Almeno fino a ora, pensò Alvin. Stavolta quando siamo arrivati eravamo troppo forti. Come uno che si becca un paio di raffreddori, e allora pensa che forse non arriverà mai ad ammalarsi sul serio, e poi gli capita di prendere il vaiolo e allora capisce che fino a quel momento non è mai stato veramente malato.
Alvin si sentì posare una mano sulla spalla.
«Allora è questo che stai guardando» disse il Profeta. «Che cos’hai visto?»
«Penso di avere visto l’intera creazione del mondo» rispose Al. «Proprio come nella Bibbia. Penso di avere visto…»
«Lo so che cos’hai visto. Tutti coloro che vengono in questo posto vedono la stessa cosa.»
«Credevo che tu avessi detto che prima di me non ci avevi mai portato nessuno.»
«Questo posto… vi si può arrivare attraverso molte porte. Alcuni vi giungono attraverso il fuoco. Altri attraverso l’acqua. Altri facendosi seppellire nella terra. Altri precipitando nell’aria. Giungono in questo posto e vedono. Quando tornano indietro, raccontano ciò di cui si ricordano, per quanto ne hanno capito, e lo raccontano con le parole di cui dispongono, e gli altri ascoltano e ricordano, per quanto ne possono capire. Questo è il luogo dove si vede.»
«Non voglio andare via» disse Alvin.
«Lo so. Nemmeno l’altro lo vuole.»
«Chi? C’è forse qualcun altro?»
Il Profeta scosse la testa. «Non il suo corpo. Ma lo sento dentro di me, che guarda attraverso il mio occhio.» Si toccò lo zigomo sotto l’occhio buono. «Non questo, l’altro.»
«Non sai chi sia?»
«È bianco» disse il Profeta. «Ma non ha importanza. Chiunque sia, non ha fatto niente di male. Penso che forse… sia stato un bene. Adesso dobbiamo andare.»
«Ma io voglio sapere tutte le storie di questo posto!»
Il Profeta rise. «Potresti vivere in eterno, e non riusciresti a vederle tutte. Queste storie cambiano più in fretta di quanto un uomo riesca a vedere.»
«Ma almeno potrò tornare qui? Voglio vedere tutto, ogni cosa!»
«Non ti ci riporterò mai più» disse il Profeta.
«Perché? Che cos’ho fatto di male?»
«Taci, Ragazzo degli Scarafaggi. Non ti ci riporterò mai più perché non ci tornerò mai più nemmeno io. Questa è stata l’ultima volta. Ho visto la fine di tutti i miei sogni.»
Per la prima volta, Alvin si rese conto di quanto il Profeta apparisse triste. Aveva il viso stravolto dal dolore.
«È in questo posto che ti ho visto. Ho visto che ti dovevo portare qui. Ti ho visto nelle mani dei Chok-Taw. E ho mandato mio fratello a prenderti e a portarti da me.»
«È perché mi hai portato qui che non potrai tornarci mai più?»
«No. La terra ha scelto. La fine verrà presto.» Sorrise, ma nel suo sorriso c’era qualcosa di agghiacciante. «Quel vostro predicatore, il reverendo Thrower, una volta mi disse… se il tuo piede si ammala, taglialo e gettalo via. È così che dice, vero?»
«Non me ne ricordo.»
«Io sì» disse il Profeta. «Questa parte della terra è già ammalata. Perciò è necessario tagliarla, perché il resto possa vivere.»
«Che vuoi dire?» Alvin si vide passare davanti agli occhi immagini di terre che si sgretolavano precipitando in mare.
«L’uomo rosso se ne andrà a ovest del Mizzipy. L’uomo bianco se ne rimarrà a est. La parte rossa della terra continuerà a vivere. La parte bianca sarà come morta, amputata. Piena di fumo e di metallo, di fucili e di morte. Gli uomini rossi che resteranno a est diventeranno Bianchi. E gli uomini bianchi non verranno a ovest del Mizzipy.»
«Ci sono già uomini bianchi a ovest del Mizzipy. Soprattutto mercanti e cacciatori di pellicce, ma anche coloni con le loro famiglie.»
«Lo so» disse il Profeta. «Ma da ciò che ho visto oggi… ho capito come si può ottenere che l’uomo bianco non si spinga più a ovest, e l’uomo rosso non resti più a est.»
«E come?»
«Se te lo dico» disse il Profeta «non accadrà. Certe cose che si vedono in questo posto non si possono raccontare, altrimenti cambiano e non si realizzano più.»
«Parli della città di cristallo?» chiese Alvin.
«No» disse il Profeta. «Parlo del fiume di sangue. Della foresta di ferro.»
«Fammeli vedere!» esclamò il ragazzo. «Fammi vedere ciò che hai visto!»
«No» disse il Profeta. «Non manterresti il segreto.»
«E perché no? Se ti do la mia parola, saprò mantenerla!»
«Potresti continuare a darmi la tua parola per tutto il giorno, Ragazzo degli Scarafaggi, ma di fronte a quella visione urleresti di paura e di dolore. E ne parleresti a tuo fratello. Ne parleresti ai tuoi familiari.»
«Deve succedergli qualcosa?»
«Nessuno dei tuoi familiari morirà» assicurò il Profeta. «Qualunque cosa succeda, ne usciranno sani e salvi.»
«Fammelo vedere!»
«No» disse il Profeta. «Adesso distruggerò la torre, e tu ricorderai tutto quello che abbiamo fatto e detto. Ma se vuoi tornare qui a vedere ciò che desideri, prima dovrai trovare la città di cristallo.»
Inginocchiatosi nel punto dove la parete incontrava il pavimento, il Profeta spinse le dita insanguinate sotto la parete e tirò. La parete si sollevò, si dissolse, si trasformò in vento. Adesso erano nuovamente circondati dalla scena che avevano lasciato molte ore prima, o almeno così sembrava. L’acqua, il temporale, la tromba d’aria che s’innalzava sopra di loro fino a scomparire tra le nuvole. Tutt’intorno a loro cadevano i lampi, e la pioggia scrosciava con tale violenza che la riva non si vedeva più. La pioggia che cadeva sulla piattaforma di cristallo su cui stavano Alvin e il Profeta si solidificava trasformandosi anch’essa in cristallo.
Il Profeta si avvicinò al bordo dalla parte della spiaggia e mise piede sulla superficie del lago in tempesta. L’acqua gli s’indurì sotto il piede, ma continuò lentamente a ondeggiare, senza immobilizzarsi completamente come la piattaforma. Il Profeta si voltò tendendo la mano ad Alvin. Questi gliel’afferrò, mettendo piede a sua volta sul sentiero che il Profeta aveva cominciato a creare sulla superficie del lago. Ma quella specie di passerella era molto meno stabile di prima, e più si allontanavano più si muoveva e diventava scivolosa, rendendo sempre più difficile superare la cresta delle onde.
«Siamo rimasti là dentro troppo a lungo!» esclamò il Profeta.
Alvin sentiva l’acqua tenebrosa premere sotto il sottile guscio di cristallo, intorbidita dall’odio. Il nulla dell’antico incubo cercava di infrangere il cristallo, afferrare le caviglie di Al, risucchiarlo verso il basso, annegarlo, farlo a pezzi, ridurlo in minutissimi frammenti e scagliarlo nell’oscurità.
«Non sono stato io!» gridò Alvin.
Il Profeta si voltò, lo afferrò sotto le ascelle e se lo issò sulle spalle. La pioggia lo sferzava, il vento cercava di strapparlo dalle spalle del Profeta. Alvin si teneva aggrappato ai capelli di Tenska-Tawa. A ogni passo, sentiva che i piedi del Profeta affondavano sempre di più nell’acqua. Alle loro spalle non vi era più traccia del sentiero, tutto era sparito, i cavalloni si facevano sempre più alti e minacciosi.
Il Profeta incespicò, cadde; anche Alvin cadde, in avanti, sicuro che la sua ora fosse giunta, sicuro di annegare…
Si ritrovò disteso sulla sabbia bagnata della riva, con l’acqua che lo lambiva portandogli via la sabbia di sotto il corpo, cercando di trascinarlo verso il lago. Poi sentì delle mani forti afferrarlo sotto le braccia e trasportarlo su per la spiaggia, lontano dall’acqua, verso la sommità delle dune.
«Il Profeta! È rimasto laggiù!» urlò Alvin. O almeno così credette… la sua voce era ridotta a un sussurro quasi inavvertibile. Ma il vento era così forte che non lo si sarebbe udito ugualmente. Quando aprì gli occhi, venne immediatamente accecato da un misto di sabbia e di pioggia.
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