Robert Silverberg - Le maschere del tempo

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25 dicembre 1998; al centro di Piazza di Spagna, a Roma, compare dal nulla un uomo completamente nudo. è Vornan-19, e dice di provenire da mille anni nel futuro. Quest’improvvisa manifestazione, simile alla nascita di un dio, sconvolge un mondo che si avvicina alla fine del secondo millennio fra i tumulti provocati dai fanatici che predicano l’Apocalisse e la necessità di dare libero sfogo agli istinti. Ma chi è Vornan-19: un ciarlatano o un messaggero dell’Utopia? Un agente del caos o un portatore della legge? Un nuovo messia o un anticristo? Un angelo o un serpente? Qual è l’immagine nascosta sotto le maschere cangianti che s’alternano sul suo volto? Forse, Vornan-19 è entrambe le cose: demonio distruttore e divinità adatta ai tempi della crisi e del rinnovamento. Durante una sua visita negli Stati Uniti, una commissione di studio cerca di scoprire i suoi segreti. La presenza di Vornan-19 sconvolge però la vita dei singoli e delle moltitudini, semina scandalo e rabbia per la sua totale amoralità, per la completa dissennatezza del suo comportamento. I tabù della civiltà occidentale (il denaro, il potere, il sesso) vengono sconvolti: l’Utopia è corrosiva, e a contatto con essa la realtà si disintegra. Chi si illudeva di strumentalizzare l’Uomo Futuro, ne finisce schiavo e annientato. Un romanzo tra i capolavori del «nuovo Silverberg».

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All’improvviso apparvero gli elicotteri della polizia. Era ora. Aleggiarono tra i palazzi, a non più di trenta metri, ed il turbinio dei loro rotori ci mandò adosso una raffica d’aria fredda. Guardai le scure canne grige uscire dai ventri bianchi e globulari sopra di noi: poi vennero i primi getti di schiuma antidisordini. Gli Apocalittici parvero accoglierli con gioia. Si lanciarono avanti, cercando di mettersi in posizione sotto le canne; alcuni si strapparono i pochi indumenti che avevano addosso e vi si bagnarono. La schiuma scendeva gorgogliando, espandendosi nell’aria, formando una densa viscosità saponosa che riempiva la strada e rendeva quasi impossibile i movimenti. A sussulti angolosi, come macchine in procinto di fermarsi, i dimostranti balzavano qua e là, facendosi strada a forza tra gli strati di schiuma, che aveva un sapore stranamente dolce. Vidi una ragazza riceverne in faccia un getto e barcollare, accecata, con la bocca e le narici sepolte in quella sostanza. Cadde sull’asfalto e scomparve totalmente, perché ormai un metro di schiuma copriva il suolo, fredda, appiccicosa, e ci arrivava alle cosce. Vornan s’inginocchiò e ripescò la ragazza, benché quella non sarebbe morta soffocata, anche se fosse rimasta dov’era. Le liberò teneramente il volto dalla schiuma e passò le mani sulla sua carne umida e viscida. Quando le strinse i seni, lei aprì gli occhi; e lui le disse sommessamente: «Io sono Vornan-19.» La baciò. Quando la lasciò andare, lei sgattaiolò via in ginocchio, rintanandosi nella schiuma. Con mio grande orrore, vidi che Vornan era senza maschera.

Ormai non potevamo quasi muoverci. I robot della polizia erano comparsi per la strada: grandi cupole di metallo lucente, che ronzavano tranquille in mezzo alla schiuma, afferrando i dimostranti intrappolati e radunandoli in gruppi di dieci o dodici. Gli automezzi del servizio d’igiene erano già all’opera per risucchiare l’eccesso di schiuma. Vornan ed io eravamo sul bordo esterno della scena; lentamente guadammo la schiuma e raggiungemmo una strada libera. Nessuno parve accorgersi di noi. Dissi a Vornan: «Vuoi ascoltare la voce della ragione, adesso? Ora possiamo tornare in albergo senza altri guai.»

«Finora abbiamo avuto ben pochi guai.»

«Ne avremo di grossi se Kralick scopre cos’hai combinato. Limiterà la tua libertà di movimento, Vornan. Metterà un esercito di guardie davanti alla tua porta e la chiuderà a triplo sigillo.»

«Aspetta,» disse lui. «Voglio qualcosa. Poi possiamo andare.»

Tornò ad immergersi tra la folla. Ormai la schiuma si era indurita, acquisendo una consistenza pastosa, e quelli che c’erano dentro diguazzavano precariamente. Dopo un attimo, Vornan ritornò. Trascinava una ragazza sui diciassette anni, che sembrava stordita e terrorizzata. Aveva un abito di plastica trasparente, ma i fiocchi di schiuma che vi aderivano le davano un’aria pudica, probabilmente indesiderata. «Adesso possiamo andare in albergo,» mi disse Vornan. E alla ragazza: «Io sono Vornan-19. Il mondo non finirà in gennaio. Prima dell’alba te lo proverò.»

XIV

Non fummo costretti a rientrare furtivamente in albergo. Un cordone di cercatori era stato steso tutto intorno, per diversi isolati; pochi attimi dopo essere sfuggiti alla schiuma, Vornan fece scattare un segnale d’identità, e alcuni degli uomini di Kralick ci raccolsero. Kralick era nell’atrio del palazzo; sorvegliava gli schermi dei monitor e pareva fuori di sé per l’ansia. Quando Vornan gli si avvicinò, tenendo ancora stretta a sé la tremante apocalittica, pensai che a Kralick venisse un colpo. Blandamente, Vornan si scusò per il fastidio che aveva causato, e chiese di venire condotto in camera sua. La ragazza lo accompagnò. Appena i due scomparvero, io ebbi un imbarazzante colloquio con Kralick.

«Come ha fatto a uscire?» domandò.

«Non lo so. Ha manomesso il sigillo della sua stanza, immagino.» Tentai di convincere Kralick che avevo avuto intenzione di dare l’allarme, quando Vornan aveva lasciato l’albergo, ma le circostanze me l’avevano impedito. Dubito molto di esserci riuscito, ma se non altro gli feci capire che avevo compiuto del mio meglio per impedire che Vornan si mettesse nei guai con gli Apocalittici, e che l’intera impresa non era stata opera mia.

Nelle settimane che seguirono, ci fu una stretta di freni per quanto riguardava la sicurezza. In effetti, Vornan-19 divenne il prigioniero, e non semplicemente l’ospite del governo degli Stati Uniti. Era sempre stato, più o meno, un prigioniero onorato, perché Kralick aveva ritenuto poco saggio lasciare che si muovesse liberamente: ma a parte i sigilli e le guardie piazzati alla sua porta di notte, non si era cercato d’imporgli restrizioni fisiche. Lui era riuscito a sbarazzarsi chissà come del sigillo e aveva drogato le guardie, ma Kralick impedì che la cosa si ripetesse usando sigilli migliori, allarmi automatici, ed un numero maggiore di guardie.

Il sistema funzionò, nel senso che Vornan non compì altre spedizioni non autorizzate. Ma credo fosse più una scelta di Vornan che le conseguenze delle precauzioni aggiuntive di Kralick. Dopo la sua esperienza con gli Apocalittici, Vornan parve calmarsi considerevolmente: diventò un turista più ortodosso, che guardava questo e quello, ma si asteneva dal fare i suoi commenti più diabolici. Avevo paura di quella versione addolcita del nostro ospite, come ne avrei avuta di un vulcano addormentato. Ma per la verità non commise altre scandalose trasgressioni della decenza, non pestò i piedi a nessuno, e sotto molti punti di vista fu un modello di tatto e di delicatezza. Io mi chiedevo che cosa ci stava preparando.

Le settimane della visita si trascinavano. Ci recammo a Disneyland insieme a Vornan, e sebbene il parco fosse stato visibilmente risistemato, lo annoiò. Non gli interessava neppure vedere le ricostruzioni artificiali di altri tempi e di altri luoghi: voleva un’esperienza diretta degli Stati Uniti del 1999. A Disneyland, badava più agli altri frequentatori che ai divertimenti in se stessi. Gli facemmo visitare il parco senza preannunci di sorta, muovendoci in un piccolo gruppo compatto, ed una volta tanto lui attirò pochissima attenzione. Si sarebbe detto che chi vedeva Vornan a Disneyland lo ritenesse parte di esso, un’ingegnosa imitazione dell’uomo venuto dal futuro, e passare oltre senz’altra manifestazione che un cenno del capo ed un sorriso.

Lo portammo a Irvine e gli mostrammo l’accelleratore da un trilione di volt. Era stata un’idea mia: volevo un’occasione per tornare all’università per qualche giorno, visitare il mio ufficio e la mia casa, ed essere sicuro che tutto andava bene. Lasciare avvicinare Vornan all’acceleratore era un po’ un rischio calcolato, pensavo, tenendo conto dal caos che aveva prodotto nella villa di Wesley Bruton; ma facemmo in modo che Vornan non arrivasse mai a portata di mano degli apparecchi dei comandi. Lui mi stava accanto, osservava con aria grave gli schermi, mentre io disintegravo gli atomi per lui. Sembrava interessato: ma era l’interesse superficiale che avrebbe potuto dimostrare un bambino. Gli piacevano quei bei motivi luminosi.

Per un momento, dimenticai tutto, nella gioia di manovrare l’enorme macchina. Stavo al quadro dei comandi, tra apparecchiature per miliardi di dollari che si stendevano sopra di me e davanti a me, premendo interruttori e tirando leve con la stessa gaiezza che Wesley Bruton aveva mostrato quando aveva fatto compiere prodigi alla sua casa. Polverizzai atomi di ferro lanciando folli spruzzi di neutroni. Inviai un getto di protoni ed innestai l’iniettore di neutroni, in modo che lo schermo si chiazzò delle fulgide esplosioni delle linee di frattura. Evocai quark ed antiquark . Eseguii tutto il mio repertorio; e Vornan annuiva innocentemente, sorridendo e additando. Avrebbe potuto sgonfiarmi come aveva fatto con il presidente della Borsa di New York, chiedendomi semplicemente che senso avevano quegli ingombranti apparecchi, ma non lo fece. Non sono certo se il suo autocontrollo fosse un atto di cortesia nei miei confronti (perché mi lusingavo che Vornan fosse più vicino a me che a tutti gli altri suoi accompagnatori) o se, cosa più semplice, in quel momento la sua vena maliziosa si fosse esaurita, e lui si accontentasse di stare rispettosamente a guardare.

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