo parallelamente alla riva, che si ergeva alla nostra destra in una serie di alture. Più avanti, una penisola di roccia ancora più alta sporgeva nel lago, ed io camminai fino alla punta dell’isola per chiedere all’uomo appostato là se il castello fosse situato su di essa.
— La dobbiamo aggirare — mi rispose, scuotendo il capo.
E così facemmo. Le corde delle vele furono sciolte e legate ad altri rami. Pesi formati da pietre vennero calati in acqua da una parte dell’isola, mentre tre uomini lottavano con la barra per far girare il timone. Rimasi colpito dal pensiero che Llibio doveva aver ordinato il nostro attuale avvicinamento a riva saggiamente, in modo da evitare che potessimo essere avvistati da chiunque tenesse d’occhio le acque del lago. Se le cose stavano così, avremmo ancora corso questo pericolo quando non avessimo più avuto la penisola fra il castello e la nostra piccola flotta. Pensai anche che, dal momento che il costruttore del castello non lo aveva fatto erigere sullo sperone di roccia che ora stavamo costeggiando, e che appariva decisamente inespugnabile, ciò significava che doveva aver trovato un luogo ancora più sicuro di quello.
Poi aggirammo la punta, ed avvistammo la nostra meta, a non più di quattro catene di distanza, lungo la costa… una sporgenza rocciosa ancora più alta ed a picco, con un muro alla sommità ed una fortezza che sembrava avere la forma impossibile di un immenso fungo velenoso.
Non potevo credere ai miei occhi. Dalla grande colonna centrale che non dubitavo fosse una torre rotonda di pietra grezza, si levava una struttura di metallo a forma di lente pari a dieci volte il suo diametro ed apparentemente solida quanto la torre stessa.
Tutt’intorno alla nostra isola, gli uomini nelle barche e sulle altre isole stavano sussurrando fra loro ed indicando: sembrava che quella vista incredibile riuscisse altrettanto nuova a loro come a me.
La velata luce lunare, il bacio della sorella più giovane sul volto della morente sorella anziana, brillava sulla superficie superiore di quell’immane disco. Al disotto di esso, nella fitta ombra, brillavano scintille di luce arancione. Esse si muovevano, scivolando in alto o in basso, ma il loro moto era talmente lento che le stavo già osservando da parecchio prima di accorgermene. Alla fine, una luce si levò sino a sembrare sospesa immediatamente al disotto del disco e svanì, e, poco prima che noi approdassimo, altre due luci apparvero nello stesso punto.
Una piccola spiaggia giaceva all’ombra della rupe, ma l’isola di Llibio si arenò in secco prima che la raggiungessimo, ed io dovetti saltare di nuovo nell’acqua, questa volta tenendo Terminus Est alta sulla testa. Per fortuna non c’erano scogli, e, sebbene minacciasse sempre di piovere, ancora non aveva cominciato a gocciolare. Aiutai alcuni degli uomini del lago a tirare in secco le barche, mentre altri ancoravano le isole ad alcuni massi.
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