Fandarel dimostrò di avere una volontà non meno ferrea dei muscoli. Guardò calmo il groviglio scoperto di Fili che cresceva a vista d’occhio, contorcendosi e intrecciandosi oscenamente.
«Sono centinaia e migliaia solamente in questa tana,» esclamò il Nobile Vincet di Nerat, con voce frenetica. Agitò le mani, angosciato, per indicare la piantagione in cui erano stati scoperti i Fili. «Gli steli stanno già incominciando ad avvizzire, mentre voi esitate. Fate qualcosa! Quanti altri germogli moriranno, solo in questo campo? Quante altre tane sono sfuggite ieri al fiato dei draghi? Dov’è un drago per bruciare questi Fili? Perché ve ne state lì senza far niente?»
F’lar e Fandarel non badavano alle parole di Vincet, disgustati e affascinati insieme dalla vista di quella particolare fase del ciclo vitale del loro antico nemico. Nonostante le accuse atterrite di Vincet, quella era l’unica tana scoperta sull’intera collina. F’lar preferiva non chiedersi quanti altri Fili potevano essere sfuggiti all’attenzione dei draghi e potevano avere raggiunto il terreno tepido e fertile. Purtroppo non avevano avuto abbastanza tempo per piazzare sentinelle incaricate di seguire la caduta delle masse di Fili. Avrebbero comunque rimediato a Telgar, Crom e Ruatha fra tre giorni. Ma non bastava. Non bastava ancora.
Fandarel fece cenno ai due artigiani che lo avevano accompagnato, e quelli si fecero avanti. Reggevano uno strano apparecchio: un grosso cilindro metallico, al quale era fissato un tubo dall’ampia bocca. All’estremità opposta c’era un altro tubo e poi un cilindretto più corto, a stantuffo. Uno degli artigiani manovrava energicamente lo stantuffo, mentre il secondo puntava la canna verso la tana dei Fili, con dita malferme. A un cenno del compagno, l’uomo lasciò andare un pulsante, e protese prudentemente il tubo al di sopra della tana. Uscì uno spruzzo sottile che cadde al suolo. Non appena le goccioline toccarono i Fili aggrovigliati, dalla buca si levò uno sbuffo di vapore sibilante. Pochi attimi dopo, dei pallidi tentacoli frementi restava soltanto una massa fumante di strisce annerite. Fandarel fece segno ai suoi artigiani di scostarsi e restò a fissare a lungo la buca. Poi grugnì, prese un lungo fuscello, smosse e rimescolò i resti. Non era sopravvissuto neppure un Filo.
«Umf,» grugnì il Maestro Fabbro con evidente soddisfazione. «Comunque, non possiamo andare in giro a scoperchiare tutte le tane. Devo provare con un’altra.»
Seguiti dal Nobile Vincet che gemeva e si torceva le mani, si fecero accompagnare dagli uomini della giungla ad un’altra tana intatta, nella parte della foresta pluviale rivolta verso il mare. I Fili erano penetrati nella terra accanto ad un albero gigantesco che già cominciava ad avvizzire.
Con il lungo fuscello, Fandarel praticò un piccolo foro nella terra, sopra la tana dei Fili, poi accennò ai due artigiani di procedere. Quello che manovrava lo stantuffo pompò energicamente, mentre l’altro regolava il tubo prima di inserirlo nel buco. Fandarel segnalò di cominciare, contò lentamente, poi agitò le braccia. I due uomini si fermarono. Dal minuscolo foro uscì un filo di fumo.
Dopo una breve attesa, Il Maestro Fabbro ordinò agli uomini della giungla di scavare, avvertendoli di stare attenti, per non entrare in contatto con l’ agenothree. Quando la tana fu scoperchiata, l’acido aveva fatto il suo lavoro: non rimaneva altro che un groviglio completamente carbonizzato.
Fandarel fece una smorfia; ma stavolta si grattò la testa, insoddisfatto.
«Si impiega troppo tempo, in tutti e due i modi. È meglio distruggerli finché sono in superficie,» tuonò.
«E meglio ancora distruggerli in aria,» s’intromise il Nobile Vincet. «E quella roba, cosa farà ai miei frutteti? In che stato li ridurrà?»
Fandarel si girò di scatto, come se notasse per la prima volta la presenza dell’esagitato Signore.
«Ometto, l’ agenothree diluito viene usato per concimare le piante, in primavera. Sicuro, questo campo per qualche anno non produrrà niente, ma non è pieno di Fili. Sarebbe molto meglio se potessimo lanciare gli spruzzi in aria: le goccioline ricadrebbero disperdendosi… anzi, concimerebbero il terreno in modo regolare.» Si interruppe e si grattò di nuovo la testa, rumorosamente. «I draghi giovani potrebbero portare in volo una squadra di… Uhm. È possibile. Però l’apparecchio è ancora troppo ingombrante.» Voltò le spalle all’esterrefatto Signore di Nerat e chiese a F’lar se l’arazzo era stato restituito. «Non sono ancora riuscito a scoprire il modo di lanciare fiamme con un tubo. Ho copiato questo apparecchio dai modelli che fabbrichiamo per i nostri frutticoitori.»
«Non ho ancora saputo niente dell’arazzo,» rispose F’lar. «Ma questi spruzzi sono efficacissimi. I Fili che erano nella tana sono morti.»
«Anche i vermi-di-sabbia sono efficaci, ma in realtà sono poco pratici,» grugnì scontento Fandarel. Rivolse un cenno brusco ai suoi assistenti e si avviò verso i draghi nella luce del crepuscolo.
Robinton li attendeva al Weyr. La sua calma esteriore nascondeva a malapena una profonda eccitazione. Per prima cosa, tuttavia, s’informò educatamente del risultato dei tentativi di Fandarel. Il Maestro Fabbro grugnì scrollando le spalle.
«Ho messo al lavoro tutta la mia Corporazione.»
«Il Maestro Fabbro è troppo modesto,» intervenne F’lar. «Ha già ideato un apparecchio ingegnosissimo che spruzza l’ agenothree nelle tane dei Fili e li riduce a una poltiglia nera.»
«Ma non è efficiente. A me piace l’idea del lanciafiamme,» disse il fabbro con uno scintillio negli occhi. «Un lanciafiamme,» ripete. Scosse la testa massiccia con uno scatto secco. «Io vado.» Salutò l’arpista e il Comandante del Weyr con un cenno del capo ed uscì.
«Mi piace la dedizione di quell’uomo ad una idea,» osservò Robinton. Sebbene il comportamento un po’ eccentrico di Fandarel lo divertisse, il suo tono dimostrava un profondo rispetto nei suoi confronti. «Dovrò incaricare i miei apprendisti di comporre una degna Saga sul Maestro Fabbro. Ho saputo,» disse poi, girandosi verso F’lar, «che l’esperimento sul Continente Meridionale è già iniziato.»
F’lar annuì, a disagio.
«I tuoi dubbi sono aumentati?»
«Gli spostamenti in mezzo da un tempo all’altro esigono un pedaggio molto alto,» ammise F’lar, lanciando un’occhiata ansiosa in direzione della camera da letto.
«La Dama del Weyr è ammalata?»
«Dorme; ma ha risentito molto del viaggio di oggi. Abbiamo bisogno di una soluzione diversa, meno pericolosa!» F’lar si batté un pugno contro il palmo aperto.
«Io non ho trovato una soluzione vera e propria,» disse Robinton, in tono vivace. «Ma un altro pezzo del rompicapo. Ho scovato un’annotazione. Quattrocento Giri or sono, il Maestro Arpista venne convocato al Weyr di Fort non molto tempo dopo che la Stella Rossa si era allontanata da Pern, scomparendo nel cielo serotino.»
«Un’annotazione? E che dice?»
«Tieni presente che gli attacchi dei Fili erano appena cessati, quando il Maestro Arpista fu chiamato una sera tardi al Weyr di Fort. Una convocazione molto insolita. Comunque,» fece Robinton, puntando sul suo interlocutore un lungo dito calloso, «di quella visita non si parla mai più. E questo è strano, perché tutte le convocazioni del genere hanno scopi precisi. Vengono registrati tutti questi incontri, ma non ci sono spiegazioni. La cronaca continua parecchie settimane più tardi, per mano del Maestro Arpista, come se non avesse mai lasciato la sede della sua Corporazione. Circa dieci mesi dopo, alle Ballate dell’Insegnamento venne aggiunto il Canto delle Domande. »
«E tu pensi che esista un legame tra questi fatti e l’abbandono dei cinque Weyr?»
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