— Sono in procinto di combattere contro di lui. Non mettermi i bastoni fra le ruote. Non cercare di proteggerlo.
Tristemente, a voce talmente bassa che Alec poté a malapena sentire, Will disse: — Non costringermi a scegliere fra te e lui. Perderesti.
— Abbiamo già fatto le nostre scelte — dichiarò Alec. — Vent'anni fa, per la precisione.
Sebbene il raduno fosse stato accelerato al massimo, ci vollero alcune settimane perché l'esercito di Kobol riunisse tutte le sue diverse componenti in una valle al limitare del territorio di Douglas.
Alec non aveva mai visto tanti uomini insieme. Stava sulla sommità di una collina, la più alta della zona, sotto un acero che stava rivestendosi del fogliame e osservava l'imponente distesa di camion, jeep, cavalli, carri e uomini.
— Dovrebbero bastare per conquistare tutto il mondo — disse Ron Jameson che gli stava accanto.
— Non mi piace che siano tutti radunati nello stesso posto — osservò Alec. — Se gli esploratori di Douglas li vedono, e se dispongono di armi atomiche o aerei…
— Abbiamo intercettato tutte le sue pattuglie, finora — rispose con calma Jameson. — E non credo che al mondo esistano ancora aeroplani e testate nucleari.
— Ne basterebbe una.
— Fra due giorni saremo in grado di muoverci — disse Jameson stringendosi nelle spalle. — Credo che ce la faremo a evitare che gli uomini di Douglas ci scoprano.
— Fra due giorni?
— Sì. Gli uomini hanno fatto una faticata per arrivare qui. Adesso hanno bisogno di riprendere fiato, di approntare le armi, e di imparare gli ordini di combattimento.
Così mi restano due giorni per trattare con Kobol , pensò Alec.
— Se ci fermassimo qui per più di due giorni — continuò Jameson, — le varie bande che compongono questo valoroso esercito comincerebbero a combattersi fra loro. Non corre buon sangue, giù nella valle.
Alec annuì. — Mettiamoci al lavoro.
Era ormai notte avanzata quando Alec poté finalmente andare da Kobol, che si trovava virtualmente agli arresti in una delle numerose caverne che si aprivano sui fianchi delle colline.
La caverna in questione aveva le pareti inclinate e il tetto a volta da cui pendevano stalattiti di tutte le misure. L'unico ingresso era un angusto tunnel che consentiva il passaggio di una sola persona per volta. Alec aveva posto una sentinella alle due estremità del budello.
Kobol era seduto su una vecchia branda cigolante con la gamba sana ripiegata sotto di sé e la testa china, intento a scrivere su un foglio che teneva in grembo. Alec vide che la branda era cosparsa di altri fogli coperti dalla sua scrittura.
— Buonasera — disse.
Kobol si limitò ad alzare un attimo la testa inarcando un sopracciglio, e si rimise a scrivere.
— Non ti ho ancora detto una cosa — riprese Alec.
— Oh — disse lui senza alzare la testa.
— So dove Douglas tiene i materiali fissili.
Kobol smise di colpo di scrivere.
— Voglio che tu ti metta a capo di una squadra speciale per andarli a prendere prima che Douglas abbia la possibilità di distruggerli.
Kobol si rizzò a sedere, respinse il foglio e allungò le gambe, e Alec ebbe l'impressione di vedere un serpente che snoda le spire.
— Credi che potrebbe sabotarli? — chiese Kobol.
— Può darsi. Potrebbe anche innescarli con esplosivo o sistemarli in modo da provocare una deflagrazione nucleare che distrugga tutto.
Kobol aggrottò la fronte passandosi un dito sui baffi. Alec avvicinò l'unica sedia alla branda, e vi si sedette a cavalcioni.
— Tu conosci quei materiali meglio di chiunque altro di noi. È un lavoro rischioso ma necessario. Sei disposto a farlo?
— Se accetto — rispose Kobol con un mezzo sorriso, — sarò a capo di una piccola squadra suicida e niente più, mentre tu guiderai il grosso dell'esercito. Se avrò successo, sarò vittorioso ai tuoi ordini. In caso contrario tu ti sbarazzerai di un nemico.
— Se fallirai ci sbarazzeremo l'un dell'altro e di tutti.
— E la colonia morirà per mancanza di materiali fissili.
— Già.
— Sappi che non ho cambiato idea: quando tornerò sulla Luna ti accuserò comunque di tradimento.
Alec si permise di sorridere.
— Non credi che sarebbe piuttosto difficile dimostrarlo, se porterai i materiali?
— Lo dimostrerò.
— E allora provaci.
Kobol rimase per un attimo interdetto, poi si contrasse come se fosse pronto a scattare. — Se accetto e riesco a impadronirmi dei materiali, mi prometti che tornerò sano e salvo sulla Luna?
— Perché? Pensavi forse che ti avrei fatto uccidere dopo la vittoria?
— Sei tu che lo dici.
— Tornerai sano e salvo. Sistemeremo le nostre divergenze a casa.
— La mia salvezza in cambio dei fissili — borbottò Kobol. — D'accordo.
Alec annuì. Non si strinsero la mano. Alec si alzò e si avviò all'uscita. A metà strada si voltò. — Non ti ho chiesto la stessa garanzia per me… non mi hai assicurato che non tenterai di uccidermi prima del ritorno alla colonia.
Kobol fece per rispondere, ma Alec proseguì: — Non mi occorre la tua promessa, tanto non mi fiderei. Ma mettiti bene in mente questo: se cerchi di uccidermi io ti farò fuori. Anche se riuscirai, ci sono dozzine di uomini pronti a farti a pezzi, dopo. Prega che io non muoia in combattimento, Martin.
Uscì, lasciando Kobol seduto sulla branda, con espressione corrucciata.
La mattina del terzo giorno ebbe inizio l'attacco.
Erano state due giornate estenuanti. Due giornate per preparare uomini ed equipaggiamenti: per respingere le pattuglie di Douglas che sempre più numerose e insistenti cercavano di infiltrarsi nella valle; per impartire le istruzioni a Kobol; per mettere insieme speciali unità motorizzate; per mantenersi in contatto col satellite e infine, per aver notizie sempre fresche sulle condizioni meteorologiche.
La notte precedente all'attacco piovve. Le truppe uscirono dalla valle e si sparsero per dirigersi verso le rispettive posizioni, disponendosi ad arco intorno a circa metà del perimetro difensivo di Douglas. Si muovevano celermente ma i reparti che costituivano l'onda d'urto erano a bordo di camion, autoblindo e jeep. Tutte le unità erano mobili, non c'erano reparti appiedati. Le autoblindo erano dotate di laser, le jeep di mitragliatrici e lanciarazzi. La cavalleria disponeva di ogni tipo di armi, dai fucili automatici alle balestre.
La pioggia trattiene le pattuglie di Douglas e fa da schermo al nostro spiegamento , pensò Alec. Almeno spero.
Si era sistemato sull'affusto del laser a bordo di un'autoblindo. La pioggia si era ridotta a una leggera acquerugiola, e il sole stava spuntando dietro le colline a oriente facendo capolino tra le nuvole. Il terreno era umido ma non fangoso.
Alec indossava un elmetto da combattimento e ascoltava le voci dei comandanti le diverse unità sintonizzando gli auricolari sulle diverse frequenze. Le avevano scelte con cura per essere certi di essere fuori della portata delle radio antiquate di cui disponeva Douglas. Tutti i comandanti di settore si misero in contatto con lui per un ultimo controllo. Poco dopo la pioggia cessò del tutto e Alec chiese a Jameson: — Come va lì da te?
Calma e vivace, la voce di Jameson rispose: — Tutto a posto, qui. Unità e comandanti di settore sono pronti e non vedono l'ora di muoversi.
Alec controllò l'ora. Le sei meno dieci. L'inizio dell'attacco era fissato per le sei, quando Douglas e i suoi si mettevano a colazione.
Mentre aspettava che la lancetta dei minuti avanzasse, Alec ripensò a tutto quello che gli era successo negli ultimi mesi: le bufere, il freddo, il fango. E le notti con Angela, il calore del fuoco, e quello della loro passione. E il massiccio uomo dai capelli grigi che l'aveva costretto ad andarsene.
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