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Philip Dick: La svastica sul sole

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In questo romanzo di fantascienza, considerato uno dei più autentici classici della science fiction americana, Philip K. Dick ci descrive il quadro di come potrebbe essere un mondo in cui il nazismo avesse vinto la guerra mondiale. Parlare di nazismo e delle sue colpe potrebbe sembrare un tema troppo importante e doloroso per farne oggetto di un romanzo di fantascienza, ma Dick, nella Svastica sul sole, ci dimostra come invece la fantascienza possa diventare un modo assai efficace per ritrarre sotto un aspetto nuovo la lucida, razionale follia del nazismo e il tumulto di pensieri confusi e malati che porta con sé e trasmette alle persone ad esso asservite: nel mondo descritto da Dick, l’Asse ha vinto la guerra, l’Italia ha preso le briciole, e l’Africa è stata distrutta in un “esperimento”, Giappone e Germania si sono spartiti il mondo, e il credo della superiorità razziale “Ariana” si è talmente compenetrato nelle altre nazioni da togliere loro ogni volontà. Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 1963.

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Se si è veraci

È propizio anche offrire un piccolo sacrificio.

Nessuna macchia.

Ovviamente il signor Baynes sarebbe rimasto soddisfatto di qualsiasi regalo l’importante Missione Commerciale gli avesse elargito tramite i buoni uffici del signor Tagomi. Ma il signor Tagomi, nel porre la domanda, aveva nel profondo della sua mente una richiesta più profonda, della quale era sì e no consapevole. Come capita spesso, l’oracolo aveva captato quella richiesta ancora più importante e, nel rispondere alla prima, si era fatto carico di rispondere anche alla seconda, presente solo a livello subliminale.

«Come sappiamo,» disse Tagomi, «il signor Baynes ci sta portando un rapporto dettagliato sui nuovi stampi a iniezione costruiti in Svezia. Se riusciamo a stipulare un contratto con la sua ditta, saremo certamente in grado di sostituire con la plastica molti metalli di cui attualmente c’è scarsità.»

Da anni gli Stati Americani del Pacifico tentavano di ottenere dal Reich un minimo di assistenza nel settore dei prodotti sintetici. Ma i grandi monopoli tedeschi della chimica, in particolare la I.G. Farben, avevano protetto i brevetti; detenevano, in effetti, il monopolio mondiale della plastica, specialmente nello sviluppo dei poliesteri. In questo modo l’attività commerciale del Reich era sempre in vantaggio su quella del Pacifico, e la sua tecnologia almeno dieci anni più avanti. I razzi interplanetari che lasciavano Festung Europa [Fortezza Europa] erano fabbricati soprattutto con materie plastiche resistenti al calore, molto leggere, ma così robuste da non risentire nemmeno dell’impatto con una grossa meteora. Il Pacifico non disponeva di nulla del genere; si usavano ancora le fibre naturali, come il legno, e naturalmente le diverse leghe metalliche. Il signor Tagomi rabbrividiva al solo pensarci; alle esposizioni industriali aveva visto alcuni dei manufatti tedeschi più avanzati, compresa un’automobile totalmente sintetica, la D.S.S. — Der Schnelle Spuk - che si vendeva, in moneta SAP, a circa seicento dollari.

Ma la sua domanda segreta, una domanda che non avrebbe mai potuto rivelare ai pinoc che lavoravano negli uffici della Missione Commerciale, aveva a che fare con un aspetto del signor Baynes suggerito dal cablogramma in codice inviato da Tokyo. In primo luogo, il materiale in codice era raro e di solito si riferiva a questioni di sicurezza, non ad accordi commerciali. E poi il cifrario era del tipo a metafora, quello con l’uso di allusioni poetiche, adottato per ingannare gli osservatori del Reich, che erano in grado di decifrare qualsiasi codice letterale, per quanto elaborato. Chiaramente, perciò, era al Reich che le autorità di Tokyo avevano pensato, non a qualche cricca in vena di slealtà nelle Isole Patrie. La frase chiave: «Latte scremato nella sua dieta,» si riferiva a Pinafore , a quella strana canzone che spiegava la dottrina. «…Le cose sono raramente ciò che appaiono / il latte scremato è mascherato da panna.» E l’ I Ching , quando il signor Tagomi lo aveva consultato, aveva confermato la sua intuizione. Questo era stato il suo commento:

Si presuppone che serva un uomo forte. È vero che non si adatta al suo ambiente, perché è troppo brusco e presta un’attenzione troppo scarsa alla forma. Ma poiché è di carattere onesto, ne deriva una reazione…

L’intuizione era, semplicemente, che il signor Baynes non fosse ciò che sembrava; che il vero motivo della sua venuta a San Francisco non fosse quello di stipulare un contratto per gli stampi a iniezione. Che in effetti il signor Baynes fosse una spia.

Ma, anche se ne fosse dipesa la sua vita, il signor Tagomi non sarebbe mai stato in grado di capire che genere di spia fosse, per chi o che cosa lavorasse.

All’una e quaranta di quel pomeriggio Robert Childan, con grande riluttanza, chiuse a chiave la porta esterna della Manufatti Artistici Americani. Trasportò sul marciapiede, non senza fatica, le pesanti borse, chiamò un taxi a pedali e disse al chink di portarlo al Nippon Times Building.

Il chink , magro, sudato e ingobbito, accennò con un gemito ansimante di aver capito e cominciò a caricare sul veicolo le borse del signor Childan. Poi, dopo aver aiutato lo stesso signor Childan ad accomodarsi sul sedile ricoperto da un tappeto, il chink fece scattare il tassametro, montò sul sellino e cominciò a pedalare lungo Montgomery Street, in mezzo a macchine e autobus.

L’intera mattinata era trascorsa nella ricerca di un oggetto per il signor Tagomi, e l’amarezza e l’ansietà di Childan erano sempre sul punto di sopraffarlo, mentre guardava i palazzi che gli scorrevano accanto. Eppure… un trionfo. Un’abilità separata dal resto di lui: aveva trovato l’oggetto giusto, il signor Tagomi si sarebbe addolcito, e il suo cliente, chiunque fosse, ne sarebbe stato deliziato. Riesco sempre a soddisfare i miei clienti , pensò Childan. Tutti.

Era riuscito miracolosamente a procurarsi una copia quasi intonsa del numero uno, volume primo, di Tip Top Comics. Risaliva agli anni 30 ed era un esemplare significativo di arte americana dell’epoca; uno dei primi giornalini a fumetti per bambini, un pezzo per il quale i collezionisti facevano pazzie. Naturalmente aveva con sé altri oggetti, da mostrare per primi. Sarebbe passato di oggetto in oggetto fino al giornalino, che si trovava ben protetto in una borsetta di pelle, avvolto da carta velina, all’interno della borsa più grande.

La radio del taxi a pedali trasmetteva ad alto volume canzoni popolari, facendo a gara con le radio degli altri taxi, automobili e autobus. Childan non prestava ascolto; era abituato a quel frastuono. E non faceva caso nemmeno alle enormi insegne al neon con i loro annunci permanenti, che nascondevano alla vista praticamente ogni edificio di grandi dimensioni. In fin dei conti, anche lui aveva la sua insegna; di notte si accendeva e si spegneva insieme a tutte le altre della città. Del resto, in quale altro modo ci si poteva fare pubblicità? Bisognava essere realistici.

In effetti il rumore delle radio, il frastuono del traffico, le insegne e la gente lo cullavano. Cancellavano le sue preoccupazioni. Ed era piacevole essere trasportato da un altro essere umano, avvertire lo sforzo dei muscoli del chink trasmesso sotto forma di vibrazioni regolari; una specie di macchina per il rilassamento , pensò Childan. Essere trasportato invece di dover trasportare. E… trovarsi, anche se solo per un attimo, in una posizione di superiorità.

Si risvegliò provando un senso di colpa. C’erano troppe cose da programmare, non c’era tempo per un pisolino pomeridiano. Era vestito in modo adeguato per entrare nel Nippon Times Building? Magari sarebbe svenuto nell’ascensore ad alta velocità. Però aveva con sé le pastiglie contro il mal di moto, un prodotto tedesco. Le diverse forme di approccio… le conosceva tutte. Chi trattare educatamente, chi senza riguardo. Essere brusco con il portiere, con il fattorino dell’ascensore, con il centralinista, con l’accompagnatore, con qualunque persona che avesse mansioni puramente esecutive. Inchinarsi di fronte a ogni giapponese, naturalmente, anche se questo poteva significare inchinarsi qualche centinaio di volte. Quanto ai pinoc… una zona nebulosa. Inchinarsi, ma guardare diritto oltre di loro, come se non esistessero. Era stata prevista ogni situazione, dunque? E se avesse incontrato un visitatore straniero? Nelle Missioni Commerciali non era insolito incontrare dei tedeschi, e anche dei neutrali.

Ma gli poteva anche capitare di incontrare uno schiavo.

Le navi tedesche o del Sud attraccavano in continuazione al porto di San Francisco, e di tanto in tanto i neri erano autorizzati ad andare in giro, per brevi permessi. Sempre in gruppi di non più di tre individui. Dopo il tramonto dovevano rientrare; dovevano rispettare il coprifuoco anche sotto le leggi del Pacifico. Ma gli schiavi facevano anche gli scaricatori, e questi vivevano sempre sulla terraferma, in baracche costruite sotto i moli, appena sopra il pelo dell’acqua. Non ce n’era nessuno negli uffici delle missioni commerciali, ma se ci fosse stato un trasloco dalla nave… per esempio, doveva portare lui stesso le borse fino all’ufficio del signor Tagomi? Certamente no. Avrebbe dovuto trovare uno schiavo, anche a costo di aspettare in piedi per un’ora. Anche a costo di arrivare tardi all’appuntamento. Non era nemmeno concepibile che uno schiavo potesse vederlo mentre trasportava qualcosa; su quello doveva stare molto attento. Un errore simile gli sarebbe costato caro; chiunque lo avesse visto, non lo avrebbe più degnato della minima considerazione.

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