«Perché c’è una possibilità che sia vero, Leo.» Shirley si alzò e scosse la lunga chioma dorata che le ondeggiò sulla spalla. «Dalle interviste, sembra molto strano. Parla del futuro come se lo conoscesse bene. Oh, forse è soltanto furbo, ma è divertente. È un uomo che mi piacerebbe conoscere.»
«Quando è comparso?»
«Il giorno di Natale,» disse Shirley.
«Quando io ero già qui? E non me ne avete parlato?»
Lei scrollò le spalle. «Pensavamo che seguissi i notiziari e che non lo giudicassi interessante.»
«Non mi sono più avvicinato al teleschermo da quando sono arrivato qui.»
«E allora dovresti proprio metterti al corrente,» disse Shirley.
Jack sembrava scontento. Era strano, vedere quella divergenza tra loro, e lui era apparso decisamente irritato, quando Shirley aveva espresso il disiderio di conoscere il viaggiatore nel tempo. Stranissimo, pensai. Se s’interessava tanto agli Apocalitici, perché doveva adottare un criterio discriminante nei confronti di quell’ultima manifestazione d’irrazionalità?
Il mio atteggiamento, per quanto riguardava l’uomo venuto dal futuro, era neutrale. La facenda del viaggio nel tempo, naturalmente, mi divertiva; avevo sputato l’anima per dimostrarne l’impossibilità pratica, e non ero disposto ad accettare facilmente l’affermazione che era stato realizzato. Senza dubbio era per questo che Jack aveva cercato di tenermi nascosta la notizia, nella convinzione che io non avessi bisogno che una parodia della mia ricerca mi ricordasse i problemi da cui ero fuggito prima di Natale. Ma io mi stavo liberando della mia depressione; l’inversione temporale non scatenava più in me un senso di avvilimento. Avevo voglia di sapere qualcosa di più preciso sull’impostura. Sembrava che quell’uomo avesse incantato Shirley attraverso la televisione, e tutto ciò che incantava Shirley mi pareva degno d’interesse.
La sera stessa una rete trasmise un documentario su Vornan-19, durante la prima serata, in un’orario solitamente dedicato ad uno degli spettacoli psichedelici. E questo già bastava a indicare l’interesse del pubblico. Il documentario si rivolgeva ai Robinson Crusoe come me che avevano trascurato di seguire gli sviluppi fino a quel momento, e perciò riuscii ad aggiornarmi in un colpo solo.
Sedemmo sulle poltrone pneumatiche davanti allo schermo a parete e sopravvivemmo ai caroselli. Finalmente una voce risonante disse: «Ciò che state per vedere è in parte una simulazione computerizzata.» La telecamera mostrò Piazza di Spagna la mattina di Natale, con poche persone sulla scalinata e sullo slargo, come se il computer che provvedeva alla simulazione fosse stato programmato dal Tiepolo. In questo fregio di astanti occasionali elegantemente ricostruito apparve l’immagine simulata di Vornan-19 che discendeva dal cielo in un arco lucente. I computer sanno fare benissimo questo genere di cose, oggi. Poco importa se anche l’occhio della telecamera non riesce a documentare qualche evento importante, perché può essere sempre ripescato dall’abisso del tempo mediante un’ingegnosa ricostruzione. Mi domando cosa ne penseranno gli storici del futuro, di queste simulazioni… se il mondo sopravviverà al primo giorno dell’anno prossimo, naturalmente.
La figura che scendeva dal cielo era nuda, ma i simulatori, per eludere il problema delle testimonianze contrastanti delle suore e degli altri lo mostravano di spalle. Non era questione di pudore, ne sono sicuro; la trasmissione televisiva sulla baldoria degli Apocalittici mostratami da Jack e da Shirley era stata molto esplicita, e a quanto pareva era un’abitudine delle stazioni televisive inserire ampie visioni anatomiche nei telegiornali, ogni volta che tali esibizioni rientravano nella protezione garantita dalla sentenza della Corte Suprema sulla legittimità dell’informazione giornalistica. Non ho niente da ridire su queste esibizioni di nudità; i tabù deJ nudo meritavano già da molto tempo di venire abbandonati, e suppongo che sia lecito tutto ciò che contribuisce ad informare scrupolosamente la cittadinanza, a costo d’inserire l’oscenità nei telegiornali. Ma dietro la facciata dell’integrità c’è sempre un pizzico di vigliaccheria. I lombi di Vornan-19 non erano stati riprodotti dalla simulazione, perché tre suore avevano giurato che lui era coperto da un nembo nebuloso, ed era più facile aggirare la questione, piuttosto di offendere i credenti contraddicendo la testimonianza delle pie sorelle.
Vidi Vornan-19 ispezionare la piazza, lo vidi salire la scalinata verso Trinità dei Monti. Sorrisi quando il poliziotto, agitatissimo, lo rincorse porgendogli il soprabito, e venne scaraventato a terra da una folgore invisibile.
Seguì il dialogo con Horst Klein. La scena era realizzata molto bene, perché c’era Klein in carne ed ossa, che conversava con una simulazione del viaggiatore nel tempo. Il giovane tedesco ricostruì la sua conversazione con Vornan, mentre il computer recitava ciò che lo stesso Klein ricordava di aver sentito dire dal visitatore.
L’inquadratura cambiò. Era un interno, una grande sala con poligoni contigui inscritti sulle pareti e sul soffitto, e con lo splendore regolare della termoluminescenza che illuminava i volti di una dozzina di uomini. Vornan-19 era in custodia protettiva, volontariamente, poiché nessuno poteva toccarlo senza venire colpito da quelle sue scariche da anguilla elettrica. Lo stavano interrogando. Gli uomini intorno a lui apparivano di volta in volta scettici, ostili, divertiti, infuriati. Anche questa era una simulazione: sul momento, nessuno si era preso la briga di effettuare una registrazione dal vero.
Parlando in inglese, Vornan-19 ripeté ciò che aveva detto a Horst Klein. Quelli che lo interrogavano gli contestavano varie affermazioni. Distaccato ed altero, tollerante verso la loro ostilità, Vornan parava i loro affondi. Chi era? Un visitatore. Da dove veniva? Dall’anno 2999. Com’era arrivato lì? Con il trasporto temporale. Perché era lì? Per vedere con i suoi occhi il mondo medievale.
Jack ridacchiò. «Mi piace, questa! Per lui siamo medievali.»
«È un particolare convincente,» disse Shirley.
«Hanno fabbricato tutto i simulatori,» osservai io. «Finora non abbiamo ancora sentito una parola autentica.»
Ma poco dopo le sentimmo. Riassumendo in poche frasi gli eventi degli ultimi dieci giorni, il commentatore del programma spiegò che Vornan-19 si era trasferito nell’appartamento più sontuoso di un elegante albergo di Via Veneto, vi teneva corte ricevendo i visitatori interessati a lui, aveva ottenuto un guardaroba completo di splendidi abiti contemporanei chiedendo ad uno dei sarti più cari di Roma di provvedere alle sue esigenze. L’intero problema della credibilità sembrava completamente superato. Ciò che mi sbalordiva era la disinvoltura con cui Roma pareva accettare alla lettera la sua versione. Ma là credevano veramente che fosse venuto dal futuro? Oppure l’atteggiamento assunto dai romani era un enorme scherzo, una burla colossale?
Lo schermo ci mostrò varie inquadrature dei picchetti degli Apocalittici davanti al suo albergo, e all’improvviso compresi perché quell’impostura aveva successo. Vornan-19 aveva qualcosa da offrire ad un mondo turbato. Se si accettava lui, si accettava anche il futuro. Gli Apocalittici stavano tentando di negare il futuro. Li osservai: le maschere grottesche, i corpi dipinti, le assurde capriole, i cartelli levati alti, che gridavano DIVERTITEVI! LA FINE È VICINA! In preda al furore, agitavano i pugni verso l’albergo e lanciavano sacchetti di luce vivente contro l’edificio: rivoli di fulgido pigmento rosso e azzurro colavano giù per i muri scolorati dalle intemperie. L’uomo venuto dal futuro era la nemesi del loro culto. Un’epoca straziata dalle paure di un’estinzione imminente si era votata a lui facilmente, naturalmente, piena di speranza. In un’era apocalittica, tutti i prodigi erano bene accetti.
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