Robert Silverberg - Gilgamesh
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- Название:Gilgamesh
- Автор:
- Издательство:Fanucci
- Жанр:
- Год:1988
- Город:Roma
- ISBN:8-8347-0051-1
- Рейтинг книги:3 / 5. Голосов: 1
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E Gilgamesh… dov’era? Seduto in una taverna di Dilmun, in attesa di essere invitato all’isola di Ziusudra in modo da conquistarsi la vita eterna! Era in quel modo che doveva comportarsi un Re?
Non sapevo che cosa fare.
Ma il nuovo arrivato da Ur non aveva ancora finito con le notizie. Il vecchio Mesannepadda era morto. Suo figlio Gilgamesh era salito sul trono. E non aveva perso tempo a dimostrare che intendeva continuare la politica del padre. Mesannepadda aveva cominciato a Nippur la costruzione di un Tempio di Enlil. Il nuovo Re non solo si occupava del completamento di quel Tempio ma, al fine di dimostrare il suo profondo interessamento per il benessere di Nippur, aveva dato ordine di restaurare il grande centro rituale, il Tummal, caduto in rovina dopo la morte di Agga.
Sempre peggio! Quei Re di Ur trattavano Nippur come se si trattasse di una loro colonia! Non doveva succedere, pensai. Che costruiscano Templi ad Ur, se hanno voglia di costruire Templi! Che si preoccupino delle loro città, ma tengano le mani lontane da Nippur.
Feci il possibile per non balzare in piedi, afferrare quei sudditi di Ur, sbattere le loro teste una contro l’altra, e ordinargli di tornare subito nella loro città per dire al Re che Gilgamesh di Uruk era suo nemico e gli dichiarava guerra.
Ma restai seduto. Avevo qualcosa da fare con Ziusudra in quelle isole. Avevo fatto un lungo viaggio per arrivare a Dilmun, e non potevo andarmene proprio allora, non importava quali responsabilità mi richiamassero ad Uruk. Almeno così mi sembrò in quel momento. Forse mi sbagliavo, anzi, certamente mi sbagliavo. Ma penso che sia altrettanto giusto quello che feci. Se avessi deciso di tornare in quel momento nella mia città, non avrei mai raggiunto la saggezza che mi guida adesso.
Non chiusi occhio per tutta la notte. E riposai poco e male anche nei giorni seguenti. Pensavo solo all’arroganza di Meskiagnunna, che si pavoneggiava nei Sacri Recinti di Nippur, come se ne fosse stato il Re. Ma restai a Dilmun. E il quinto giorno, o forse era il sesto, il barcaiolo Sursunabu riapparve e mi disse nella sua solita maniera sgraziata: «Devi venire con me nell’isola dove vive Ziusudra.»
35
L’isola era bassa, piatta e sabbiosa, e — a differenza di Dilmun dalle alte mura — era completamente priva di difese. Chiunque avrebbe potuto tirare in secco la propria barca e recarsi direttamente alla casa di Ziusudra. Almeno, l’isola non aveva difese di tipo convenzionale. Ma quando Sursunabu tirò la barca sulla spiaggia, notai che lungo la spiaggia c’erano tre file di piccole colonne di pietra, simili a quelle che avevo fracassato nella mia stupida rabbia.
Gli chiesi che cosa fossero, e il barcaiolo mi rispose che erano i doni che Enlil aveva dato a Ziusudra all’epoca del Diluvio. Proteggevano l’isola dai nemici: nessuno avrebbe osato oltrepassare quelle colonne. Ogniqualvolta Sursunabu andava a Dilmun oppure sulla terraferma, ne prendeva sempre qualcuna con sé e la sistemava sulla barca in modo da proteggersi. Mi vergognai ancora di più al ricordo di aver rotto e buttato in acqua quelle colonnine come un toro selvaggio in preda all’ira. Ma evidentemente ero stato perdonato, visto che Ziusudra mi aveva invitato.
Vidi una costruzione che sembrava un Tempio al centro dell’isola: un lungo edificio con le mura bianche che brillavano nella calda luce del sole. Quando lo guardai, mi si rizzarono i capelli sulla nuca: mi venne in mente che all’interno di quella costruzione, a poche centinaia di passi da me, doveva trovarsi l’antico Ziusudra, il sopravvissuto del Diluvio, colui che aveva camminato con Enki e Enlil tanto tempo prima. L’aria era ferma, un grande silenzio sovrastava l’isola. C’erano dodici o quattordici edifici più piccoli intorno alla struttura principale, e qualche piccolo appezzamento coltivato. Questo era tutto. Sursunabu mi condusse verso uno dei fabbricati annessi, una piccola casa quadrata, di un sola stanza, completamente priva di mobili, e mi lasciò lì.
«Verranno a prenderti,» disse.
Si è in un tempo fuori dal tempo, quando si è nell’isola di Ziusudra. Non saprei dirvi quanto tempo restai in quella stanza: un giorno, tre, cinque…
Sulle prime ero irritato e perfino adirato. Pensavo di entrare nell’edificio centrale e di scovare il patriarca, ma sapevo che era assurdo e che avrebbe danneggiato il mio scopo. Percorsi a grandi passi la stanza, andando da un angolo all’altro. Ascoltai il rumore e il ronzio del mio stesso cervello, quell’incessante chiacchierio interiore. Guardai il mare e quasi mi accecai gli occhi nel fissare la scia di sole che splendeva nel suo grembo. Pensai a Meskiagnunna, Re di Ur, e a quello che stava tentando di fare. Pensai a Inanna che sicuramente a Uruk complottava contro di me. Pensai a mio figlio, il piccolo Ur-lugal, e mi chiesi se sarebbe mai diventato Re. Pensai a questo, pensai a quello.
Le ore passavano e nessuno veniva da me. A poco a poco, il grande silenzio dell’isola penetrò nella mia anima: cominciai a calmarmi. Era una sensazione meravigliosa. Il rumore e il ronzio del mio cervello si placarono, sebbene non cessassero del tutto. Dopo qualche tempo, ero calmo dentro così come tutto era calmo fuori. Allora non mi importò più che cosa stessero facendo Meskiagnunna, Inanna o Ur-lugal. Non mi importò più di restare in quella stanza per dodici giorni, per dodici anni, o per dodici secoli. Vivevo in un tempo fuori del tempo.
Ma poi mi passò anche quella calma meravigliosa, e ritornai ad essere adirato e impaziente. Quanto tempo mi avrebbe lasciato lì? Non sapevano che ero Gilgamesh, il Re di Uruk? Affari urgenti mi aspettavano a casa! Meskiagnunna, Re di Ur… Inanna… i bisogni del mio popolo… Meskiagnunna… la manutenzione dei canali… sarei tornato in tempo per la cerimonia dell’Accensione della Pipa?… per la processione della statua di An?… Meskiagnunna… Ziusudra… Inanna… ah, il balbettio, il chiacchierio della mente!
Alla fine vennero a prendermi, quando ero ormai frenetico come un cane rabbioso.
Erano in due. Per prima vidi una fanciulla snella e dall’aria solenne, con il corpo flessibile di una danzatrice, che non doveva avere più di quindici o sedici anni: sarebbe stata bella, se avesse sorriso. Indossava una semplice tunica di cotone bianco, non portava ornamenti, e in una mano aveva un bastone di legno nero inciso con misteriose iscrizioni. Per un momento restò sulla soglia della mia porta, guardandomi con calma, poi disse: «Se sei Gilgamesh di Uruk, vieni avanti.»
«Sono Gilgamesh,» risposi.
Immediatamente al di fuori della stanza, mi aspettava un vecchio alto, dagli occhi vivaci, con la pelle scura. Era tutto piani e angoli. Anch’egli indossava una tunica di cotone e portava un bastone nero. Sembrava che il sole gli avesse cotto tutta la carne. Non saprei dire quanti anni avesse, ma sembrava molto vecchio, e io fui preso da un’improvvisa ondata di eccitazione. Tremante, balbettai: «È vero? Sto guardando Ziusudra?»
Il vecchio rise.
«No. Ma incontrerai lo Ziusudra a tempo debito, Gilgamesh. Io sono il Sacerdote Lu-Ninmarka; questa è Dabbatum. Vieni con noi.»
Era strano che avesse detto: lo Ziusudra. Ma sapevo di non dover chiedere spiegazioni. Mi avrebbero offerto spontaneamente delle informazioni, se lo avessero desiderato e quando lo avessero desiderato. Altrimenti non me ne avrebbero offerta nessuna. Di questo ero certo.
Mi condussero in una casa di grandi dimensioni, vicina al Tempio principale, dove mi venne consegnata una tunica bianca simile alle loro, e un pasto a base di lenticchie e fichi. Non lo toccai quasi: avevo digiunato così a lungo, credo, che il mio stomaco aveva dimenticato che cosa significasse avere fame. Mentre mi trovavo lì, arrivarono altri Sacerdoti a fare il loro pasto del mezzogiorno. Mi guardavano di sfuggita, senza parlare. Molti di loro sembravano vecchissimi, sebbene tutti fossero nerboruti, robusti e pieni di vitalità.
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