Guardò la bacchetta, che teneva ancora stretta in pugno. Se era già praticamente espulso (al pensiero il cuore gli batteva così forte da fargli male), un altro po’ di magia non poteva guastare. Aveva il Mantello dell’Invisibilità ereditato da suo padre: e se avesse gettato un incantesimo sul baule per renderlo leggero come una piuma, lo avesse legato al manico di scopa, si fosse avvolto nel mantello e fosse volato fino a Londra? Così avrebbe potuto prelevare il resto del denaro dalla camera blindata e… cominciare la sua vita di reietto. Era una prospettiva orribile, ma Harry non poteva restare li seduto per sempre, a meno di non voler spiegare a un poliziotto Babbano che cosa ci faceva nel cuore della notte con un manico di scopa e un mucchio di libri d’incantesimi.
Harry riaprì il baule e spinse da una parte il contenuto per cercare il Mantello dell’Invisibilità, ma prima ancora di averlo trovato si alzò all’improvviso e si guardò intorno un’altra volta.
Avvertiva un curioso formicolio alla nuca: era come se qualcuno lo stesse osservando. Ma la strada pareva deserta, e le luci erano tutte spente nelle grandi case squadrate.
Si chinò di nuovo sul baule, ma si rialzò quasi immediatamente e strinse più forte la bacchetta. Lo avvertiva, più che sentirlo con le orecchie: c’era qualcuno o qualcosa lì nello stretto passaggio tra il garage e la staccionata alle sue spalle. Harry cercò di strizzare gli occhi per vedere meglio. Se solo la cosa si fosse mossa, avrebbe scoperto se si trattava di un gatto randagio o di qualcos’altro.
« Lumos » mormorò Harry, e una luce abbagliante apparve sulla punta della bacchetta. La tenne alta sopra la testa, e l’intonaco incrostato di ghiaino del numero 2 all’improvviso prese a brillare; la porta del garage scintillò e Harry scorse distintamente il vasto profilo di qualcosa di molto grosso, dagli enormi occhi lucenti…
Harry fece un passo indietro, inciampò nel baule e cadde. La bacchetta gli sfuggì di mano mentre Harry allungava un braccio per attutire la caduta. Il ragazzo atterrò bruscamente nel canaletto di scolo…
Si udì un BANG assordante e Harry alzò le mani per ripararsi da un’improvvisa luce accecante…
Con un grido, rotolò sul marciapiedi, appena in tempo. Un attimo dopo, un gigantesco paio di ruote sovrastate da due enormi fanali frenava bruscamente a pochi centimetri da lui. Come Harry poté constatare, il tutto apparteneva a un autobus a tre piani di un viola intenso, apparso dal nulla. Le lettere d’oro sul parabrezza dicevano: Il Nottetempo.
Per un attimo Harry si chiese se la caduta lo avesse rimbambito. Poi un autista in uniforme viola balzò giù dal pullman e prese a parlare ad alta voce nella notte.
«Benvenuti sul Nottetempo, mezzo di trasporto di emergenza per maghi e streghe in difficoltà. Allungate la bacchetta, salite a bordo e vi portiamo dove volete. Mi chiamo Stan Picchetto, e sono il vostro bigliettaio per questa not…»
Il bigliettaio s’interruppe alla vista di Harry, che era ancora seduto per terra. Harry afferrò la bacchetta e si rialzò. Visto da vicino, Stan Picchetto sembrava poco più grande di lui: aveva diciotto, diciannove anni al massimo, con grandi orecchie a sventola e un bel po’ di brufoli.
«Che ci fai lì per terra?» domandò Stan, abbandonando il tono professionale.
«Sono caduto» disse Harry.
«Ma davvero?» chiese Stan con una risatina.
«Non l’ho fatto apposta» rispose Harry seccato. Aveva i jeans strappati al ginocchio, e la mano che aveva gettato indietro per frenare la caduta sanguinava. All’improvviso gli venne in mente perché era caduto, e si voltò rapido a guardare il passaggio tra il garage e la staccionata. I fari del Nottetempo lo inondavano di luce, ed era vuoto.
«Che guardi?» disse Stan.
«C’era una cosa nera» disse Harry indicando riluttante il passaggio. «Come un cane… ma grosso…»
Guardò Stan, che lo fissava a bocca aperta. A disagio, Harry vide lo sguardo di Stan posarsi sulla cicatrice che aveva sulla fronte.
«Che c’hai sulla testa?» chiese Stan bruscamente.
«Niente» rispose rapido Harry schiacciandosi i capelli sulla cicatrice. Se il Ministero della Magia lo stava cercando, non voleva certo facilitargli il compito.
«Com’è che ti chiami?» insistette Stan.
«Neville Paciock» disse Harry sparando il primo nome che gli venne in mente. «Allora… questo autobus» riprese in fretta, sperando di distrarre Stan, «hai detto che va dappertutto ?»
«Orpo!» disse Stan tutto fiero. «Dove ti pare, finché c’è strada. Sott’acqua però no che non ci va. Ehi» disse, di nuovo sospettoso, «ci hai fermato, eh? Hai messo fuori la bacchetta, vero?»
«Sì» rispose Harry in fretta. «Senti, quanto costa andare fino a Londra?»
«Undici falci» rispose Stan, «ma per tredici ti diamo anche una cioccolata bella fumante, e per quindici una borsa dell’acqua calda e uno spazzolino da denti, del colore che vuoi, eh».
Harry frugò ancora una volta nel baule, estrasse un sacchetto e porse a Stan alcune monete d’argento. Poi insieme caricarono il baule sul pullman, con la gabbia di Edvige sopra, in bilico.
Dentro non c’erano i sedili; al loro posto, una mezza dozzina di letti, vicini ai finestrini chiusi da tende. Accanto a ogni letto c’era una candela accesa in un candeliere, che illuminava il rivestimento a pannelli di legno della carrozza. In fondo al pullman, un piccolo mago con un berretto da notte mormorò: «Non ora, grazie, sto mettendo le lumache in salamoia» e si rigirò nel sonno.
«Puoi metterti qui» sussurrò Stan spingendo il baule di Harry sotto il letto dietro il conducente, seduto in poltrona al volante. «Questo è il nostro autista, Ernie Urto. Questo è Neville Paciock, Ern».
Ernie Urto, un anziano mago con gli occhialoni spessi, fece un cenno a Harry, che si appiattì nervosamente la frangia e si sedette sul letto.
«Diamoci una mossa, Ern» disse Stan prendendo posto nella poltrona accanto a quella di Ernie.
Si udi un altro terribile BANG, e un attimo dopo Harry si trovò lungo disteso sul letto, sbalzato all’indietro dalla velocità del Nottetempo. Si raddrizzò, guardò fuori dal finestrino e vide che sfrecciavano lungo una strada del tutto nuova. Stan osservò divertito l’espressione stupefatta di Harry.
«È qui che eravamo quando ci hai chiamati» spiegò. «Dov’è che siamo, Ern? In Galles?»
«Mmm» disse Ernie.
«Come mai i Babbani non sentono il rumore dell’autobus?» chiese Harry.
«Figurati!» disse Stan sprezzante. «Non ci sentono e non ci vedono. Non si accorgono mai di nulla, quelli».
«Meglio che vai a svegliare Madama Palude, Stan» disse Ern. «Tra un minuto saremo ad Abergavenny».
Stan superò il letto di Harry e scomparve su per una scaletta di legno. Harry guardò ancora fuori dal finestrino, sempre più nervoso. Pareva che Ernie non avesse idea di come si usa un volante. Il Nottetempo continuava a salire sobbalzando sul marciapiede, ma non urtava nulla: file di lampioni, cassette delle lettere e bidoni si ritraevano al suo passaggio e tornavano al loro posto subito dopo.
Stan scese di nuovo, seguito da una strega verdina avvolta in un mantello da viaggio.
«Eccoci, Madama Palude» disse Stan allegramente, mentre Ern frenava di colpo e i letti scivolavano in avanti. Madama Palude si portò un fazzoletto alla bocca e scese i gradini barcollando. Stan le lanciò la borsa e richiuse la portiera; ci fu un altro BANG assordante, ed eccoli avanzare rombando lungo una stretta stradina di campagna, con gli alberi che si toglievano di torno a balzi.
Harry non sarebbe riuscito a dormire nemmeno se fosse stato a bordo di un autobus che non faceva bang e non andava a centocinquanta all’ora. Senti una stretta allo stomaco mentre tornava a riflettere su quello che lo aspettava e a chiedersi se i Dursley erano riusciti a far scendere zia Marge dal soffitto.
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