Harry era immobile, stordito, la mano ancora sulla maniglia. Col fiato mozzo si voltò a fissare Silente, ascoltando le sue parole, ma incapace di capirle a fondo.
«Siediti, per favore» disse Silente. Non era un ordine, ma una richiesta.
Harry esitò, poi lentamente attraversò la stanza cosparsa di ingranaggi d’argento e schegge di legno, e si sedette davanti alla scrivania.
«Mi par di capire» intervenne esitante Phineas Nigellus dal ritratto a sinistra di Harry, «che il mio propronipote, l’ultimo dei Black, è morto».
«Sì, Phineas» rispose Silente.
«Non ci credo» sbottò Phineas.
Harry voltò la testa in tempo per vederlo uscire a grandi passi dal quadro, e intuì che era andato a visitare gli altri dipinti in Grimmauld Place. Forse sarebbe passato di ritratto in ritratto, chiamando Sirius per tutta la casa…
«Ti devo una spiegazione, Harry» riprese Silente. «La spiegazione degli errori di un vecchio. Perché ora capisco che il mio comportamento nei tuoi confronti ha tutti i segni delle debolezze dell’età. I giovani non possono sapere quello che i vecchi pensano e provano. Ma i vecchi sono colpevoli, se dimenticano che cosa significa essere giovani… e ultimamente sembra che io l’abbia dimenticato…»
Il sole ormai si levava: il bordo delle montagne si colorò di un arancione abbagliante e il cielo diventava sempre più chiaro. La luce cadde su Silente, illuminandogli le sopracciglia, la barba argentea, le rughe profonde.
«Quindici anni fa» proseguì, «non appena vidi la cicatrice sulla tua fronte, intuii che cosa poteva significare. Intuii che poteva essere il segno di un legame fra te e Voldemort» .
«Questo me l’ha già detto, professore» ribatté brusco Harry. Non gli importava di essere scortese. Non gli importava più di niente.
«È vero» ammise Silente in tono di scusa. «Ma vedi… è necessario cominciare dalla tua cicatrice. Perché quando ti riunisti al mondo magico fu subito chiaro che la mia intuizione era giusta, e che la cicatrice ti avvertiva dell’avvicinarsi di Voldemort e dello scatenarsi delle sue emozioni».
«Lo so» mormorò Harry stancamente.
«E la tua capacità di individuare la presenza di Voldemort anche quando si nasconde, e di conoscerne le emozioni più violente, è aumentata da quando Voldemort è tornato nel suo corpo e ha riacquistato in pieno i suoi poteri».
Harry non si prese nemmeno la briga di annuire. Sapeva già tutto.
«Negli ultimi tempi» proseguì Silente, «ho cominciato a temere che Voldemort potesse rendersi conto di questo legame. Infatti, com’era inevitabile, a un certo punto sei entrato così a fondo nei suoi pensieri che lui ha avvertito la tua presenza. Mi riferisco, è ovvio, alla notte dell’attacco contro il signor Weasley».
«Sì, Piton me l’ha detto» borbottò Harry.
«Il professor Piton» lo corresse pacato Silente. «Non ti sei chiesto perché non sono stato io a spiegartelo? Perché non sono stato io a insegnarti Occlumanzia? Perché per mesi non ti ho quasi degnato di uno sguardo?»
Harry alzò gli occhi. Si accorse che Silente era triste e stanco.
«Sì» mormorò. «Sì, me lo sono chiesto».
«Vedi» riprese Silente, «ero convinto che ben presto Voldemort avrebbe tentato di penetrare nella tua mente per manipolare i tuoi pensieri, e non intendevo offrirgli altri incentivi. Di sicuro, se si fosse reso conto che il nostro rapporto era — o era stato — più stretto di quello fra preside e studente, avrebbe cercato di servirsi di te per spiarmi. Temevo che ti usasse, Harry, che si impadronisse di te. E credo di aver avuto ragione, perché le rare volte che io e te ci siamo trovati in stretto contatto mi è parso di scorgere la sua ombra fremere dietro i tuoi occhi…»
Harry ricordò la sensazione che un serpente assopito si risvegliasse in lui ogni volta che incrociava lo sguardo di Silente.
«E come ha dimostrato stanotte, lo scopo di Voldemort non era la mia distruzione, ma la tua. Quando ti ha posseduto per un attimo, poco fa, sperava che ti avrei sacrificato nella speranza di ucciderlo. Per questo, vedi, ho tentato di tenerti a distanza: per proteggerti. L’errore di un vecchio…»
Trasse un profondo sospiro. Harry sentiva le sue parole scorrergli addosso. Fino a pochi mesi prima avrebbe dato qualunque cosa per sapere tutto, ma ormai non aveva senso, davanti alla voragine che la perdita di Sirius aveva spalancato dentro di lui: più niente aveva importanza…
«Sirius mi ha detto che la notte dell’attacco ad Arthur Weasley avevi sentito Voldemort risvegliarsi dentro di te, e ho capito subito che i miei peggiori timori erano giustificati: Voldemort si era reso conto di poterti usare. Così, nel tentativo di armarti contro i suoi assalti mentali, ho chiesto al professor Piton di darti lezioni di Occlumanzia».
Tacque. Harry vide i raggi del sole, che scorrevano lenti sulla superficie lucida della scrivania, illuminare un calamaio d’argento, una piuma scarlatta. Senza bisogno di guardarli, sapeva che i ritratti attorno a loro erano svegli e ascoltavano attenti; a tratti sentiva il fruscio di una veste, un sommesso schiarirsi di gola. Phineas Nigellus non era ancora tornato…
«Il professor Piton scoprì» riprese Silente, «che da mesi stavi sognando la porta dell’Ufficio Misteri. Naturalmente Voldemort era ossessionato dal desiderio di ascoltare la profezia fin da quando aveva riacquistato il proprio corpo; e così indugiava sulla soglia, e tu pure, anche se tu non capivi che cosa significava.
«E poi hai visto Rookwood, che prima del suo arresto lavorava nell’Ufficio Misteri, e lo hai sentito dire a Voldemort quello che noi già sapevamo: le profezie custodite nel Ministero della Magia sono protette da incantesimi potentissimi. Soltanto la persona a cui si riferiscono può prenderle dagli scaffali senza impazzire: nel caso specifico, Voldemort in persona sarebbe dovuto uscire finalmente allo scoperto e introdursi nell’Ufficio Misteri, o avresti dovuto farlo tu per lui. Per questo era essenziale che tu studiassi a fondo Occlumanzia».
«Invece non l’ho fatto» mormorò Harry. Lo ripeté a voce alta, nel tentativo di alleggerire il senso di colpa che lo opprimeva: forse una confessione avrebbe in parte sollevato il peso spaventoso che gli gravava sul cuore. «Non l’ho fatto, non m’importava, avrei potuto bloccare quei sogni, Hermione continuava a dirmelo, se lo avessi fatto, Voldemort non avrebbe potuto mostrarmi dove andare e… Sirius non sarebbe… Sirius non sarebbe…»
Aveva l’impressione che gli esplodesse la testa: doveva giustificarsi, spiegare…
«Ho provato a controllare se aveva davvero catturato Sirius, sono andato nell’ufficio della Umbridge, ho usato il suo camino per parlare con Kreacher, e lui mi ha detto che Sirius non c’era, che se n’era andato!»
«Kreacher ha mentito» replicò calmo Silente. «Tu non sei il suo padrone, perciò poteva mentirti senza nemmeno doversi punire. Kreacher voleva che tu andassi al Ministero della Magia».
«Mi ha… mi ha mandato laggiù apposta?»
«Oh, sì. Temo che da mesi Kreacher servisse più di un padrone».
«Come?» chiese Harry con aria vacua. «Sono anni che non esce da Grimmauld Place».
«Ha colto al volo l’occasione prima di Natale, quando Sirius gli ha urlato — credo — di andare “fuori”. Lo ha preso alla lettera, interpretandolo come un ordine di lasciare la casa. Ed è andato dall’unico membro della famiglia Black per cui nutrisse un minimo di rispetto… Narcissa, cugina di Sirius, nonché sorella di Bellatrix e moglie di Lucius Malfoy».
«E lei come lo sa?» Harry sentiva il cuore battergli rapidissimo. Aveva la nausea. Si ricordava che la strana assenza di Kreacher durante le feste di Natale lo aveva preoccupato, si ricordava quando era ricomparso in soffitta…
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