Robert Silverberg - Le maschere del tempo

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25 dicembre 1998; al centro di Piazza di Spagna, a Roma, compare dal nulla un uomo completamente nudo. è Vornan-19, e dice di provenire da mille anni nel futuro. Quest’improvvisa manifestazione, simile alla nascita di un dio, sconvolge un mondo che si avvicina alla fine del secondo millennio fra i tumulti provocati dai fanatici che predicano l’Apocalisse e la necessità di dare libero sfogo agli istinti. Ma chi è Vornan-19: un ciarlatano o un messaggero dell’Utopia? Un agente del caos o un portatore della legge? Un nuovo messia o un anticristo? Un angelo o un serpente? Qual è l’immagine nascosta sotto le maschere cangianti che s’alternano sul suo volto? Forse, Vornan-19 è entrambe le cose: demonio distruttore e divinità adatta ai tempi della crisi e del rinnovamento. Durante una sua visita negli Stati Uniti, una commissione di studio cerca di scoprire i suoi segreti. La presenza di Vornan-19 sconvolge però la vita dei singoli e delle moltitudini, semina scandalo e rabbia per la sua totale amoralità, per la completa dissennatezza del suo comportamento. I tabù della civiltà occidentale (il denaro, il potere, il sesso) vengono sconvolti: l’Utopia è corrosiva, e a contatto con essa la realtà si disintegra. Chi si illudeva di strumentalizzare l’Uomo Futuro, ne finisce schiavo e annientato. Un romanzo tra i capolavori del «nuovo Silverberg».

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Poi lo portammo alla centrale a fusione sulla Costa. Pure quella fu opera mia, anche se Kralick ammise che avrebbe potuto essere utile. Nutrivo ancora una speranza, sia pure fioca, di estorcere a Vornan qualche dato sulle fonti energetiche della sua epoca. Mi spronava la coscienza troppo sensibile di Jack Bryant. Ma il tentativo fu un insuccesso. Il direttore della centrale spiegò a Vornan che avevamo catturato la furia dello stesso Sole, avviando una reazione protone-neutrone entro una morsa magnetica, e attingendo energia dalla trasformazione dell’idrogeno in elio. Vornan fu autorizzato a entrare nella sala in cui il plasma veniva regolato per mezzo di sensori che operavano al di sopra dello spettro visibile. Ciò che vedevamo non era il vero plasma puro (era impossibile vederlo direttamente) bensì una simulazione, una ricostruzione, una curva che seguiva, culmine per culmine, ogni fluttuazione del mare di nuclei denudati entro la vasca. Erano passati anni da quando avevo visitato la centrale per l’ultima volta, ed ero affascinato e pieno di soggezione. Vornan stette zitto. Ci aspettavamo commenti sprezzanti; non ne fece. Non si prese il disturbo di paragonare i nostri risultati scientifici medievali con la tecnologia della sua era. Quel nuovo Vornan era privo di mordente.

Poi tornammo indietro attraverso il Nuovo Messico, dove gli indiani Pueblo abitavano in un museo antropologico vivente. Fu il grande momento di Helen McIlwain. Ci guidò per il polveroso villaggio di fango, irradiando dati antropologici. All’inizio della primavera non era ancora incominciata la stagione turistica regolare, e perciò avevamo il pueblo tutto per noi. Kralick si era accordato con le autorità locali per chiudere la riserva agli estranei, per quel giorno, in modo che nessun maniaco di Vornan potesse arrivare da Albuquerque o da Santa Fe a combinare guai. Gli indiani uscirono dalle case dai tetti piatti per curiosare, ma penso che molti di loro non sapessero chi era Vornan, e che la cosa non importasse a nessuno. Erano individui grassocci, con le facce tonde e i nasi piatti, ben diversi dagli indiani aquilini delle leggende. Mi facevano pena. In un certo senso, erano dipendenti federali, pagati per stare lì e vivere nello squallore. Sebbene siano autorizzati ad avere televisori, automobili ed elettricità, non possono costruire case di stile moderno, e debbono continuare a macinare il granturco, ad eseguire le danze cerimoniali, e a produrre vasellame da vendere ai visitatori. È così che noi proteggiamo il nostro passato.

Helen ci presentò ai maggiorenti del villaggio; il governatore, il capo, ed i capi di due delle cosiddette società segrete. Sembravano uomini svegli e sofisticati, che avrebbero potuto benissimo dirigere concessionarie automobilistiche ad Albuquerque. Ci fecero visitare alcune case, ci portarono nel kiva , il centro religioso del villaggio, un tempo sacrosanto. Alcuni bambini eseguirono per noi una specie di danza. In un negozio sulla piazza ci mostrarono il vasellame ed i gioielli d’argento e di turchese prodotti dalle donne del villaggio. Una vetrina conteneva vasi più vecchi, fatti all’inizio del ventesimo secolo, bellissimi, ben rifiniti e con motivi semiastratti di uccelli e di cervi; ma quei pezzi costavano centinaia di dollari l’uno, e mi bastò un’occhiata alla faccia della commessa per capire che in realtà non erano neppure in vendita; erano tesori tribali, ricordi di tempi migliori. La merce vera e propria era costituita da piccole fiasche fragili e mediocri. Helen disse, sprezzante: «Vedete che danno la vernice dopo che il pezzo è stato cotto, adesso? È deplorevole. Questo può farlo anche un bambino. L’Università del Nuovo Messico sta cercando di riesumare i vecchi sistemi, ma la gente, qui, sostiene che i turisti preferiscono la roba fasulla. È più colorata, più vistosa… e costa meno.» Vornan si attirò un’occhiata acida da parte di Helen quando espresse l’opinione che la merce prodotta per i turisti fosse più attraente del vasellame più antico. Penso che lo dicesse solo per punzecchiarla, ma non ne sono sicuro; i criteri estetici di Vornan erano sempre insondabili, e probabilmente la scadente merce attuale gli sembrava un prodotto autentico del remoto passato quanto il vasellame veramente bello della vetrina.

Al pueblo ci fu un solo incidente degno di Vornan. La commessa era un’esile bellezza adolescente dai lunghi, morbidi capelli neri e lucidi e dai lineamenti fini che sembravano più da cinese che da indiana; ci aveva incantato tutti, e Vornan sembrava ansioso di aggiungerla alla sua collezione di conquiste. Non so cosa sarebbe successo se avesse chiesto alla ragazza di fornirgli adeguate prestazioni nel suo letto, quella notte. Per fortuna, non arrivò a tanto. Stava adocchiando la ragazza con evidente concupiscenza mentre si aggirava nella stanza; io me ne accorsi, e se ne avvide anche Helen. Quando uscimmo, Vornan si voltò come per tornar dentro ad annunciare il suo desiderio. Helen gli bloccò la strada, più che mai simile ad una strega, con gli occhi sfolgoranti sotto il ciuffo fiammeggiante di capelli rossi.

« No ,» disse rabbiosamente. «Non puoi

Fu tutto. E Vornan obbedì. Sorrise, si inchinò a Helen e se ne andò. Non me lo sarei mai aspettato.

Il nuovo, docile Vornan era una rivelazione per tutti noi, ma il pubblico in generale preferiva le rivelazioni del Vornan che aveva imparato a conoscere in gennaio e febbraio. Contro ogni verosimiglianza, l’interesse per le azioni e le parole di Vornan diventava più appassionato con il trascorrere delle settimane; quello che avrebbe potuto essere un breve miracolo stava diventando la sensazione del secolo. Un furbo pubblicitario mise insieme in fretta e furia un volumetto su Vornan e l’intitolò La Nuova Rivelazione. Conteneva le trascrizioni di tutte le conferenze stampa e di tutte le apparizioni televisive di Vornan-19 a partire dal suo arrivo per Natale, con uno sbrigativo commento che teneva insieme tutto quanto. Il libro uscì alla metà di marzo, e un’idea della sua importanza si può avere dal fatto che uscì non solo in edizioni su nastro, su cubo e in facsim, ma anche in un testo stampato… un libro, cioè, nel vecchio senso della parola. Un editore californiano lo pubblicò in uno smilzo volumetto in brossura con la copertina rossovivo ed il titolo in incandescenti lettere d’ebano: un’edizione di un milione di copie che andò esaurita in una settimana. Poco dopo, cominciarono a spuntare dappertutto edizioni pirate, stampate clandestinamente, nonostante i frenetici tentativi del proprietario del copyright. Innumerevoli milioni di copie della Nuova Rivelazione inondarono il paese. Ne comprai una anch’io, per ricordo. Vidi Vornan leggerne un’altra copia. Ma l’edizione genuina e le varie fasulle avevano lo stesso schema cromatico nero-su-rosso, così che a prima vista non si distinguevano, e durante le prime settimane di primavera quei volumetti in brossura coprirono la nazione come una strana nevicata rossa.

Il nuovo credo aveva il suo profeta, e adesso aveva anche il suo vangelo. Non riesco a capire quale conforto spirituale si potesse trarre dalla Nuova Rivelazione , perciò credo che il libro fosse più un talismano che una sacra scrittura; non serviva per trarne consigli, ma per portarselo in giro, traendo energia dal contatto delle lucenti copertine strette fra le mani. Quando viaggiavamo con Vornan e si radunava una folla di devoti, quelli sventolavano i libri come i flashcards ad una partita di football tra universitari, creando uno sfondo rosso compatto, chiazzato dalle nere lettere del titolo.

Ci furono le traduzioni. I tedeschi, i polacchi, gli svedesi, i portoghesi, i francesi, i russi, avevano tutti le loro versioni della Nuova Rivelazione. Un incaricato di Kralick le raccoglieva e ce le faceva pervenire dovunque andassimo. Di solito, Kralick le spediva a Kolff, che mostrava uno strano, amaro interesse per ogni nuova edizione. Il libro arrivò in Asia, e ci arrivò in giapponese, in parecchie lingue dell’India, in mandarino e in coreano. Apparve appropriatamente un’edizione in ebraico, la lingua più adatta per un libro sacro. Kolff amava disporre in fila i libretti rossi, cambiando spesso l’ordine. Parlava in tono sognante di farne personalmente una traduzione in sanscrito, o forse in antico persiano; non sono certo che dicesse sul serio.

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