Robert Jordan - Il signore del caos

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Appoggiandosi allo schienale lasciò che l’ondeggiare della portantina la calmasse. Odiava quella città — vi era giunta come una fuggiasca, quando era una novizia — ma forse in fondo quella visita sarebbe finita in maniera piacevole.

Seduto nel suo studio, Herid fissava il fornello della pipa chiedendosi se avesse qualcosa con cui accenderla, quando il gholam passò sotto la porta. Anche se Fel avesse prestato attenzione non ci avrebbe creduto. Una volta che il gholam" fosse stato nella stanza, pochi uomini avrebbero avuto qualche possibilità.

Quando Idrien si recò allo studio di Fel, fissò ciò che era accatastato in maniera non troppo ordinata sul pavimento vicino al tavolo. Ci mise un istante per capire di cosa si trattasse, quindi svenne prima di riuscire a gridare. Per quante volte avesse sentito parlare di qualcuno fatto a pezzi, non l’aveva mai visto prima.

Il cavaliere fece voltare il destriero in cima alla collina per rivolgere un’ultima occhiata a Ebou Dar, che risplendeva bianca nel sole. Era un buona città per il saccheggio e, da quanto aveva scoperto sulla gente del posto, i locali avrebbero opposto resistenza, quindi il Sangue avrebbe autorizzato a razziare. Avrebbero resistito. Ma lui sperava che gli altri occhi stessero riportando un disaccordo come quello che aveva visto lui. La resistenza non sarebbe durata a lungo, in un luogo dove una cosiddetta regina governava una piccola terra; il tutto creava i migliori presupposti. Fece voltare il cavallo e si diresse a occidente. Chi poteva dirlo? Forse il commento di quel tizio era stato un presagio. Forse il Ritorno sarebbe giunto presto e la Figlia delle Nove Lune con esso. Sicuramente, sarebbe stato il più bel presagio di vittoria.

Moghedien, distesa in terra nella notte, fissava il tetto della piccola tenda che le avevano concesso in veste di cameriera dell’Amyrlin. Di tanto in tanto digrignava i denti, ma non appena se ne accorgeva smetteva, ben consapevole dell’a’dam che aveva intorno al collo. Quella Egwene al’Vere era molto più dura di quanto erano state Elayne o Nynaeve; tollerava molto meno e pretendeva di più. Quando passava il bracciale a Siuan o Leane, specialmente Siuan... Moghedien rabbrividì. Sarebbe stata la stessa cosa se l’avesse indossato Birgitte.

Il lembo all’ingresso alla tenda si sollevò, facendo filtrare la luce lunare che le consentì di scorgere una figura femminile che entrava.

«Chi sei?» chiese dura Moghedien. Quando mandavano qualcuna a chiamarla nella notte, chiunque fosse, veniva sempre con una lanterna. «Puoi chiamarmi Aran’gar, Moghedien» rispose una voce divertita, e nella tenda si accese una piccola luce.

Sentire il proprio nome fece incollare la lingua della Reietta al palato; quel nome in quel posto significava morte. Stava facendo fatica a riuscire a parlare, per dire che il suo nome era Marigan, quando divenne consapevole della luce. Un piccolo globo luminoso sospeso vicino alla sua testa. Con l’a’dam su di lei non poteva nemmeno pensare a saidar senza permesso, ma sentiva sempre quando veniva incanalato e vedeva i flussi. Stavolta non sentiva nulla e non vedeva nulla. Solo un globo di luce pura.

Fissò la donna che si era presentata come Aran’gar e la riconobbe. Halima, le sembrava di ricordare, segretaria di una delle Sorelle. Una donna, senza alcun dubbio, come lo avrebbe potuto disegnarla un uomo. Una donna. Ma quel globo di luce doveva essere di saidin! «Chi sei?» la voce le tremava leggermente e fu sorpresa che fosse tanto ferma.

La donna le sorrise — un sorriso molto divertito — mentre si sedeva vicino al suo pagliericcio. «Te l’ho detto, Moghedien. Mi chiamo Aran’gar. Riconoscerai questo nome in futuro, se sarai fortunata. Adesso ascoltami attentamente e non fare domande. Ti dirò ciò che hai bisogno di sapere. In un istante rimuoverò questo tuo bel girocollo. Quando lo farò, tu svanirai rapida e silenziosa come ha fatto Logain. Se non lo fai, morirai qui e sarebbe un peccato, perché sei stata convocata a Shayol Ghul proprio stanotte.»

Moghedien si umettò le labbra. Convocata a Shayol Ghul. Poteva significare il Pozzo del Destino per tutta l’eternità o l’immortalità per governare il mondo, o qualsiasi cosa inclusa fra le due. Aveva poche possibilità di essere nominata Nae’blis, non se il Sommo Signore ne sapeva abbastanza su come aveva trascorso gli ultimi mesi da inviare qualcuno a liberarla. Eppure era una convocazione alla quale non poteva dire di no, e comportava comunque la fine dell’a’dam. «Sì, rimuovilo. Me ne andrò immediatamente.» Non aveva alcun senso ritardare; lei era più forte di ogni altra donna nell’accampamento, ma non voleva dare a un gruppo di tredici la possibilità di sopraffarla.

«Immaginavo che saresti stata dello stesso parere.» Halima, o Aran’gar, rise deliziata. Toccò il collare facendo una leggera smorfia e Moghedien si chiese di nuovo chi fosse quella donna che aveva apparentemente incanalato saidin facendosi male, anche se poco, toccando ciò che poteva fare male solo a un uomo che incanalasse. Poi il collare cadde, finendo subito in tasca alla donna. «Vai Moghedien, vai via adesso.»

Quando Egwene raggiunse la tenda e infilò dentro testa e lanterna, trovò solo delle coperte. Si ritirò lentamente.

«Madre,» disse Chesa alle sue spalle «non dovresti essere fuori. L’aria della notte non fa bene. Se volevi Marigan avrei potuto venire a chiamarla io per te.»

Egwene si guardò intorno. Aveva sentito il bracciale cadere e il lampo di dolore segno che un uomo capace d’incanalare aveva sfiorato quel legame. La maggior parte degli altri era già a dormire ma alcuni sedevano ancora fuori le tende attorno ai fuochi, qualcuno non lontano dalla sua tenda. Forse avrebbe scoperto quale uomo era andato a visitare Marigan.

«Penso che sia scappata, Chesa» rispose. I lamenti furiosi di Chesa sulle donne che disertavano le loro padrone la seguirono fino alla tenda. Non poteva essere stato Logain. O forse sì? Non sarebbe mai tornato indietro, non poteva sapere. O invece sì?

Demandred era inginocchiato nel Pozzo del Destino e, per una volta, non gli importava che Shaidar Haran lo vedesse tremare con quel suo sguardo impassibile, senza occhi. «Non mi sono forse comportato bene, Sommo Signore?»

La risata del Sommo Signore colmò la testa di Demandred.

La torre immacolata si spezza e si inginocchia davanti al simbolo dimenticato.

I mari infuriano e le nuvole dell’uragano si riuniscono inosservate.

Oltre l’orizzonte i fuochi nascosti aumentano e i serpenti si annidano fra i seni.

Ciò che era stato esaltato adesso è decaduto, ciò che era decaduto adesso è risollevato.

L’ordine brucia per aprirsi un varco.

Le Profezie del Drago Traduzione di Jeorad Manyard Governatore delle province di Andor Per il sommo re, Artur Paendrag Tanreall
Fine

del Sesto libro

della Ruota del Tempo

Glossario

Nota sulle date

Il Calendario Tornano (ideato da Toman dur Ahmid) fu adottato circa due secoli dopo la morte dell’ultimo Aes Sedai e registrò gli anni dopo la Frattura del mondo (d.F.) Molte registrazioni andarono distrutte durante le Guerre Trolloc, al punto che al termine del conflitto vi erano discussioni a proposito dell’anno esatto secondo l’antico sistema. Tiam di Gazar propose un nuovo calendario, per celebrare la presunta liberazione dalla minaccia dei Trolloc, nel quale ogni anno era registrato come Anno Libero (A.L.). Nel giro di vent’anni dalla conclusione delle guerre, il calendario gazarano fu ampiamente accettato. Artur Hawkwing tentò di istituire un nuovo calendario basato sulla fondazione del proprio impero (F.I., dalla fondazione dell’impero), ma al giorno d’oggi esso è noto solo agli storici, gli unici a farvi riferimento. Dopo l’estesa distruzione, la morte e la disgregazione provocata dalla Guerra dei Cento Anni, un quarto calendario fu ideato da Uren din Jubai, ‘il Gabbiano che si leva in alto’, uno studioso del Popolo del Mare, e promulgato dal panarca Farede di Tarabon. Il calendario faredese, che partiva dalla data, arbitrariamente stabilita, della conclusione della Guerra dei Cento Anni e registrava gli anni della Nuova Era (N.E.), è quello di uso corrente.

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