Robert Silverberg - Le maschere del tempo

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25 dicembre 1998; al centro di Piazza di Spagna, a Roma, compare dal nulla un uomo completamente nudo. è Vornan-19, e dice di provenire da mille anni nel futuro. Quest’improvvisa manifestazione, simile alla nascita di un dio, sconvolge un mondo che si avvicina alla fine del secondo millennio fra i tumulti provocati dai fanatici che predicano l’Apocalisse e la necessità di dare libero sfogo agli istinti. Ma chi è Vornan-19: un ciarlatano o un messaggero dell’Utopia? Un agente del caos o un portatore della legge? Un nuovo messia o un anticristo? Un angelo o un serpente? Qual è l’immagine nascosta sotto le maschere cangianti che s’alternano sul suo volto? Forse, Vornan-19 è entrambe le cose: demonio distruttore e divinità adatta ai tempi della crisi e del rinnovamento. Durante una sua visita negli Stati Uniti, una commissione di studio cerca di scoprire i suoi segreti. La presenza di Vornan-19 sconvolge però la vita dei singoli e delle moltitudini, semina scandalo e rabbia per la sua totale amoralità, per la completa dissennatezza del suo comportamento. I tabù della civiltà occidentale (il denaro, il potere, il sesso) vengono sconvolti: l’Utopia è corrosiva, e a contatto con essa la realtà si disintegra. Chi si illudeva di strumentalizzare l’Uomo Futuro, ne finisce schiavo e annientato. Un romanzo tra i capolavori del «nuovo Silverberg».

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«In che senso?»

«Si rende conto più chiaramente di quello che succede intorno a lui. All’inizio era così distaccato, così alieno. Ricordi quella volta che mi ha chiesto di fare la doccia con lui?»

«E come potrei dimenticarlo?»

«Se fosse stato un altro uomo, avrei rifiutato, naturalmente. Ma Vornan era stato così franco… come un bambino. Sapevo che non intendeva fare nulla di male. Ma adesso… adesso mi sembra che voglia servirsi della gente. Non sta più facendo il turista. Manipola tutti quanti. Con molta sottigliezza.»

Le dissi che avevo avuto anch’io gli stessi pensieri mentre guardavo il documentario televisivo, poco prima. Le brillavano gli occhi: chiazze di colore le spuntavano sulle guance. Si umettò le labbra, ed io attesi che mi dicesse che avevamo molte cose in comune e che avremmo dovuto conoscerci meglio. Invece disse soltanto: «Ho paura, Leo. Vorrei che se ne ritornasse là dove è venuto. Causerà guai molto seri.»

«Ci penseranno Kralick e soci a impedirlo.»

«Non so.» Mi rivolse un balenante sorriso di nervosismo. «Beh, buonanotte, Leo. Dormi bene.»

Se ne andò. Fissai per un lungo attimo la porta chiusa, e l’immagine rubata del suo corpo snello risalì dai miei banchi memoria. Fino a quel momento, Aster non aveva esercitato su di me una grande attrazione fisica: quasi non mi era sembrata neppure una donna. All’improvviso, compresi cosa vedeva in lei Morton Fields. La desideravo ardentemente. Anche quella era una delle malefatte di Vornan? Sorrisi. Ormai davo a lui la colpa di tutto. Posai la mano sulla piastra della porta di Aster, e mi domandai se era il caso di pregarla di farmi entrare; ma poi entrai in camera mia. Bloccai la porta, mi spogliai, e mi preparai a dormire. Il sonno non venne. Andai alla finestra a guardare la folla, ma la folla si era dispersa. Era mezzanotte passata. Una fettina di Luna pendeva sopra la distesa della città. Tirai fuori un nuovo blocco per appunti e cominciai a buttar giù alcuni teoremi che mi erano spuntati nella mente durante il pranzo: un modo per spiegare una doppia inversione di carica durante il viaggio nel tempo. Problema: presumendo che l’inversione temporale sia possibile, creare una giustificazione matematica per la conversione dalla materia all’antimateria e di nuovo alla materia prima del compimento del viaggio. Lavorai in fretta, e per un po’ anche in modo convincente. Arrivai quasi al punto di afferrare il telefono e di chiedere un collegamento con il mio computer per poter esaminare alcune simulazioni del sistema. Poi vidi l’errore quasi all’inizio del mio lavoro, lo stupido errore algebrico, l’incapacità di mantenere giusti i segni. Appallottolai i fogli e li gettai via, disgustato.

Sentii bussare alla mia porta. Una voce: «Leo? Leo, sei sveglio?»

Toccai lo schermo accanto al mio letto e vidi un’immagine fioca del visitatore. Vornan! Balzai immediatamente in piedi e aprii la porta. Vestiva una sottile tunica verde, come se si accingesse ad uscire. La sua presenza mi sbalordì, perché sapevo che Kralick lo sigillava ogni notte in camera sua, e almeno in teoria Vornan non aveva possibilità di spezzare quel sigillo, che ufficialmente serviva per proteggerlo, ma che lo imprigionava. Eppure adesso era lì.

«Entra pure,» dissi. «C’è qualcosa che non va?»

«No, affatto. Stavi dormendo?»

«Lavorando. Cercavo di calcolare come funziona la tua maledetta macchina del tempo, anzi.»

Rise, leggermente. «Povero Leo. Ti consumerai il cervello, a furia di pensare.»

«Se ti faccio davvero tanta pena, dovresti dirmi qualcosa al riguardo.»

«Lo farei, se potessi,» disse lui. «Ma è impossibile. Ti spiegherò il perché, da basso.»

«Da basso?»

«Sì. Usciamo a fare una passeggiatina. Tu mi accompagni, non è vero, Leo?»

Lo guardai a bocca aperta. «Ma fuori ci sono disordini. Verremo uccisi dalla folla isterica!»

«Credo che la folla se ne sia andata,» disse Vornan. «E poi, ho queste. » Tese la mano. Nel palmo teneva le maschere di plastica floscia che avevamo messo nel postribolo di Chicago. «Nessuno ci riconoscerà. Gireremo camuffati per le strade di questa città meravigliosa. Ho voglia di uscire, Leo. Sono stanco delle passeggiate ufficiali. Ho voglia di esplorare di nuovo.»

Mi chiesi cosa dovevo fare. Chiamare Kralick e far rinchiudere nuovamente Vornan in camera sua? Sarebbe stata la reazione più ragionevole. Con le maschere o senza, era un’idea avventata, uscire dall’albergo senza una scorta. Ma sarebbe stato un tradimento trattare Vornan in quel modo. Evidentemente si fidava di me più che di tutti gli altri: forse c’era anche qualcosa che desiderava dirmi in confidenza, fuori dalla portata degli strumenti-spia di Kralick. Avrei dovuto correre il rischio, nella speranza di strappargli qualche preziosa informazione.

«Va bene. Vengo con te.»

«Presto, allora. Se qualcuno controlla la tua stanza…»

«E la tua

Vornan rise, orgoglioso. «La mia stanza è stata sistemata. Quelli che spiano crederanno che sono ancora là dentro. Ma se mi vedono anche qui… Vestiti, Leo.»

Mi buttai addosso qualcosa e uscimmo dalla mia camera. La sigillai dall’esterno. Nel corridoio c’erano tre degli uomini di Kralick, profondamente addormentati: il globo verde di un pallone anestetico fluttuava nell’aria, e quando la sua piastrina termosensibile m’individuò, puntò su di me. Vornan alzò pigramente la mano, ne afferrò la lunga coda di nastro plastico, e lo tirò giù per disattivarlo. Mi rivolse un sorriso da cospiratore. Poi, come un ragazzino scappato di casa, sfrecciò attraverso il corridoio, facendomi cenno di seguirlo. Aprì con una spinta una porta di servizio, rivelando un pozzo di caduta per la biancheria sporca. Vornan mi accennò di entrare.

«Finiremo in lavanderia!» protestai.

«Non dire sciocchezze, Leo. Scenderemo prima dell’ultima fermata.»

Non stetti a riflettere oltre. Entrai nel tubo insieme a lui e scendemmo a precipizio, buttati come rifiuti verso le viscere dell’edificio. Una rete apparve inaspettatamente attraverso il tubo e noi vi rimbalzammo sopra. Pensai che fosse una specie di trappola, ma Vornan disse semplicemente: «È un sistema di sicurezza per impedire che il personale dell’albergo cada sul nastro trasportatore della biancheria. Ho parlato con le cameriere, vedi. Andiamo!» Uscì dalla rete, che immagino fosse stata attivata dai rivelatori di massa lungo i fianchi del tubo, e ci appollaiammo su un cornicione, mentre lui apriva una porta. Per essere un uomo che capiva a malapena che cos’era il mercato azionario, aveva una conoscenza straordinaria del funzionamento dell’albergo. La rete rientrò nella parete del tubo nel momento in cui la lasciai; dopo un istante alcuni lenzuoli sporchi precipitarono dall’alto, ci passarono accanto e svanirono nelle fauci della lavanderia, molto più in basso. Vornan mi fece di nuovo cenno di seguirlo. Percorremmo uno stretto passaggio illuminato da strisce di luce fredda e finalmente uscimmo in uno dei corridoi dell’albergo. Per mezzo di una prosaica scala arrivammo ad un sottoatrio, e uscimmo sulla strada, senza che nessuno ci vedesse.

Era tutto tranquillo. Si vedeva benissimo dove erano stati i dimostranti. Slogan scritti con gli stampini brillavano sul marciapiedi e sui muri: LA FINE È PROSSIMA, PREPARATEVI A INCONTRARE IL VOSTRO CREATORE, e roba simile, i soliti pensieri sbandierati sui cartelli. Pezzi di indumenti erano sparpagliati dappertutto. Monticelli di schiuma mi dissero che la calca non si era dispersa pacificamente. Qua e là giaceva qualcuno, stordito, ubriaco o semplicemente addormentato: individui che dovevano essere usciti dall’ombra dopo che la polizia aveva sgombrato la zona.

Ci infilammo le maschere e ci muovemmo senza far rumore nella mite notte di Los Angeles. Lì, nelle prime ore del mattino, succedeva ben poco, nei quartieri del centro; i grattacieli tutto intorno a noi erano alberghi e palazzi di uffici, e la vita notturna si svolgeva altrove. Passeggiammo a casaccio. Di tanto in tanto un pallone pubblicitario passava nel cielo qualche decina di metri sopra di noi, facendo lampeggiare i suoi sgargianti incitamenti. A due isolati dall’albergo, ci fermammo a guardare la vetrina di un negozio che vendeva microspie. Vornan sembrava completamente assorto. Il negozio era chiuso, naturalmente, eppure mentre indugiavamo su una lastra sensoria incorporata nel marciapiedi, una voce melliflua ci disse gli orari d’apertura e ci invitò a tornare di giorno. Un po’ più avanti, arrivammo a un negozio di articoli sportivi, specializzato in attrezzatura per la pesca. La nostra presenza fece scattare un altro meccanismo che attaccò un discorsetto destinato ai pescatori di profondità. «Siete venuti nel posto giusto,» proclamò una voce metallica. «Abbiamo la linea completa. Idrofotometri, campionatori per plancton, penetrometri per fango, misuratori a dispersione di luce, registratori di maree, attuatori idrostatici, boe radar, clinometri, rivelatori del fango, indicatori del livello liquido…»

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