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Robert Jordan: Le Torri di Mezzanotte

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Robert Jordan Le Torri di Mezzanotte

Le Torri di Mezzanotte: краткое содержание, описание и аннотация

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Rand al’Thor, il Drago Rinato, si è confrontato con sé stesso, comprendendo finalmente il suo ruolo nello scontro finale con il Tenebroso. Ora tutto ciò che gli resta da fare prima dell’ultima Battaglia è riparare quanti più danni possibile nel mondo per poi radunare le truppe. Anche Perrin sta cercando di ricongiungersi con lui, ma sulla sua strada si frappongono ostacoli provenienti dal suo passato, e per superarli dovrà innanzitutto trovare la pace con il lupo dentro di lui. E mentre Egwene, ormai stabilmente Amyrlin Seat, deve confrontarsi con Mesaana, una dei Reietti che da tempo si nasconde all’interno della Torre Bianca, Elayne sta consolidando il suo potere nell’Andor. È qui che arriva Mat, con la sua Banda della Mano Rossa, costretto da un giuramento ad attendere a Caemlyn prima di imbarcarsi in un’impresa impossibile per salvare una persona che tutti credevano morta. Dopo tante peripezie, tutti i protagonisti si ricongiungeranno per affrontare Tarmon Gai’don. Il penultimo episodio di un ciclo che con la sua potente ed essenziale visione del Bene e del Male ha appassionato milioni di lettori.

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Perrin abbassò lo sguardo sul corpo di Aram. «Avrei dovuto togliergli quella stupida spada nel momento stesso in cui l’ha raccolta. Avrei dovuto rimandarlo dalla sua famiglia.»

Un cucciolo non merita forse le sue zanne? , domandò Hopper, sinceramente confuso. Perché vuoi strappargliele?

«È una cosa da uomini» disse Perrin.

Cose da due-gambe, da uomini. Sempre una cosa da uomini con te. E le cose da lupi?

«Io non sono un lupo.»

Hopper entrò nella forgia e Perrin lo seguì con riluttanza. Il barile stava ancora gorgogliando. La parete ricomparve e Perrin stava indossando nuovamente il suo farsetto di cuoio e il grembiule, le pinze in mano.

Si diresse verso il barile e tirò fuori un’altra statuetta. Questa aveva la forma di Tod al’Caar. Mentre si raffreddava, Perrin scoprì che la faccia non era distorta come quella di Aram, anche se la parte inferiore della statuetta non aveva una forma ed era ancora un blocco di metallo. La statuetta continuò a luccicare, debolmente rossastra, dopo che Perrin l’ebbe posata sul pavimento. Infilò di nuovo le pinze nell’acqua e tirò fuori una rappresentazione di Jori Congar, poi una di Azi al’Thone.

Perrin andò al barile gorgogliante più e più volte, tirando fuori una statuetta dopo l’altra. Come accade nei sogni, per andarle a prendere tutte impiegò sia un breve secondo che quelle che parevano ore. Quando ebbe terminato, centinaia di statuette erano posate sul pavimento rivolte verso di lui. Che lo osservavano. Ciascuna statuetta d’acciaio era illuminata da un minuscolo fuoco all’interno, come se attendesse di sentire il martello del forgiatore.

Ma statuette come questa non venivano forgiate; venivano colate in uno stampo. «Cosa significa?» Perrin si sedette su uno sgabello.

Significa? Hopper aprì la bocca in una risata lupesca. Significa che ci sono tanti piccoli uomini sul pavimento, e nessuno di essi è commestibile. La tua razza è troppo affezionata alle rocce e a quello che contengono.

Le statuette sembravano accusatorie. Attorno a loro giacevano i frammenti spezzati di Aram. Quei pezzi parvero diventare più grossi. Le mani frantumate iniziarono a muoversi, artigliando il terreno. Tutti i frammenti divennero piccole mani, che strisciavano verso Perrin, cercando di afferrarlo.

Perrin annaspò, balzando in piedi. Udì una risata in lontananza squillare più vicino, scuotendo l’edificio. Hopper saltò, andando a sbattere contro di lui. E poi...

Perrin si svegliò di soprassalto. Era di nuovo nella sua tenda, nel campo dove avevano montato l’accampamento ormai da alcuni giorni. La settimana prima erano incappati in una bolla di male che aveva fatto spuntare dal terreno di tutto quanto il campo degli arrabbiati serpenti rossi e unti. Diverse centinaia di persone si erano ammalate per i loro morsi; la Guarigione delle Aes Sedai era stata sufficiente a mantenere in vita la maggior parte di loro, ma non a risanarle del tutto.

Faile dormiva accanto a Perrin, pacifica. Fuori, uno dei suoi uomini diede dei colpi su un palo per indicare l’ora. Tre battiti. Mancava ancora qualche ora all’alba.

Il cuore di Perrin palpitò piano e lui si portò una mano contro il petto nudo. Quasi si aspettava che un esercito di minuscole mani di metallo strisciasse fuori da sotto il suo giaciglio.

Alla fine, si costrinse a chiudere gli occhi e cercò di rilassarsi. Stavolta non riuscì proprio a prendere sonno.

Graendal sorseggiava il suo vino, che scintillava in un calice decorato con un reticolo argenteo attorno ai lati. Il calice era stato foggiato con gocce di sangue intrappolate in un motivo ad anello all’interno del cristallo. Bloccate per sempre, minuscole bolle di rosso brillante.

«Dovremmo fare qualcosa» disse Aran’gar, stravaccata sul divanetto e osservando uno dei favoriti di Graendal con un famelico sguardo predatore mentre passava. «Non so come fai a sopportarlo, restare così lontano da eventi importanti, come uno studioso rintanato in un angoletto ammuffito.»

Graendal inarcò un sopracciglio. Uno studioso? In un angoletto ammuffito? Collina di Natrin era una residenza modesta paragonata ad alcuni palazzi che lei aveva conosciuto durante l’Epoca precedente, ma non era certo una catapecchia. L’arredamento era elegante, le pareti mostravano un motivo ad archi fatto con spessi legnami scuri, il marmo sui pavimenti scintillava con pezzi incrostati di oro e madreperla.

Aran’gar stava solo cercando di provocarla. Graendal scacciò l’irritazione dalla propria mente. Il fuoco ardeva basso nel camino, ma le doppie porte — che conducevano fuori a un camminamento a tre piani di altezza — erano aperte e facevano entrare una frizzante brezza montana. Di rado lei lasciava una porta o una finestra aperta sull’esterno, ma oggi le piaceva il contrasto: calore da un lato, una brezza fredda dall’altro.

La vita era fatta di sensazioni . Tocchi sulla pelle, sia gelidi che appassionati. Qualunque cosa fosse diversa dal normale, dall’ordinario, dal tiepido.

«Mi stai ascoltando?» chiese Aran’gar.

«Io ascolto sempre» disse Graendal, mettendo da parte il calice mentre sedeva sul divanetto. Indossava un abito dorato avvolgente, che cadeva dritto ma abbottonato al collo. Che mode meravigliose avevano questi Domanesi, ideali per stuzzicare senza rivelare.

«Io detesto essere così estraniata dalle cose» proseguì Aran’gar. «Quest’Epoca è eccitante. I primitivi possono essere così interessanti.» La donna voluttuosa dalla pelle color avorio inarcò la schiena, stiracchiando le braccia verso la parete. «Ci stiamo perdendo tutto il divertimento.»

«È meglio assistere al divertimento da lontano» disse Graendal. «Pensavo che per te fosse chiaro.»

Aran’gar tacque. Il Signore Supremo non era stato compiaciuto che lei avesse perso il controllo di Egwene al’Vere.

«Bene» disse Aran’gar, alzandosi in piedi. «Se è così che la pensi, cercherò un divertimento più interessante per la serata.»

La sua voce era fredda; forse la loro alleanza stava venendo meno. In tal caso, era tempo per i rinforzi. Graendal aprì sé stessa e accettò il dominio del Signore Supremo su di lei, provando l’eccitante estasi del suo potere, della sua passione, della sua stessa sostanza . Era molto più inebriante dell’Unico Potere, questo impetuoso torrente di fuoco.

Minacciava di sopraffarla e consumarla, e nonostante fosse colma del Vero Potere, poteva incanalarne soltanto un sottile rigagnolo. Un dono per lei da Moridin. No, dal Signore Supremo. Meglio non associare quei due nella sua mente. Per ora, Moridin era Nae’blis. Solo per ora.

Graendal intessé un nastro di Aria. Lavorare con il Vero Potere era simile, tuttavia non identico, a lavorare con l’Unico Potere. Un flusso del Vero Potere spesso funzionava in un modo lievemente diverso o aveva un effetto collaterale imprevisto. Ed esistevano alcuni flussi che potevano essere intessuti solo con il Vero Potere.

L’essenza del Signore Supremo forzava il Disegno, tendendolo e lasciandolo sfregiato. Perfino una cosa che il Creatore aveva progettato per essere perpetua poteva essere sfilacciata usando le energie del Signore Supremo. Rivelava una verità eterna, qualcosa che andava quanto più vicino all’essere sacro Graendal fosse disposta ad accettare. Qualunque cosa il Creatore poteva costruire, il Signore Supremo la poteva distruggere.

Fece serpeggiare il suo nastro di Aria attraverso la stanza verso Aran’gar. L’altra Prescelta era uscita sul balcone. Graendal proibiva la creazione di passaggi all’interno, per impedire che danneggiassero i suoi favoriti o il mobilio. Graendal sollevò il nastro di Aria su fino alla guancia di Aran’gar e l’accarezzò con delicatezza.

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