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Philip Dick: La svastica sul sole

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In questo romanzo di fantascienza, considerato uno dei più autentici classici della science fiction americana, Philip K. Dick ci descrive il quadro di come potrebbe essere un mondo in cui il nazismo avesse vinto la guerra mondiale. Parlare di nazismo e delle sue colpe potrebbe sembrare un tema troppo importante e doloroso per farne oggetto di un romanzo di fantascienza, ma Dick, nella Svastica sul sole, ci dimostra come invece la fantascienza possa diventare un modo assai efficace per ritrarre sotto un aspetto nuovo la lucida, razionale follia del nazismo e il tumulto di pensieri confusi e malati che porta con sé e trasmette alle persone ad esso asservite: nel mondo descritto da Dick, l’Asse ha vinto la guerra, l’Italia ha preso le briciole, e l’Africa è stata distrutta in un “esperimento”, Giappone e Germania si sono spartiti il mondo, e il credo della superiorità razziale “Ariana” si è talmente compenetrato nelle altre nazioni da togliere loro ogni volontà. Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 1963.

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Era bello vedere i razzi nazisti attraversare il cielo senza fermarsi, senza rivelare il minimo interesse per Canon City, Colorado. E nemmeno per lo Utah o il Wyoming o la parte orientale del Nevada, né per i vasti stati desertici o per quelli dei pascoli. Noi non abbiamo nessun valore , si disse. Possiamo vivere le nostre vite insignificanti. Se lo vogliamo. E se per noi è importante.

Da una delle docce si udì il rumore di una porta che si apriva. La grossa sagoma della signorina Davis che aveva finito la doccia e si era rivestita, la borsa sotto il braccio. «Oh, stava aspettando, signora Frink? Mi dispiace.»

«Non si preoccupi,» disse Juliana.

«Lo sa, signora Frink, il judo mi ha dato molto. Anche più dello zen. Volevo che lo sapesse.»

«Snellire i fianchi attraverso lo zen,» disse Juliana. «Perdere peso attraverso il satori indolore. Mi scusi, signorina Davis. Sto parlando a vanvera.»

«Le hanno fatto molto male?» chiese la signorina Davis.

«Chi?»

«I giap. Prima che imparasse a difendersi da sola.»

«È stato terribile,» replicò Juliana. «Lei non è mai stata laggiù, sulla Costa. Dove stanno loro.»

«Non ho mai varcato i confini del Colorado,» disse la signorina Davis, con voce timida, esitante.

«Potrebbe succedere anche qui,» disse Juliana. «Potrebbero decidere di occupare anche questa regione.»

«A questo punto, no!»

«Non si può mai sapere cosa gli passa per la testa,» disse Juliana. «Nascondono i loro veri pensieri.»

«Che cosa… le hanno fatto?» La signorina Davis si avvicinò nell’oscurità della sera per ascoltare meglio, stringendo a sé la borsa con entrambe le braccia.

«Tutto,» rispose Juliana.

«Oddio. Io mi sarei difesa,» disse la signorina Davis.

Juliana si scusò e si diresse verso la doccia libera; qualcun altro si stava avvicinando con un asciugamano sul braccio.

Più tardi andò a sedersi a un tavolino appartato al Tasty Charley’s Broiled Hamburgers e lesse distrattamente il menù. Il juke-box suonava musica popolare; chitarra e gemiti soffocati dall’emozione… l’aria era pesante di grasso bruciato. Eppure il luogo era caldo e luminoso, e la faceva sentire bene. La presenza dei camionisti al bancone, la cameriera, il grosso cuoco irlandese con la sua giacca bianca che se ne stava alla cassa a dare il resto.

Quando la vide, Charley si avvicinò per prendere lui stesso l’ordinazione. Fece e una smorfia e le chiese, con voce strascicata: «Una tazza di tè per la nostra signorina?»

«Caffè,» disse Juliana, sopportando l’inesorabile umorismo del cuoco.

«Ah, bene,» disse Charley, annuendo.

«E un sandwich caldo alla carne con salsa.»

«Niente zuppa di nidi di topo? O magari cervella di capra fritte in olio d’oliva?» Un paio di camionisti si voltarono sui loro sgabelli e ridacchiarono per la scenetta. E per di più non celarono la loro aria compiaciuta per l’avvenenza della donna. Anche senza le battute del cuoco, si sarebbe comunque ritrovata addosso gli occhi dei camionisti. Mesi e mesi di judo avevano conferito al suo corpo un tono muscolare insolito; sapeva quale sforzo le costasse e quanto facesse bene al suo fisico quell’attività.

È tutta una questione di muscoli delle spalle , pensò mentre incontrava i loro sguardi. Così come per le ballerine. Non c’entra niente con la corporatura. Mandate le vostre mogli in palestra e noi glielo insegneremo. E la vostra vita sarà molto più felice.

«State alla larga da lei,» disse il cuoco ai camionisti con una strizzata d’occhio. «O vi scaraventerà addosso al vostro catorcio.»

«Da dove viene?» chiese Juliana al più giovane dei due.

«Missouri,» risposero entrambi.

«Dagli Stati Uniti?» chiese ancora.

«Io sì,» rispose il più anziano. «Philadelphia. Ho tre bambini, laggiù. Il più grande ha undici anni.»

«Mi dica,» riprese Juliana. «È… è facile trovare un buon lavoro, da quelle parti?»

Il camionista più giovane rispose: «Certo. Se il colore della pelle è quello giusto.» Aveva un volto ampio, pensieroso, e capelli neri ricci. Aveva assunto un’espressione tesa e amara.

«È un italiano,» disse l’altro.

«E allora?» ribatté Juliana. «L’Italia non ha vinto la guerra?» Sorrise al giovane camionista ma quello non le ricambiò il sorriso. Al contrario, i suoi occhi tristi ebbero uno scintillio più intenso, e improvvisamente si girò dall’altra parte.

Mi dispiace , pensò. Ma non disse nulla. Non posso impedire a te né a chiunque altro di essere scuro di pelle. Ripensò a Frank. Chissà se è già morto. Ho detto una cosa sbagliata, mi sono espressa male. No , pensò, in qualche modo a lui i giapponesi piacciono. Forse si identifica con loro perché sono brutti. Lei aveva sempre detto a Frank che era brutto. Pori larghi. Naso grosso. Mentre lei aveva la carnagione liscia, insolitamente liscia. Sarà morto, senza di me? Fink significa fringuello, un tipo di uccello, e si dice che gli uccelli muoiano presto.

«Riprendete il viaggio stanotte?» domandò al giovane camionista italiano.

«Domani mattina.»

«Se lei non è felice negli Stati Uniti, perché non emigra definitivamente?» gli chiese. «È molto tempo che vivo nelle Montagne Rocciose e non ci si sta male. Ho vissuto sulla Costa, a San Francisco. Ma anche là c’è il problema della pelle.»

Il giovane italiano, ingobbito sul bancone, le rivolse un’occhiata fugace, poi disse: «Signora, è già abbastanza brutto dover passare solo un giorno o una notte in una città come questa. Vivere qui? Cristo… se solo potessi trovare qualsiasi altro lavoro, tanto per non essere costretto a mettermi in strada e a consumare i miei pasti in luoghi come questo…» Si accorse che il cuoco era arrossito, e smise di parlare, cominciando a sorseggiare il suo caffè.

«Joe, tu sei uno snob,» gli disse il camionista più anziano.

«Potrebbe vivere a Denver,» disse Juliana. «Là si vive molto meglio.» Vi conosco, voialtri americani dell’Est , pensò. Vi piace la bella vita, sognare in grande. Le Montagne Rocciose non fanno proprio al caso vostro. Qui non è successo niente da prima della guerra. Vecchi in pensione, contadini, la gente più stupida, più povera, più tarda… quelli più in gamba hanno preso la via dell’est, sono andati a New York, hanno attraversato la frontiera, legalmente o illegalmente. Perché è lì che c’è il denaro, pensò, il denaro che conta, quello della civiltà industriale. L’espansione. Gli investimenti tedeschi hanno dato un grosso contributo… non ci hanno messo molto a ricostruire gli Stati Uniti.

Con voce roca, risentita, il cuoco intervenne: «Amico, io non amo gli ebrei, ma ne ho visti alcuni che sono scappati nel 49 dai tuoi Stati Uniti, e puoi tenerteli, i tuoi Stati Uniti. Se laggiù hanno costruito un sacco di edifici e se c’è un mucchio di denaro in circolazione è perché l’hanno rubato a quegli ebrei quando li hanno cacciati a calci da New York, per quella maledetta legge nazista di Norimberga. Da bambino vivevo a Boston, e non avevo particolari simpatie per gli ebrei, ma non credevo che negli Stati Uniti sarebbe mai passata una legge razzista come quella, neanche se avessimo perso la guerra. Mi stupisco che tu non ti sia arruolato nelle forze armate degli Stati Uniti, pronto a invadere qualche piccola repubblica sudamericana per conto dei tedeschi, in modo che possano ricacciare i giapponesi un po’ più indietro…»

I due camionisti si erano alzati in piedi, scuri in viso. Quello più anziano prese una bottiglia di ketchup dal bancone e la sollevò in alto, brandendola per il collo. Il cuoco, senza voltare le spalle ai due camionisti, allungò la mano dietro di lui finché le sue dita non toccarono uno dei forchettoni. Lo afferrò e lo protese verso i due.

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