Robert Silverberg - Il tempo delle metamorfosi

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Il tempo delle metamorfosi: краткое содержание, описание и аннотация

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Velada Borthan è di certo uno dei pianeti più singolari dell’universo, inquietante intreccio di contraddizioni: un clima dolce accanto alle condizioni più aspre, la vita più naturale accanto alla costrizione dei propri sentimenti, una civiltà raffinata accanto alla barbarie morale. Insomma, un inferno o un paradiso a seconda dei punti di vista: e, fatto assurdo, i suoi abitanti avevano scelto deliberatamente l’inferno. Giardino dell’Eden alla rovescia, Velada Borthan era completo anche di tentatore e di frutto proibito: in una società nella quale il peccato supremo consisteva nell’aprire spontaneamente il proprio animo agli altri, il frutto proibito non poteva essere che il mezzo per far diventare della coscienza del singolo la coscienza di tutti. Sarà il Terrestre Schweiz a rivelarlo sconvolgendo un ordine che, per essere stato liberamente scelto, non era per questo meno spietato e inumano. Kinnall Darival, il giovane principe protagonista della vicenda, è l’uomo al quale viene affidato il segreto della droga che conduce alla comunione degli spiriti, spezzando i legami nei quali la sua gente aveva rinchiuso la propria personalità. In un mondo in cui l’affermazione di se stessi era vietata sino al punto da considerare osceno il parlare in prima persona, questa totale apertura personale non poteva essere che la peggiore delle bestemmie. Era però necessario passare attraverso di essa per riscattare Velada Borthan del suo inferno, anche a costo della perdita dell’unico sentimento consentito in una società che aveva fatto dell’insensibilità la massima delle virtù. Nessun vincolo è tuttavia più resistente di quelli imposti dalla morale, per quanto assurda e deviata possa essere: per causa loro si è anche disposti a rinunciare volontariamente al paradiso a portata di mano.
Ottenuto premio Nebula in 1971.
Nominato per premi Hugo e Locus in 1972.

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(La parola esibizionista nel nostro idioma sta ad indicare chi fa mostra di sé, non del suo corpo ma della sua anima. È un atto che viene giudicato molto severamente e punito con l’ostracismo, se non peggio. Gli esibizionisti adoperano il linguaggio volgare che io ho usato in queste pagine. È lecito mettere completamente a nudo la propria anima dinnanzi ai fratelli di legame, ma non si è esibizionisti se non lo si fa usando termini di cattivo gusto come «io» e «me».)

Inoltre, siamo tenuti ad osservare un rapporto di reciprocità con i parenti di legame, nel senso che non dobbiamo soffocare gli altri coi nostri problemi, ma adoperarci anche per aiutarli a risolvere i loro: questa è vera civiltà. Il rapporto si basa sull’aiuto reciproco: ci si può servire degli altri se si lascia che gli altri si servano di noi. I bambini sono spesso egoisti nei loro rapporti coi fratelli di legame e può accadere che qualcuno prenda il sopravvento sugli altri e li seppellisca di chiacchiere senza dar loro la possibilità di esporre i propri problemi. Sono comunque situazioni che si risanano ben presto. È un’imperdonabile scorrettezza mostrarsi poco solleciti verso i propri fratelli di legame, e non conosco nessuno, neppure il peggiore, il più trascurato degli uomini, che si sia macchiato di una simile colpa.

Il legame ha delle regole ben precise e le più severe sono quelle che condannano qualsiasi relazione fisica tra i componenti. Nelle questioni sessuali in generale siamo abbastanza liberi, ma questa è una norma che non possiamo assolutamente infrangere. Per me è stato molto penoso. Non ero attratto da Noim, non ho mai avuto di questi istinti, che d’altronde non sono comuni tra noi, ma Halum la desideravo con tutta l’anima e sapevo che non avrei mai potuto averla accanto, né come moglie né come amante. Rimanevamo seduti vicino per lunghe ore, tenendoci per mano e parlando di cose che non avremmo potuto dire a nessuno; sarebbe stato facile attirarla a me, spogliarla e congiungere la mia carne palpitante alla sua, ma non lo feci mai. Il condizionamento che avevo ricevuto me lo impediva e, spero di sopravvivere abbastanza a lungo da potervelo raccontare, anche dopo che Schweiz e la sua pozione ebbero mutato la mia anima, continuai a ritenere sacro il corpo di Halum, anche se ormai ero in grado di entrare in lei in altri modi. Ma non posso negare di averla desiderata né posso dimenticare lo shock che provai quando, ancora ragazzo, venni a sapere che tra tutte le donne di Borthan solo Halum mi era negata.

Ero legato in un modo eccezionale ad Halum, in tutti i sensi tranne che in quello fisico, ed ella era per me la sorella ideale: disponibile, generosa, piena di tenerezza, serena, radiosa, adattabile. Non solo era bellissima, carnagione purissima, bruna di occhi e di capelli, sottile e aggraziata, ma anche gentile, dolce, docile; un meraviglioso miscuglio di candore e di saggezza. Quando ripenso a lei, mi sembra di vedere una foresta tra i monti, alberi verdi dalle cime nere che salgono vicini dal terreno ricoperto di una coltre di neve caduta da poco, una cascatella d’acqua spumeggiante che danza tra i ciottoli che scintillano al sole. Pulito, fresco, tranquillo.

A volte vicino a lei mi sentivo goffo; pesante, una montagna di carne opaca, ricoperta di peli e di stupidi, poderosi muscoli; ma Halum con una parola, con un sorriso, con un’occhiata mi faceva capire che ero ingiusto verso me stesso quando, vedendola leggera e luminosa, desideravo essere anch’io delicato e fragile come una donna.

D’altra parte ero molto legato anche a Noim. Egli era esattamente il mio opposto: sottile quanto io ero pesante, astuto quanto io ero ingenuo, prudente e calcolatore quanto io ero impulsivo, severo quanto io ero gaio. Accanto a lui, come accanto ad Halum, mi sentivo goffo. Non fisicamente, però, dato che, come ho già detto, per un uomo della mia corporatura sono piuttosto agile, ma mentalmente. Noim, più vivace, più svelto, più pronto d’ingegno, sembrava volare laddove io zoppicavo; ma già il suo pessimismo lo faceva sembrare meno brillante di me, che ero più allegro. Per essere giusti, Noim sembrava invidiare me quanto io invidiavo lui. Era geloso della mia forza straordinaria e più di una volta confessò di sentirsi meschino quando mi guardava negli occhi. — Si può scorgervi semplicità e forza — diceva — rendersi conto di essere un pigro imbroglione, di commettere giornalmente dozzine di pessime azioni che per te sarebbero innaturali quanto cibarti della tua stessa carne.

Dovete sapere che Halum e Noim non erano fratelli di legame tra loro e che si conoscevano solo tramite i rapporti che avevano con me. Noim aveva una sorella di legame che si chiamava Thirga, e Halum era legata a Nald, una ragazza di Manneran. Attraverso questi vincoli, il Comandamento crea una rete di relazioni che costituisce il supporto della nostra società, giacché Thirga aveva un’altra sorella di legame, Nald un fratello e questi a loro volta erano legati ad altri e così via fino a formare una serie vasta se non infinita.

È naturale quindi che si venga spesso in contatto coi parenti di legame dei propri, anche se non si può godere con loro degli stessi privilegi che si hanno con quelli del proprio gruppo, lo vedevo spesso Thirga di Noim e Nald di Halum, così come Halum vedeva Noim e Noim vedeva Halum; ma tra me e loro non ci fu mai altro che una condiscendente amicizia, mentre Noim e Halum simpatizzarono immediatamente. Per un certo tempo sospettai addirittura che avrebbero finito per sposarsi; sarebbe stata una cosa poco comune, ma non illegale… Noim tuttavia si rese conto che mi sarebbe dispiaciuto che il mio fratello di legame dividesse il letto con la mia sorella di legame e badò che l’amicizia non si trasformasse in amore.

Halum adesso dorme per sempre sotto una pietra a Manneran, Noim è diventato uno straniero, se non un nemico, e io sono qui a scrivere queste righe mentre la sabbia rossa delle Terre Basse Bruciate mi schiaffeggia il viso.

10

Dopo che mio fratello Stirron fu divenuto Eptarca a Salla, io me ne andai, come sapete, a Glin. Ho detto «me ne andai» e non «fuggii», perché nessuno mi costrinse apertamente a lasciare il paese dove ero nato: la mia partenza fu una questione di tatto. Me ne andai per risparmiare a Stirron l’imbarazzo di dovermi uccidere, sapendo che la mia morte avrebbe poi pesato per tutta la vita sulla sua coscienza. Un paese non può ospitare due figli di un Eptarca defunto senza che succedano guai.

Scelsi Glin perché è lì che si recano tutti gli esiliati di Salla e perché lì si trovava, ricca e potente, la famiglia di mia madre. Credevo erroneamente di poter ricavare qualche vantaggio da questa parentela. Mi mancavano tre cicli lunari all’età di tredici anni quando lasciai Salla, cioè secondo i nostri calcoli ero alle soglie della virilità. Ero alto come adesso, anche se più sottile e meno forte; la barba cominciò a crescermi folta solo più tardi. M’intendevo un poco di storia e di politica, ero abbastanza abile nell’arte della guerra e avevo una certa pratica di legge. Ero andato a letto con una dozzina di ragazze e tre volte avevo conosciuto, per poco tempo, le tempeste dell’amore infelice. Avevo conformato al Comandamento tutta la mia vita, la mia coscienza era limpida ed ero in pace con gli dèi e con gli avi. A quel tempo mi credevo generoso, avventuroso, abile, dignitoso e aperto; il mondo mi appariva come una luminosa strada maestra e il futuro carico di promesse. Dalla prospettiva dei trent’anni, vedo adesso che il giovane uomo che lasciò Salla era non soltanto ingenuo, romantico e zelante, ma anche convenzionale e grossolano, insomma un ragazzo normale che avrebbe potuto star lì a pulir pesci in un villaggio di pescatori, se non avesse avuto la fortuna di nascere principe.

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