Chaney avanzò sul pavimento, al buio, desiderando di avere quel presuntuoso, tronfio tecnico con lui, in quella stanza, al buio.
Si scontrò con una scatola vuota, e sobbalzò, impaurito; con un calcio, allontanò la scatola, che prima di fermarsi urtò un altro oggetto. Saltus si era lamentato del pessimo governo della casa, e Katrina aveva scritto un promemoria. Dopo un periodo di avanzata al buio, a tentoni, il gonfiore della tasca — l’indesiderata pistola — colpì uno spigolo del banco di lavoro, e Chaney allungò le mani per esplorarne la superficie. Una radio… collegata all’antenna… una lampada, delle scatolette vuote, una grossa scatola, un certo numero di oggetti metallici che le sue dita non riuscirono immediatamente a identificare, e una seconda lampada. Chaney esitò appena un istante sugli oggetti, poi continuò la sua esplorazione a tentoni. Le sue dita trovarono una scatola di fiammiferi; i serbatoi delle due lampade gorgogliarono in maniera rassicurante, quando lui li scosse. Accese le due lampade, e si voltò per guardare il locale. Chaney non voleva considerarsi un vigliacco o un pauroso, ma tenne la mano nella tasca che ospitava la pistola, quando si voltò a guardare nella penombra.
Il saccheggiatore era ritornato ad attingere provviste.
Dall’aspetto del posto, l’uomo doveva avere trascorso laggiù gli ultimi inverni, oppure aveva invitato anche i suoi amici.
Una terza lampada era posata a terra, vicino alla porta, e se lui avesse fatto un passo o due di lato avrebbe inciampato, rovesciandola. Accanto alla lampada c’era una scatola di fiammiferi. Un numero incredibile di scatole di cibo vuote era accumulato contro una parete, insieme a una collezione di contenitori d’acqua, e Chaney si chiese per quale motivo lo sconosciuto visitatore non aveva gettato via le scatole, bruciandole all’esterno, per liberare il posto dalla confusione. Chaney contò le scatole e i contenitori con crescente meraviglia, e cercò di calcolare quanti anni fossero passati dall’arrivo di Arthur Saltus a quel giorno. Questo gli ricordò di guardare l’orologio: le nove meno cinque. Ebbe il fastidioso sospetto di essere stato mandato dal TDV nella data sbagliata; era certo che la macchina avesse commesso un nuovo errore. Una sacca di plastica era stata aperta… come diceva Saltus nel suo rapporto… e un buon numero di abiti pesanti mancava dalle scansie. Mancavano anche numerose paia di stivali. La sacca che conteneva i guantoni imbottiti era caduta a terra, e un guanto era caduto da una parte, e nessuno l’aveva notato, al buio.
Malgrado la confusione di scatole e di contenitori, al suolo non era stata versata una briciola di cibo; chi aveva fatto razzia aveva usato tutto. Non erano visibili neppure segni di topi o di altri animaletti.
Si girò verso il reparto delle armi. Cinque fucili erano stati presi, oltre a un numero indeterminato di pistole automatiche e di mitragliatrici. Immaginò, senza controllare, che fosse sparito anche un numero adeguato di munizioni. Il maggiore Moresby e Saltus dovevano avere preso due dei fucili.
I piccoli oggetti metallici sul banco di lavoro erano i gradi che Moresby aveva staccato dall’uniforme, e Saltus aveva spiegato per quale motivo essi dovevano essere rimossi in una zona di guerra. Le scatolette vuote avevano contenuto bobine per i registratori, pellicole di nylon, e cartucce; lo scatolone rimasto conteneva il suo panciotto a prova di proiettili. La mappa rivelava il solito strato di polvere. La radio era ormai inutile… inutile, a meno che la riserva di batterie non fosse sopravvissuta agli anni trascorsi.
Anni: tempo.
Chaney prese entrambe le lampade, e ritornò nella stanza che ospitava il TDV. Si diresse verso la parete opposta, e guardò il calendario e l’orologio. Si erano fermati entrambi, quando l’energia era mancata.
L’orologio indicava pochi minuti dopo mezzogiorno, o dopo mezzanotte. Il calendario aveva cessato di misurare il tempo il 4 Mar 09. Soltanto il termometro offriva un dato significativo: 6 gradi sopra lo zero.
Otto anni e mezzo dopo il giorno in cui Arthur Saltus aveva vissuto il suo disastroso cinquantesimo compleanno, dieci anni dopo che il maggiore Moresby era morto in quello scontro al recinto, il reattore nucleare che aveva alimentato il laboratorio si era guastato, o le linee erano state distrutte. Avrebbero potuto essersi consumate per mancanza di pezzi di ricambio; i trasformatori potevano essere saltati; poteva essersi verificato un corto circuito; il combustibile nucleare poteva essersi esaurito; avrebbero potuto accadere cento o mille cose, per interrompere l’emissione di energia. Una era accaduta, senz’altro. L’energia non c’era più.
Chaney non poteva sospettare neppure lontanamente da quanto tempo l’energia era cessata; sapeva soltanto di trovarsi in una data oltre il 4 marzo 2009.
Il guasto poteva essersi verificato la settimana scorsa, il mese scorso, o in qualsiasi momento degli ultimi cento anni. Non aveva chiesto ai tecnici la data precisa del suo obiettivo, ma aveva immaginato che essi l’avrebbero mandato nel futuro un anno dopo Saltus, per compiere una ricognizione della base. La supposizione era sbagliata… oppure il veicolo aveva sbagliato per la seconda volta. Cupamente, Chaney concluse che la cosa non aveva importanza… non aveva la minima importanza. Quella missione nata sotto una cattiva stella era quasi finita; sarebbe finita, non appena lui avesse ultimato un giro finale della base, e fosse ritornato con il suo rapporto.
Riportò le lampade nel deposito.
La radio attirò la sua attenzione. Chaney cercò un pacco sigillato di batterie, e infilò il numero prescritto nell’apparecchio. Cercò lungo le lunghezze d’onda dei canali militari, avanti e indietro, avanti e indietro, senza alcun risultato. Alzò il volume al massimo, e appoggiò lo strumento all’orecchio, ma non sentì neppure il fruscio dell’etere, neppure una scarica statica, niente di niente. Questo indicava che le batterie non erano sopravvissute il passaggio del tempo. Chaney buttò da una parte la radio, che ormai non serviva a nutrire, e si preparò alla ricognizione.
Era deluso per non avere trovato un messaggio di Katrina, come durante l’esplorazione sperimentale.
Indossò prima di tutto il panciotto protettivo. Arthur Saltus lo aveva avvertito, gli aveva dimostrato il valore protettivo di quel piccolo indumento cosi inconsistente all’apparenza: Saltus era sopravvissuto solo perché l’aveva indossato.
Poiché non conosceva la stagione nella quale era emerso… solo la temperatura esterna… Chaney indossò un paio di stivali, e infilò un cappotto pesante, infilandosi in tasca un paio di guanti imbottiti. Prese un fucile, lo caricò come gli aveva insegnato Moresby, e vuotò una scatola di cartucce in tasca. La mappa non aveva alcun interesse, per lui: le ricognizioni a Chicago e a Joliet erano state immediatamente annullate, e ora il suo campo d’azione era limitato solo a Elwood Station. Eseguire un rapido controllo, e ritornare subito alla base di partenza. Katrina aveva detto che il presidente e i suoi ministri stavano aspettando il rapporto finale, prima di decidere una linea d’azione atta a rimediare la tragica situazione futura. La chiamavano “formulazione di una politica di polarizzazione positiva”, e solo loro sapevano cosa accidenti volesse dire quella frase.
Un ultimo giro della base, e la missione sarebbe finita; avrebbe conosciuto solo quello, del futuro.
Chaney prese una borraccia d’acqua, poi infilò in un piccolo zaino delle provviste e dei fiammiferi, e si mise a tracolla il tutto; non si aspettava, comunque, di restare fuori tanto a lungo da averne bisogno. Fu lieto che le vecchie batterie non funzionassero… così aveva una scusa per lasciare nel deposito la radio e il registratore… ma infilò una pellicola nella macchina fotografica, perché Gilbert Seabrooke aveva richiesto una documentazione fotografica della distruzione di Elwood Station. La descrizione verbale fornita da Saltus era stata deprimente. Un’ultima, veloce ricerca nella stanza non gli mostrò altri articoli che, a suo avviso, avrebbero potuto servirgli nel corso della ricognizione.
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