Robert Jordan - Il signore del caos
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Fu il motivo per cui Perrin parlò della vita con Faile, di come avesse trapiantato le sue radici prima che lui se ne rendesse conto. Una volta la sua casa erano i Fiumi Gemelli, adesso era ovunque si trovasse Faile. Il pensiero che lo stesse aspettando gli fece allungare il passo. La sua presenza illuminava le stanze e davanti al suo sorriso svanivano tutti i problemi. Certo non poteva confessare come pensare a lei gli facesse bollire il sangue, o come gli battesse il cuore quando la guardava — sarebbe stato indecente — e di sicuro non aveva intenzione di parlare dei problemi che gli aveva scatenato. Cosa doveva fare? Era davvero pronto a inginocchiarsi davanti a lei, ma un seme profondo di ostinazione che albergava in Perrin richiedeva prima una parola da Faile. Se solo gli avesse detto di volere che tutto tornasse come prima.
«Cosa mi dici della sua gelosia?» chiese Loial, e stavolta fu Perrin a tossire. «Le mogli sono tutte così?»
«Gelosia?» chiese Perrin innocente. «Faile non è gelosa. Da dove hai preso quell’idea? Lei è perfetta.»
«Certo che lo è» rispose Loial sottovoce, scrutando nel fornello della pipa. «Hai altro tabacco dei Fiumi Gemelli? Tutto ciò che mi è rimasto una volta finito questo è del forte tabacco cairhienese.»
Se fosse stato sempre così, il viaggio sarebbe stato pacifico, per quanto potesse esserlo un inseguimento. Il paesaggio si stendeva a perdita d’occhio senza anima viva in vista. Il sole era oro ardente e trasformava l’aria in un forno, i falchi planavano nel cielo terso. I lupi, non volendo che gli umani si avvicinassero a loro, facevano scappare i cervi verso la strada in modo tale che fossero sempre più del necessario, e non era insolito vedere un cervo fiero con le sue femmine e le corna ramificate che se ne stavano in piena vista mentre il gruppo passava, ma c’era un antico proverbio: «Un uomo completamente in pace è come un uomo senza ombelico.»
I Cairhienesi non erano gentili con gli Aiel, li guardavano male molto spesso o si facevano apertamente beffe di loro. Più di una volta Dobraine si era lamentato di essere superato in numero di dodici a uno. Rispettava le loro capacità in combattimento, ma nel modo in cui avrebbe rispettato la pericolosità di un branco di leopardi rabbiosi. Gli Aiel invece non guardavano male e non si beffavano di nessuno; rendevano ben chiaro che i Cairhienesi non meritavano alcuna attenzione. Perrin non sarebbe rimasto sorpreso se uno di loro avesse cercato di travolgere un Cairhienese rifiutandosi di ammettere che fosse presente. Rhuarc aveva detto che non ci sarebbero stati problemi, fino a quando gli assassini dell’albero non ne avessero causati. Dobraine aveva detto che non ci sarebbero stati problemi, fino a quando i selvaggi si fossero tenuti lontano da lui. Perrin sperava di poter essere certo che non avrebbero iniziato ad ammazzarsi a vicenda ancora prima di avvistare le Aes Sedai che tenevano prigioniero Rand.
Aveva qualche speranza che l’esercito di Mayene potesse essere un ponte fra i due gruppi, anche se a volte se ne pentiva. Gli uomini con i pettorali rossi andavano d’accordo con quelli bassi e dall’armatura semplice — non c’era mai stata guerra fra Mayene e Cairhien — e gli uomini di Mayene andavano d’accordo anche con gli Aiel. Fatta eccezione per la guerra Aiel, Mayene non aveva mai combattuto contro di loro. Dobraine era abbastanza amichevole con Nurelle, spesso cenavano insieme, e Nurelle aveva preso l’abitudine di fumare con alcuni degli Aiel. In particolare Gaul. Era quello il motivo di rimpianto.
«Ho parlato con Gaul» disse Nurelle con diffidenza. Era il quarto giorno di viaggio e aveva abbandonato il gruppo degli uomini di Mayene per affiancarsi a Perrin in fondo alla colonna. Perrin lo ascoltava solo in parte. Fuoco Selvatico aveva permesso a uno dei giovani maschi del suo branco di avvicinarsi alle Aes Sedai quando avevano iniziato a muoversi quella mattina e non aveva visto Rand. Tutti i lupi sapevano che aspetto avesse Ammazza Ombra. Eppure, malgrado la descrizione frammentata di Nuvole del Mattino, tutti i carri tranne uno sembravano essere protetti dai teloni. Rand probabilmente era dentro uno di quelli, in una condizione decisamente migliore della loro, sotto il sole cocente, con il sudore che colava nella camicia. «Mi stava raccontando della battaglia a Emond’s Field» proseguì Nurelle «e della tua campagna dei Fiumi Gemelli. Lord Aybara, sarei molto onorato di sentire il racconto delle tue battaglie dalle tue labbra.»
Perrin si eresse improvvisamente sulla sella fissando il ragazzo. No, non era un ragazzo, malgrado le guance rosa e il viso aperto. Nurelle doveva avere la sua stessa età, ma l’odore dell’uomo, tutto fervente e tremante... Perrin avrebbe voluto. Aveva percepito lo stesso odore provenire dai giovani nei Fiumi Gemelli, ma l’adorazione proveniente da un uomo della sua stessa età era troppo da sopportare.
Se questo fosse stato il peggio, non vi avrebbe badato. Si aspettava che gli Aiel e i Cairhienesi non si piacessero. Doveva aspettarsi che un giovane ragazzo che non aveva mai visto una battaglia ne ammirasse uno che aveva combattuto contro i Trolloc. Erano le cose che non aveva previsto a preoccuparlo. L’imprevisto poteva morderti su una caviglia quando meno te l’aspettavi e quando davvero non potevi permetterti di essere distratto.
A parte Gaul e Rhuarc, tutti gli Aiel avevano una fascia rossa attorno al capo, con il disco nero e bianco al centro della fronte. Perrin li aveva visti a Cairhien e Caemlyn, ma quando aveva chiesto a Gaul e poi a Rhuarc se era ciò che li rendeva siswai’aman, entrambi avevano fatto finta di non sapere di cosa stesse parlando, come se non vedessero quelle bande rosse sulle tempie di cinquemila uomini. Perrin si rivolse anche all’uomo che sembrava essere al comando dopo Rhuarc, Urien, un Reyn Due Spire che aveva già incontrato molto tempo prima, ma nemmeno Urien sembrava capire. Be’, Rhuarc aveva detto di poter portare solo siswai’aman, quindi Perrin li aveva identificati come tali, anche se non sapeva cosa significasse.
Quanto invece sapeva era che avrebbero potuto esserci problemi fra i siswai’aman e le Fanciulle. Quando alcuni di questi uomini guardavano le Fanciulle, Perrin coglieva una traccia di gelosia. Quando qualcuna delle Fanciulle guardava i siswai’aman, il loro odore gli faceva venire in mente un lupo che sbranasse una carcassa di un cervo e che non intendeva lasciar avvicinare nessun componente del branco, anche se fosse morto per mangiarlo tutto. Non riusciva a capire perché, ma l’odore c’era, ed era forte.
Quello era uno dei potenziali imprevisti futuri. Altre cose non lo erano. Per i primi due giorni dopo aver lasciato la città, Sulin e Nandera si erano trovate in prima linea ogni volta che Rhuarc diceva qualcosa che riguardasse Fanciulle; ogni volta Sulin faceva retromarcia arrossendo, ma era sempre presente la volta dopo, sempre. La seconda notte, dopo aver allestito l’accampamento, le due avevano tentato di uccidersi a mani nude.
Almeno quella era l’impressione che aveva avuto Perrin: si erano prese a calci e pugni e si erano scagliate al suolo piegando le braccia l’una dell’altra fino quasi a spezzarle — fino a quando chiunque fosse in svantaggio riusciva a liberarsi divincolandosi e colpendo a sua volta. Rhuarc l’aveva fermato quando aveva cercato di interferire, sembrando sorpreso del fatto stesso che Perrin volesse provarci. Molti Cairhienesi e uomini di Mayene si erano riuniti per assistere all’incontro e scommettere, ma nessun Aiel le aveva guardate, nemmeno le Sapienti.
Alla fine Sulin era riuscita a mettere Nandera faccia a terra con un braccio ripiegato dietro la schiena e, dopo averla afferrata per i capelli, aveva sbattuto al suolo la testa dell’altra donna fino a quando non aveva perso i sensi. Sulin era rimasta a lungo a fissare la sua avversaria, quindi aveva sollevato Nandera, ancora svenuta, se l’era messa sulle spalle e si era allontanata con lei.
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