Robert Jordan - Le Torri di Mezzanotte

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Rand al’Thor, il Drago Rinato, si è confrontato con sé stesso, comprendendo finalmente il suo ruolo nello scontro finale con il Tenebroso. Ora tutto ciò che gli resta da fare prima dell’ultima Battaglia è riparare quanti più danni possibile nel mondo per poi radunare le truppe.
Anche Perrin sta cercando di ricongiungersi con lui, ma sulla sua strada si frappongono ostacoli provenienti dal suo passato, e per superarli dovrà innanzitutto trovare la pace con il lupo dentro di lui. E mentre Egwene, ormai stabilmente Amyrlin Seat, deve confrontarsi con Mesaana, una dei Reietti che da tempo si nasconde all’interno della Torre Bianca, Elayne sta consolidando il suo potere nell’Andor. È qui che arriva Mat, con la sua Banda della Mano Rossa, costretto da un giuramento ad attendere a Caemlyn prima di imbarcarsi in un’impresa impossibile per salvare una persona che tutti credevano morta. Dopo tante peripezie, tutti i protagonisti si ricongiungeranno per affrontare Tarmon Gai’don. Il penultimo episodio di un ciclo che con la sua potente ed essenziale visione del Bene e del Male ha appassionato milioni di lettori.

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Jargen mise gli uomini al lavoro, ma rivolse a Malenarin un’occhiata piatta, come per chiedere: Non pensi che l’abbia già fatto?

Quello voleva dire che i messaggi erano stati inviati, ma non c’era stata risposta. Il vento soffiò lungo la sommità della torre, facendo cigolare il congegno di specchi mentre i suoi uomini inviavano un’altra serie di lampi. Quel vento era umido. Fin troppo caldo. Malenarin lanciò un’occhiata in alto, verso il punto in cui la stessa tempesta nera ribolliva e si agitava. Sembrava essersi posizionata.

Quel pensiero gli sembrò molto sconfortante.

«Mandate un lampo indietro,» disse Malenarin «verso le torri dell’entroterra. Riferite loro quello che abbiamo visto; dite loro di star pronti in caso di guai.»

Gli uomini si misero al lavoro.

«Sergente,» disse Malenarin «chi è il prossimo sul ruolino dei messaggeri?»

Il contingente della torre includeva un gruppetto di ragazzi che erano cavallerizzi eccellenti. Essendo leggeri, potevano viaggiare su cavalli veloci, nel caso in cui un comandante avesse deciso di non utilizzare gli specchi. La luce degli specchi era rapida, ma poteva essere vista dai nemici. Inoltre, se la linea di torri era interrotta — o se l’apparato era danneggiato — avrebbero avuto bisogno di un modo per portare la notizia alla capitale.

«Il prossimo sul ruolino...» disse Jargen, controllando una lista inchiodata all’interno della porta che dava sul tetto. «Sarebbe Keemlin, mio signore.»

Keemlin. Il suo Keemlin.

Malenarin lanciò un’occhiata a nordovest, verso la torre silenziosa che aveva lanciato un lampo così sinistro. «Fatemi sapere se c’è anche solo un cenno di risposta dalle altre torri» disse Malenarin ai soldati. «Jargen, vieni con me.»

I due si precipitarono giù per le scale. «Dobbiamo mandare un messaggero a sud» disse Malenarin, poi esitò. «No. No, dobbiamo mandare diversi messaggeri. Raddoppiarli. Nell’eventualità che la torre cada.» Ricominciò a muoversi.

I due lasciarono il pozzo delle scale ed entrarono nell’ufficio di Malenarin. Lui prese la sua penna migliore dallo scaffale alla parete. Quella dannata imposta stava muovendosi e sbatacchiando di nuovo; le carte sulla sua scrivania frusciarono mentre tirava fuori un nuovo foglio.

" Rena e Farmay non rispondono ai lampi. Forse sopraffatte o severamente compromesse. Siate avvisati. Heeth resisterà. "

Piegò il foglio, porgendolo a Jargen. L’uomo lo prese con una mano coriacea, lo lesse, poi grugnì. «Due copie, allora?»

«Tre» disse Malenarin. «Mobilita gli arcieri e mandali sul tetto. Di’ loro che il pericolo potrebbe arrivare dall’alto.»

Se le sue non erano semplicemente paure infondate, se le torri da entrambi i lati di Heeth erano cadute così in fretta, allora anche quelle a sud potevano essere cadute. E se fosse stato lui a organizzare un assalto, avrebbe fatto tutto il possibile per passare di soppiatto ed eliminare per prima una delle torri meridionali. Quello sarebbe stato il modo migliore per assicurarsi che nessun messaggio arrivasse alla capitale.

Jargen lo salutò, pugno sul petto, poi si ritirò. Il messaggio sarebbe stato inviato immediatamente: tre volte su zampe di cavalli, una volta su gambe di luce. Malenarin si concesse di provare un poco di sollievo per il fatto che suo figlio fosse uno di quelli che avrebbero cavalcato fino a un luogo sicuro. Non c’era disonore in quello: i messaggi dovevano essere recapitati, e Keemlin era il prossimo sul ruolino.

Malenarin lanciò un’occhiata fuori dalla sua finestra. Dava a nord, verso la Macchia. Tutti gli uffici dei comandanti erano orientati a quel modo. La tempesta ribolliva con le sue nubi argentee. A volte sembravano nette figure geometriche. Lui aveva ascoltato bene i mercanti di passaggio. Stavano arrivando tempi travagliati. La regina non sarebbe andata a sud in cerca di un falso Drago, per quanto lui potesse essere astuto o influente. Lei credeva.

Era il tempo di Tarmon Gai’don . E, guardando fuori in quella tempesta, Malenarin pensò di poter vedere la fine stessa dei tempi. Una fine che non era così distante. In effetti, la tempesta pareva diventare più cupa. E c’era un’oscurità sotto di essa, sul terreno a nord.

Quell’oscurità stava avanzando.

Malenarin corse fuori dalla stanza, scattando su per i gradini fino al tetto, dove il vento soffiava contro uomini che spingevano e spostavano specchi.

«È stato mandato il messaggio a sud?» domandò.

«Sì, signore» disse il tenente Landalin. Era stato svegliato per prendere il comando del tetto della torre. «Ancora nessuna risposta.»

Malenarin lanciò un’occhiata in basso e distinse tre cavalieri che si allontanavano dalla torre a tutta velocità. I messaggeri erano partiti. Si sarebbero fermati a Barklan se non fosse stata attaccata. il capitano lì, li avrebbe mandati a sud, per ogni eventualità. E se Barklan fosse già stata sopraffatta, i ragazzi avrebbero proseguito, fino alla capitale se necessario.

Malenarin tornò a guardare la tempesta. Quell’oscurità sempre più vicina lo innervosiva. Stava arrivando.

«Alzate le palizzate» ordinò a Landalin. «Tirate su i ganci del magazzino e svuotate le cantine. Fate radunare ai caricatori tutte le frecce e predisponete delle postazioni per rifornire gli arcieri, e mettete arcieri a ogni collo di bottiglia, feritoia e finestra. Mettete sul fuoco i calderoni e fate in modo che gli uomini si preparino a calare le rampe esterne. Preparatevi per un assedio.»

Mentre Landalin sbraitava ordini, gli uomini si precipitarono via. Malenarin sentì degli stivali raschiare la pietra dietro di lui e si guardò sopra la spalla. Era Jargen che era tornato?

No. Era un ragazzo di quasi quattordici estati, troppo giovane per avere la barba, i capelli scuri scarmigliati, il volto che colava sudore causato — presumibilmente — da una corsa su per i sette piani della torre.

Keemlin. Malenarin provò una fitta di paura, rimpiazzata all’istante dalla rabbia. «Soldato! Dovevi cavalcare con un messaggio!»

Keemlin si morse il labbro. «Be’, signore» disse. «Tian era quattro posti sotto di me. Pesa cinque o anche dieci libbre meno. Fa una grossa differenza, signore. Cavalca molto più velocemente, e io presumevo che questo fosse un messaggio importante. Perciò ho chiesto che venisse mandato lui al mio posto.»

Malenarin si accigliò. I soldati si muovevano attorno a loro, affrettandosi giù per le scale o radunandosi con gli archi al bordo della torre. Fuori il vento ululava e il tuono iniziò a risuonare piano, ma in maniera insistente.

Keemlin incontrò i suoi occhi. «La madre di Tian, lady Yabeth, ha perso quattro figli a causa della Macchia» disse, abbastanza piano perché solo Malenarin potesse sentire. «Tian è l’unico che le rimane. Se uno di noi doveva avere una possibilità di allontanarsi, signore, ho pensato che dovesse essere lui.»

Malenarin sostenne lo sguardo di suo figlio. Il ragazzo sapeva cosa stava per accadere. Che la Luce lo aiutasse, lo sapeva. E aveva mandato via un altro al suo posto.

«Kralle» proruppe Malenarin, lanciando un’occhiata ai soldati che passavano lì accanto.

«Sì, mio lord Comandante?»

«Corri giù fino al mio ufficio» disse Malenarin. «C’è una spada nella mia cassapanca di quercia. Vammela a prendere.»

L’uomo gli rivolse il saluto e obbedì.

«Padre?» disse Keemlin. «Il mio giorno del nome sarà fra tre giorni.»

Malenarin attese con le braccia dietro la schiena. Il suo compito più importante al momento era essere visto al comando, per rassicurare le sue truppe. Kralle tornò con la spada; il suo fodero consumato recava l’immagine della quercia in fiamme. Il simbolo della Casata Rai.

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