J.K. Rowling - Harry Potter e l'Ordine della Fenice

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Harry Potter e l'Ordine della Fenice: краткое содержание, описание и аннотация

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Il quarto volume delle avventure di Harry Potter ci ha lasciato con il fiato sospeso: Lord Voldemort è tornato. Che cosa succederà ora che l’Oscuro Signore è di nuovo in pieno possesso dei suoi terrificanti poteri? Quanta morte e distruzione seminerà nel tentativo di riprendere il dominio dei mondo? Sono le stesse domande che si pone Harry Potter, disperatamente segregato — come tutte le estati — nella casa dei suoi zii Babbani, lontano dal mondo magico che gli appartiene. Ma qualcosa è cambiato anche in lui. Ormai quindicenne, lo ritroviamo divorato dalla frustrazione, dalla rabbia e dall’ansia di ribellione tipiche della sua età. In uno dei libri più attesi nella storia della letteratura, J.K. Bowling non cessa di stupirci. Tessendo un’altra stupefacente trama, riesce questa volta a dar voce alle inquietudini dell’adolescenza, ad arricchire il suo già mirabolante universo di nuove creature e nuovi indimenticabili personaggi, e anche a metterci in guardia contro la stupidità del potere e di chi lo usa per combattere il talento, il coraggio, la fantasia e la diversità.

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Era come se un film, nella sua testa, fosse stato in attesa di cominciare. Camminava lungo un corridoio deserto verso una semplice porta nera, costeggiando pareti di pietra grezza, torce e una rampa di scale che scendeva, sulla sinistra…

Raggiungeva la porta nera ma non riusciva ad aprirla… restava a guardarla, col disperato desiderio di entrare… lì c’era qualcosa che voleva con tutto il cuore… un premio al di là dei suoi sogni… se solo la cicatrice avesse smesso di bruciare… sarebbe riuscito a ragionare più chiaramente, allora…

«Harry» la voce di Ron lo raggiunse da molto, molto lontano, «la mamma dice che la cena è pronta, ma se vuoi restare a letto ti mette qualcosa da parte».

Harry aprì gli occhi, ma Ron era già uscito.

Non vuole restare da solo con me, pensò Harry. Non dopo quello che ha sentito dire a Moody.

Immaginava che nessuno lo volesse più lì, ora che sapevano che cosa c’era dentro di lui.

Non sarebbe sceso per cena, non voleva imporre la sua presenza agli altri. Si voltò su un fianco e poco dopo si riaddormentò. Si svegliò molto più tardi, alle prime ore del mattino, con lo stomaco indolenzito dalla fame e Ron che russava nel letto accanto. Sbattendo le palpebre, vide la sagoma scura di Phineas Nigellus di nuovo nel suo ritratto e pensò che Silente doveva averlo mandato per sorvegliarlo, nel caso che aggredisse qualcun altro.

La sensazione di essere sporco si acuì. Desiderò quasi di non aver obbedito a Silente… se questa era la vita che lo aspettava a Grimmauld Place d’ora in poi, tanto valeva tornare a Privet Drive.

* * *

Tutti gli altri passarono la mattina successiva ad appendere le decorazioni natalizie. Harry non ricordava di aver mai visto Sirius tanto di buonumore; cantava addirittura le carole, deliziato di avere ospiti per Natale. Harry sentiva la sua voce echeggiare attraverso il pavimento nel freddo salotto in cui sedeva da solo, a guardare dalla finestra il cielo che si faceva sempre più bianco, annunciando neve, e provò un piacere un po’ perverso all’idea di dare agli altri la possibilità di parlare di lui, cosa che di sicuro stavano facendo. Quando all’ora di pranzo sentì la signora Weasley che chiamava dolcemente il suo nome su per le scale, si ritirò ancora più in alto e la ignorò.

Verso le sei di sera suonarono alla porta e la signora Black ricominciò a urlare. Immaginando che fosse arrivato Mundungus o qualche altro membro dell’Ordine, Harry si limitò ad accomodarsi meglio contro la parete della stanza di Fierobecco dove stava nascosto, cercando di ignorare i morsi della fame mentre dava da mangiare topi morti all’Ippogrifo. Fu un piccolo spavento quando qualcuno bussò alla porta qualche minuto dopo.

«So che sei lì dentro» disse la voce di Hermione. «Esci, per favore? Ti voglio parlare».

«E tu che cosa ci fai qui?» le chiese Harry aprendo la porta, mentre Fierobecco raspava la paglia sul pavimento in cerca di avanzi di topo. «Non dovevi andare a sciare con i tuoi?»

«Be’, a dirti la verità, lo sci non fa per me» rispose Hermione. «Così sono venuta qui a passare il Natale». Aveva la neve sui capelli e il viso rosso per il freddo. «Ma non dirlo a Ron. Gli ho detto che sciare è magnifico, visto che non smetteva di ridere. Mamma e papà erano un po’ contrariati, ma ho spiegato che chiunque prenda seriamente gli esami rimane a Hogwarts per studiare. Vogliono che vada bene, mi capiranno. Comunque» disse bruscamente, «andiamo nella tua stanza, la mamma di Ron ha acceso il fuoco e ha mandato su dei panini».

Harry la seguì al secondo piano. Quando entrò nella stanza, fu piuttosto sorpreso di trovare Ron e Ginny ad aspettarlo, seduti sul letto di Ron.

«Sono venuta con il Nottetempo» riprese Hermione in tono leggero, sfilandosi la giacca prima che Harry avesse il tempo di parlare. «Ieri mattina Silente mi ha raccontato quello che è successo, ma ho dovuto per forza aspettare la fine ufficiale delle lezioni per partire. La Umbridge è già livida perché voi le siete scomparsi sotto il naso, anche se Silente le ha detto che il signor Weasley era al San Mungo e che vi aveva dato il permesso di andare a trovarlo. Allora…»

Si sedette accanto a Ginny, e tutti e tre guardarono Harry.

«Come ti senti?» chiese Hermione.

«Bene» rispose Harry, rigido.

«Oh, non mentire, Harry» si spazientì lei. «Ron e Ginny dicono che ti stai nascondendo da tutti da quando siete tornati dal San Mungo».

«Ah, dicono così?» ribatté Harry, scoccando un’occhiata torva a Ron e Ginny.

Ron si guardò i piedi, ma Ginny non parve affatto imbarazzata.

«Be’, è vero!» sbottò. «E non ci guardi nemmeno in faccia!»

«Siete voi che non guardate in faccia me!» ribatté Harry con rabbia.

«Forse vi guardavate a turno senza incrociarvi mai» Hermione accennò un sorriso.

«Molto spiritosa» commentò Harry, voltandole le spalle.

«Oh, piantala di fare l’incompreso» disse Hermione tagliente. «Ascolta, mi hanno raccontato quello che hai sentito la notte scorsa con le Orecchie Oblunghe…»

«Ah, sì?» ringhiò Harry, affondando le mani nelle tasche e guardando la neve che ora cadeva fitta. «Tutti a parlare di me, eh? Tanto mi sto abituando».

«Noi volevamo parlare con te, Harry» obiettò Ginny, «ma tu ti nascondi da quando siamo tornati…»

«Non volevo parlare con nessuno» rispose Harry, punto sul vivo.

«Be’, sei stato proprio stupido» replicò Ginny arrabbiata, «visto che io sono l’unica persona che conosci che è stata posseduta da Tu-Sai-Chi e posso dirti che cosa si prova».

Harry rimase immobile ad assorbire l’impatto di quelle parole. Poi si voltò.

«L’avevo dimenticato».

«Beato te» mormorò freddamente Ginny.

«Mi dispiace» disse Harry sincero. «Quindi… quindi secondo te non sono posseduto?»

«Ricordi tutto quello che hai fatto?» domandò Ginny. «Ci sono momenti di vuoto in cui non sai che cosa hai fatto?»

Harry rifletté,

«No».

«Allora Tu-Sai-Chi non ti ha mai posseduto» concluse Ginny con semplicità. «Io avevo dei buchi di ore intere di cui non ricordavo niente. Mi trovavo in qualche posto e non sapevo come ci ero arrivata».

Harry non osava crederle, eppure sentì il cuore sollevarsi, quasi suo malgrado.

«Quel sogno su tuo padre e il serpente, però…»

«Harry, tu hai già fatto sogni del genere in passato» intervenne Hermione. «Hai visto che cosa faceva Voldemort già l’anno scorso».

«Ma questo è stato diverso» obiettò Harry, scuotendo il capo. «Ero dentro al serpente. Era come se fossi io, il serpente… e se Voldemort mi avesse trasportato in qualche modo fino a Londra…?»

«Un giorno» disse Hermione, esasperata, «leggerai Storia di Hogwarts, e forse ti ricorderai che non ci si può Materializzare o Smaterializzare nella scuola. Nemmeno Voldemort avrebbe potuto farti volare via dal tuo dormitorio».

«Non hai mai lasciato il tuo letto, Harry» disse Ron. «Ti ho visto agitarti nel sonno per almeno un minuto prima che riuscissimo a svegliarti».

Harry prese a passeggiare su e giù per la stanza, riflettendo. Quello che stavano dicendo non era solo confortante, aveva anche senso… quasi senza accorgersene prese un panino dal vassoio sul letto e se lo ficcò in bocca, famelico.

Non sono io l’arma, allora, pensò. Il cuore gli si riempì di gioia e sollievo, e gli venne voglia di unirsi a Sirius che, passando davanti alla loro porta per andare dall’Ippogrifo, cantava a squarciagola: « Tu scendi dalle stelle, o Fierobe-e-ecco ».

* * *

Ma come era potuto venirgli in mente di tornare a Privet Drive per Natale? La gioia di Sirius nell’avere di nuovo la casa piena, e soprattutto nel riavere Harry, era contagiosa. Non era più imbronciato come l’estate passata; pareva deciso a fare in modo che tutti si divertissero quanto a Hogwarts, se non di più, e trascorse i giorni prima di Natale a pulire e decorare senza sosta, con l’aiuto di tutti, così che quando andarono a dormire la sera della vigilia la casa era a stento riconoscibile. I lampadari anneriti non erano più carichi di ragnatele ma di ghirlande di agrifoglio e festoni d’oro e d’argento; mucchi di neve magica scintillavano sui tappeti lisi; un grande albero di Natale, procurato da Mundungus e addobbato con fate vive, nascondeva l’albero genealogico di Sirius, e perfino le teste d’elfo imbalsamate sulle pareti portavano barbe e cappelli da Babbo Natale.

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