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Robert Wilson: Memorie di domani

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Robert Wilson Memorie di domani

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Per cercare una via di scampo a un tragico passato, Raymond Keller acconsente a diventare un Occhio, ovvero un volontario che accetta di farsi impiantare nel cervello un perfetto impianto di registrazione. In tal caso non potrà più guardare dove vorrà, ma solo dove è necessario per vedere, registrare, documentare. E così dimentica il proprio passato, il presente, il futuro. Finché incontra Teresa, la meravigliosa ragazza che è anche una splendida artista. Una donna preda delle violente allucinazioni indotte dai gioielli sognanti seminati in epoche remote da una razza di extraterrestri, e che hanno proprietà ancora non completamente esplorate dalla razza umana. Occorre qualcuno che abbia rinunciato a sé per poter penetrare un segreto tra i meglio custoditi dell’universo.

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La seconda notte della sua permanenza nella Città Galleggiante ci fu un temporale. Ventate di pioggia tiepida giunsero fino a lui, seduto a bere con Byron Ostler sotto la tettoia metallica del suo patio di bambù. L’acqua, lì intorno, era gremita di zattere e di baracche che si susseguivano lungo vie d’acqua aperta che gli indigeni chiamavano canali. Era il quartiere degli artisti, con alcove illuminate da lanterne cinesi e ruote a vento in movimento che si stagliavano contro le luci delle città sulla costa. Solo il lieve ondeggiare del pavimento ricordava loro che si trovavano a un chilometro da terra, su una precaria struttura di ponti di barche e ancoraggi.

Byron parlava di Teresa, beveva birra messicana da una lattina accartocciata e infilava tessere memorizzate in un generatore musicale. Keller ascoltava, fissando il canale di acqua scura.

— Lei non corre pericolo — disse Byron. — Ne sono convinto. Nemmeno noi, del resto. Wexler ha pensato a tutto. — Trangugiò un sorso di birra. — Al primo segnale di pericolo la riporto indietro, Ray. Nessun dubbio. Ma il progetto era suo fin dall’inizio. Era a Carmel con Wexler quando lui ha organizzato tutto. Forse l’ha convinto parlandogliene.

Forse, pensò Keller. Ma in lei l’aveva colpito soprattutto la fragilità. Un certo nonsoché nel modo di atteggiare la bocca, gli occhi lievemente piegati all’ingiù. Se Byron asseriva di preoccuparsi per lei, rifletté, forse non avrebbe dovuto permetterle di affrontare quel viaggio.

— E allora… — incominciò a dire.

— Lo so. — Il chimico oneirolita si alzò e gettò in acqua la lattina vuota, oltre il parapetto della baracca galleggiante. — Qualunque cosa tu intendessi dire, Ray, io ci ho già pensato. D’accordo? Mi importa molto di ciò che le succede. Davvero. Ma lei ha bisogno di venire. Quello che le pietre l’aiutano a fare non basta. Ha bisogno di andare oltre, più in profondità.

— Sei stato tu a vendergliela — lo accusò Keller.

Ci fu un momento di silenzio e per un attimo Keller ebbe paura di aver superato i limiti consentiti dalla loro vecchia amicizia. Ma poi Byron disse con calma: — Non gliel’ho venduta. Gliel’ho regalata.

Keller fissò pazientemente l’acqua.

— Tre anni fa non l’avresti riconosciuta — continuò il chimico. — Faceva soldi vendendo rottami ai galleristi e spendeva tutto in oppiacei da laboratorio. Encefaline sintetiche. Una vera porcheria. Venne da me con un rotolo di banconote in mano, e la sua mano era come un uncino, magrissima. «Voi vendete le pietre», mi disse. Risposi di sì. Riuscii a conoscerla meglio. Mi mostrò dove viveva, un angolo in una vecchia stazione di servizio. C’era un arredamento sommario e un grosso contenitore pieno di pillole. La portai da un medico e lui disse che i suoi neuropeptidi presentavano gravi squilibri. In pratica, Teresa corteggiava la morte. Sul serio. Era a un passo dal prenderla sottobraccio. Le dissi: «Morirai». Lei non rispose nemmeno, si limitò ad annuire. Lo sapeva, e non le importava. Ma la pietra era una cosa nuova. Forse la scambiò per un’altra droga, ma fu diverso. La prese in mano…

— E cominciò ad avere le visioni — continuò Keller.

— Non funziona per tutti, ma per lei sì. Le si schiusero nuovi mondi. Voleva fissarli, in qualche modo. Allora le comperai gli attrezzi per la pittura su cristallo che esegue anche adesso, sulla base di paesaggi visti in trance. La disintossicammo dalle encefaline e finalmente i neuropeptidi cominciarono a stabilizzarsi. Da allora non ha più usato droghe. — Alzò la mano ossuta. — Sono passati tre anni.

— Tutto grazie alle pietre?

— Immagino di sì. A volte… — Byron sorrise con un’ombra di falsità. — A volte mi illudo che sia merito mio.

— Ma verrà a Pau Seco — osservò Keller.

— È un accordo che ha preso lei — replicò Byron, con dolcezza. — Credo che l’avesse in testa fin dall’inizio. Ho cercato di saperne di più sul suo passato, e ho scoperto che non ne ha. Sembra uscita dal nulla, dopo il grande incendio del ’37. Era solo una bambina, orfana di entrambi i genitori, coperta di ustioni di terzo grado e traumatizzata al punto da aver perso completamente la memoria. Venne adottata da una famiglia di profughi che le diedero persino il nome, dal momento che non l’aveva. Lei cominciò quasi subito a usare le pillole. Era un modo per uccidersi lentamente, capisci? Le pietre non hanno risolto la situazione. Hanno toccato qualcosa dentro di lei, risvegliando una parte della sua anima, ma è solo una tregua. — Guardò l’amico con espressione triste. — Una specie di armistizio con la morte. Ma le pietre che abbiamo non sono le uniche, Ray. Sono come immagini strappate da una rivista. Qualunque cosa lei abbia intravisto in loro, ha bisogno di vederla con maggiore chiarezza.

— Potrebbe anche non trovare quello che cerca — disse Keller. — Potrebbe venire laggiù solo per morire.

— O per vivere — ribatté Byron, a pugni stretti. — Credo che sarà così — dichiarò.

Con passo malfermo, dal momento che era quasi ubriaco, Byron guidò di nuovo Keller all’interno della casa galleggiante, scese al piano inferiore, isolato e sotto il livello dell’acqua, sicuramente poco adatto a chi soffrisse di claustrofobia, e attraversò un’anticamera dalle pareti scure, illuminata da un’unica lampadina rossa.

— È qui — spiegò in tono tranquillo aprendo una seconda porta. — Volevi vederlo? Eccolo.

Passò un po’ di tempo prima che gli occhi di Keller si abituassero all’oscurità.

C’era una gran quantità di vaschette piene di un fluido scuro in movimento. Il caldo nella stanza era soffocante. Ci doveva essere un generatore da qualche parte, pensò Keller. Cristo! Era un’immagine spettrale… migliaia di gestazioni in atto in quelle vaschette fotofobiche, silenziose e del tutto aliene.

Era lì che Byron riproduceva le sue pietre.

Keller registrò tutto meticolosamente. Era il suo compito, visto che era un Angelo. Tutto quello che vedeva e che aveva visto dal momento in cui Leiberman aveva riattivato il suo impianto, era stato registrato in modo indelebile nella sua memoria AV. Alla fine, il circuito integrato che aveva sotto la pelle avrebbe contenuto migliaia di ore di esperienza diretta, un reportage che nessuna videocamera aveva mai catturato.

Byron espose il proprio lavoro con l’orgoglio ostentato ed eccessivo di un ubriaco, tanto che Keller arrivò a dubitare della sua sincerità.

— È lo stesso procedimento che si usa nei laboratori governativi — spiegò. — Solo un po’ più economico. Il fluido nelle vaschette è una soluzione supersatura, leggermente più complessa dell’acqua marina. Una volta trovato il mezzo, il resto è semplice. Gli oneiroliti si riproducono. Forse "riprodursi" non è la parola giusta, dal momento che tecnicamente non sono organismi viventi, ma non so in quale altro modo definirlo. Le pietre liberano una sostanza che porta dentro di sé tutte le connotazioni originali e che agisce da cristallo generatore. Attorno a questo cristallo si formano le nuove pietre, identiche alle prime. È impossibile distinguere le copie dagli originali. La tecnica per la riproduzione delle pietre è stato il primo dato a essere decodificato dai campioni apparsi all’inizio. Questo significa che, chiunque le abbia create, ha dato molta importanza alla loro riproduzione. Gli Esotici, chiunque siano o fossero, volevano farci diffondere le pietre ovunque.

Si capiva che ne era affascinato. Byron era stato educato in un collegio militare, e quando era eccitato dimenticava il gergo della classe lavoratrice per usare parole come "ridondanza".

Nelle fumose profondità delle vaschette, Keller scorse il colore pallido e la forma nebulosa delle nuove pietre appena nate. Vita minerale. Poteva percepirne il mistero come se fosse stato una cosa concreta.

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