Robert Jordan - Presagi di tempesta

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I segni sono inequivocabili: l’Ultima Battaglia si avvicina. Rand al’Thor, il Drago Rinato, è determinato a stipulare una pace con gli invasori Seanchan. Per ottenerla, vuole dimostrare la sua buona fede riportando l’ordine nell’Arad Doman, un paese sotto attacco dei Seanchan, ma anche privo di un re… e dietro la sparizione del sovrano potrebbe esserci Graendal, una dei Reietti, maestra nella Coercizione. Nel frattempo, sia Mat che Perrin, superate varie vicissitudini, stanno cercando di tornare verso l’Andor per riunirsi a Rand prima dell’Ultima Battaglia.
Ancora più difficile è il compito di Egwene: catturata e ridotta a novizia nella Torre Bianca, è riuscita a instillare il dubbio in molte delle Aes Sedai rimaste fedeli a Elaida, tanto che alcune di loro prestano ascolto alle sue parole e le chiedono addirittura consiglio. Ma sulla Torre incombe lo spettro di un attacco dei Seanchan: Egwene l’ha sognato e sa che avverrà e anche molto presto.
Tarmon Gai’don, l’Ultima Battaglia, si avvicina. Ma l’umanità non è pronta.

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Ituralde studiò la città , Darluna, attraverso il suo cannocchiale, facendo ombra all’estremità con la mano sinistra. Sedeva sul suo castrone silenzioso sotto di lui nella luce della sera. Lui e parecchi dei suoi Domanesi si mantenevano in questa piccola macchia di alberi; ci sarebbe voluta la fortuna del Tenebroso affinche i Seanchan lo individuassero, perfino se anche loro avessero avuto dei cannocchiali.

Le cose dovevano sempre peggiorare prima di poter migliorare. Aveva acceso un fuoco sotto i Seanchan distruggendo i loro depositi di provviste per tutta la Piana di Almoth e fin dentro Tarabon. Perciò non si sarebbe dovuto sorprendere nel vedere un esercito vasto come questo — forte di almeno centocinquantamila unità — che veniva a spegnere quel fuoco. Dimostrava un certo rispetto. Questi invasori Seanchan non lo sottovalutavano. Avrebbe preferito il contrario. Ituralde spostò il suo cannocchiale, esaminando un gruppo di cavalieri fra le forze seanchan. Cavalcavano a due a due, con una donna di ciascuna coppia vestita di grigio, l’altra di rosso e blu. Erano troppo distanti perfino col cannocchiale perché lui potesse distinguere i fulmini ricamati sugli abiti di quelle in rosso e blu, ne poteva vedere le catene che collegavano ogni coppia. Damane e sul’dam.

Questo esercito aveva almeno un centinaio di coppie, probabilmente di piu’. E, come se non bastasse, poteva vedere sopra le loro teste una di quelle bestie volanti, che si avvicinava in modo che il suo cavaliere lasciasse cadere un messaggio per il generale. Con quelle creature a portare i loro esploratori, l’esercito dei Seanchan aveva un vantaggio senza precedenti. Ituralde avrebbe scambiato diecimila soldati per una sola di quelle bestie volanti. Altri comandanti avrebbero potuto volere le damane, con la loro capacità di scagliare fulmini e far sussultare la terra, ma le battaglie — come le guerre — si vincevano grazie alle informazioni altrettanto spesso che grazie alle armi.

Naturalmente i Seanchan potevano anche contare su armi migliori, oltre che sui loro esploratori. Anche le loro truppe erano superiori. Anche se Ituralde andava fiero dei suoi Domanesi, molti dei suoi uomini erano male addestrati o troppo vecchi per combattere. Lui stesso quasi si considerava in quel novero, dal momento che gli anni iniziavano ad accumularsi su di lui come mattoni su una spatola. Ma non ci pensava nemmeno a ritirarsi. Da ragazzo, spesso aveva provato un senso di urgenza, al pensiero che, quando fosse cresciuto, tutte le grandi battaglie sarebbero terminate e non ci sarebbe stata più gloria da ottenere.

A volte invidiava i ragazzi per la loro ingenuità.

«Marciano rapidi, Rodel» disse Lidrin. Era un giovane con una cicatrice lungo il lato sinistro del volto e portava dei sottili baffetti neri alla moda. «Vogliono proprio impossessarsi di quella città.» Lidrin era un ufficiale privo di esperienza sul campo all’inizio di questa campagna. Adesso era un veterano. Sebbene Ituralde e le sue forze avessero vinto quasi ogni scontro che avevano avuto con i Seanchan, Lidrin aveva visto cadere tre dei suoi compagni ufficiali, fra i quali il povero Jaalam Nishur. Dalle loro morti, Lidrin aveva imparato una delle amare lezioni della guerra: vincere non voleva dire necessariamente vivere. Ed eseguire gli ordini spesso non significava ne vincere ne vivere.

Lidrin non indossava la sua solita uniforme. E nemmeno Ituralde o nessuno degli uomini con lui. Le loro uniformi erano necessarie altrove, e questo li lasciava con semplici giacche lise e pantaloni bruni. Molti di quegli indumenti erano stati comprati o presi in prestito dalla gente del luogo.

Ituralde sollevò di nuovo il suo cannocchiale, pensando al commento di Lidrin. I Seanchan marciavano davvero con rapidità ; progettavano di prendere Darluna in fretta. Vedevano il vantaggio che avrebbe offerto, poiche erano nemici intelligenti, e avevano fatto tornare in Ituralde un’eccitazione che presumeva di essersi lasciato alle spalle anni fa.

«Sì, procedono rapidi» disse. «Ma tu cosa faresti, Lidrin? Una forza nemica di duecentomila unità dietro di te, un’altra di centocinquantamila davanti a te. Con nemici da ogni lato, faresti marciare i tuoi uomini sfiancandoli un po’ troppo se sapessi che poi troverai un rifugio?» Lidrin non rispose. Ituralde spostò il suo cannocchiale per esaminare i campi primaverili con i braccianti che si occupavano della semina. Darluna era una grande città rispetto alle altre di queste parti. Nulla qui nell’Ovest poteva essere paragonato alle imponenti città dell’Est e del Sud, naturalmente, a prescindere da quello che avrebbe potuto affermare la gente di Tanchico o di Falme. Tuttavia Darluna aveva robuste mura di granito alte venti piedi buoni. Quella fortificazione non era affatto bella, ma le mura erano solide e cingevano una città abbastanza grande da far rimanere a bocca aperta qualunque ragazzo di campagna. Da giovane, Ituralde l’avrebbe definita magnifica, ma quello era stato prima che andasse a combattere gli Aiel a Tar Valon.

A ogni modo, era la miglior fortificazione che si potesse trovare nella zona, e i comandanti Seanchan di sicuro lo sapevano. Avrebbero potuto scegliere di asserragliarsi in cima a una collina: combattendo circondati, avrebbero sfruttato appieno le damane. Però una tattica del genere non li avrebbe solo privati di una possibilità di fuga, ma avrebbe limitato le loro opportunità di riapprovvigionarsi. Dentro le mura, una città avrebbe avuto pozzi e forse qualcosa rimasto dalle scorte per l’inverno. E Darluna, che era stata costretta a inviare altrove le sue guarnigioni, era troppo piccola per offrire molta resistenza…

Ituralde abbassò il suo cannocchiale. Non ne aveva bisogno per sapere cosa stava succedendo mentre gli esploratori Seanchan raggiungevano la città , domandando che venissero aperte le porte alle forze degli invasori. Chiuse gli occhi, in attesa.

Lidrin espirò piano accanto a lui. «Non se ne sono accorti» sussurrò. «Stanno muovendo il grosso delle loro forze contro le mura, in attesa che li lascino entrare!»

«Dà l’ordine» disse Ituralde aprendo gli occhi. C’era un solo problema con esploratori eccezionali come i raken. Quando avevi accesso a uno strumento così utile, tendevi ad affidarti a esso. E una fiducia come quella poteva essere sfruttata.

In lontananza, i ‘contadini’ sui campi gettarono via i loro attrezzi ed estrassero degli archi da fessure nascoste nel terreno. I cancelli della città si aprirono, rivelando i soldati che si nascondevano all’interno… soldati che, stando a quanto avevano affermato gli esploratori Seanchan, si trovavano a quattro giorni di distanza a cavallo.

Ituralde sollevò il suo cannocchiale. La battaglia ebbe inizio.

Le dita del Profeta morsero il suolo, scavando buchi nel terreno mentre arrancava su fino alla sommità del pendio boscoso. I suoi seguaci vagavano disordinati dietro di lui. Così pochi. Così pochi! Ma lui avrebbe ricostruito. La gloria del Drago Rinato lo seguiva e, ovunque andasse, trovava anime volenterose. Quelli dai cuori puri, quelli le cui mani bruciavano dalla voglia di distruggere l’Ombra.

Sì! Non bisognava pensare al passato, ma al futuro, quando il lord Drago avrebbe governato tutta la Terra! Quando gli uomini sarebbero stati soggetti solo a lui, e al suo Profeta sotto di lui. Quei giorni sarebbero stati davvero gloriosi, giorni in cui nessuno avrebbe osato schernire il Profeta o opporsi alla sua volontà. Giorni in cui il Profeta non avrebbe dovuto patire l’indegnità di vivere vicino allo stesso accampamento — proprio lo stesso — di Progenie dell’Ombra come quell’Aybara. Giorni gloriosi. Giorni gloriosi stavano arrivando.

Era difficile mantenere i suoi pensieri concentrati su quelle glorie future. Il mondo attorno a lui era così sordido. Gli uomini negavano il Drago e cercavano l’Ombra. Perfino i suoi stessi seguaci. Sì! Doveva essere quello il motivo per cui erano caduti. Doveva essere quello il motivo per cui in così tanti erano morti nell’assalto alla città di Malden e ai suoi Amici delle Tenebre Aie.

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