Clifford Simak - La casa dalle finestre nere

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La casa dalle finestre nere: краткое содержание, описание и аннотация

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Un veterano della guerra civile americana che non invecchia mai, una casa con finestre indistruttibili, una tomba che porta inciso sulla pietra il segno dell’infinito: ce n’è abbastanza perché la CIA cominci ad avere dei sospetti e perché Clifford Simak cominci a tessere una delle sue trame più belle e suggestive. Dai boschi del Wisconsin alle frontiere della galassia, dai più umili e quotidiani personaggi ai più stupefacenti visitatori spaziali, tutto si carica di quel «senso del meraviglioso» di cui l’autorè di Mondi senza fine è uno dei pochi a conoscere il segreto.

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— Un giorno le cose cambieranno — disse Ulisse. — Se guardo al futuro, vedo che fra qualche migliaio d’anni le civiltà galattiche si fonderanno in una sola grande cultura, un vasto bacino della comprensione. Naturalmente le diversità locali e razziali continueranno a esistere ed è giusto che sia così, ma ci sarà una tolleranza così grande che potremmo avere la tentazione di chiamarla fratellanza.

— Parli quasi come un essere umano — osservò Enoch. — Questa è la speranza di molti nostri pensatori.

— Può darsi — ammise Ulisse. — Ho passato molto tempo sul vostro pianeta. Ma, a proposito, hai fatto un’ottima impressione al vegano.

— Non me n’ero accorto — disse Enoch. — È stato cortese e affabile, ma niente di più.

— È per la scritta sulla lapide. È rimasto molto colpito.

— Non l’ho fatto per mettermi in mostra. L’ho scritta perché sentivo di doverlo fare e perché mi piacciono gli splendenti. Ho cercato di comportarmi in modo da fare la cosa giusta dal loro punto di vista.

— Senza la pressione delle altre fazioni galattiche — disse Ulisse — sono convinto che i vegani sarebbero disposti a dimenticare l’incidente, e questa sarebbe una grandissima concessione da parte loro. Può anche darsi che si schierino dalla nostra parte, quando verrà il momento di mettere le carte in tavola.

— Vuoi dire che potrebbero salvare la stazione?

Ulisse scosse la testa. — Non credo che nessuno sia in grado di salvarla, ma se i vegani fossero con noi le cose potrebbero essere più facili, per la Centrale.

Il caffè brontolava ed Enoch tolse il bricco dal fuoco. Ulisse aveva messo da parte alcuni dei regali ammucchiati sul tavolo e fatto spazio per due tazze. Enoch le riempì e mise la caffettiera sul pavimento.

Ulisse prese la sua tazza, la tenne per un momento fra le mani, poi la posò.

— Le cose vanno male — disse. — Non è più come una volta. La Centrale è preoccupata per le rivalità che serpeggiano fra i popoli, per tutto questo spingere e fare pressioni a vicenda.

Diede un’occhiata a Enoch. — Credevi che tutto filasse a gonfie vele, eh?

— No — rispose Enoch. — Sapevo che c’erano divergenze e problemi, ma ho paura di aver messo tutto su un piano troppo elevato. Una specie di leali schermaglie tra gentiluomini e persone raffinate.

— Era così, una volta. Ci sono sempre state diverse opinioni, ma tutte basate su principi etici, non su interessi particolari. Avrai sentito parlare della forza spirituale, immagino. La forza spirituale universale.

Enoch ammise che era così. — Ho letto qualcosa. Non ho capito tutto, ma so che esiste questa forza. So anche che è possibile mettercisi in contatto.

— Il Talismano — spiegò Ulisse.

— Sì, il Talismano. Una specie di macchina.

— Chiamala così se vuoi, ma la parola "macchina" non è la più adatta. La sua costruzione trascende la meccanica e ne esiste un solo esemplare, costruito da un sant’uomo vissuto diecimila dei vostri anni fa. Vorrei poterti dire cosa sia e come funzioni, ma purtroppo nessuno ne sa niente. Molti hanno tentato di costruire una copia del Talismano, senza successo. Il santo che l’ha creato non ha lasciato progetti né appunti di nessun tipo.

— Non vedo perché non dovrebbe essere possibile costruirne un altro — obiettò Enoch. — Non posso credere che esistano tabù religiosi, quindi non dovrebbe essere un sacrilegio fabbricarne una copia.

— No, anzi sarebbe indispensabile che ne avessimo una — confermò Ulisse. — In questo momento siamo senza Talismano, perché è scomparso.

Enoch sobbalzò sulla sedia.

— Scomparso? — ripeté.

— Perduto — spiegò Ulisse. — Smarrito, rubato. Nessuno lo sa.

— Ma io non…

Ulisse ebbe un triste sorriso. — Tu non ne hai sentito parlare, lo so. Non sono cose che andiamo a raccontare in giro. Non oseremmo, perché almeno per il momento la gente non deve sapere.

— Ma come sperate di mantenere il segreto?

— Non è difficile. Tu sai che un custode trasportava il Talismano di pianeta in pianeta, mostrandolo durante grandi raduni e che, toccandolo, si entrava in contatto con la forza spirituale. Le visite del custode non seguivano un itinerario fisso: lui andava dove credeva meglio, e magari tra una visita e l’altra passavano cento dei vostri anni. La popolazione non si aspettava di vederlo arrivare: sapeva soltanto che un giorno ci sarebbe stata la visita e lui si sarebbe mostrato con il Talismano.

— Così è possibile tener nascosta la notizia per anni.

— Certo. E in tutta sicurezza — confermò Ulisse.

— Però i capi lo sanno, immagino.

— Non tutti. L’abbiamo detto solo ai pochi di cui possiamo fidarci. La Centrale Galattica ne è al corrente, naturalmente, ma noi sappiamo tenere la bocca chiusa.

— E allora perché…

— Perché lo racconto a te? Lo so, non avrei dovuto farlo e non riesco a capire perché te ne abbia parlato. O forse sì. Che effetto fa, amico mio, essere nei panni del pietoso confessore?

— Sei preoccupato — disse Enoch. — Non ho mai pensato che un giorno ti avrei visto preoccupato.

— È una faccenda strana — continuò Ulisse. — Il Talismano è scomparso da parecchi anni, ormai, e nessuno lo sa all’infuori della Centrale e della… (come la chiamereste, voi?) gerarchia, suppongo, la comunità di studiosi del sacro che si occupa di questioni spirituali. Anche se nessuno ne sa niente, nella galassia cominciano a notarsi segni di logorio; le cuciture si strappano. Col tempo, tutto potrebbe andare a rotoli. Il Talismano era una forza capace di tenere misteriosamente unite le razze della galassia ed esercitava il suo potere anche quando era lontano.

— Ma se è stato perduto — obiettò Enoch — deve pur trovarsi da qualche parte, e continuare a esercitare la sua influenza. Non può esser andato distrutto.

— Dimentichi — gli ricordò Ulisse — che non funziona senza un custode adatto, un sensitivo di tipo speciale. In effetti il Talismano non è che l’intermediario tra il sensitivo e la forza spirituale. È un’estensione, un’appendice del sensitivo del quale acuisce le facoltà, dandogli la possibilità di esercitare la sua funzione.

— A sentirti, si direbbe che la perdita del Talismano sia collegata alla situazione che abbiamo qui.

— Alla stazione terrestre? Non direttamente, ma un legame c’è. Quello che succede sulla Terra è un fatto sintomatico, una conseguenza dei litigi meschini e degli spietati battibecchi che si manifestano in tante zone della galassia. Una volta il problema sarebbe stato affrontato, come hai detto tu, in modo educato e in nome dei princìpi, dell’etica.

Rimasero per qualche minuto in silenzio, ascoltando il sibilo del vento che faceva vibrare gli ornamenti esterni della mansarda.

— Ma non preoccuparti anche di questo — riprese Ulisse. — Tu non c’entri. Ho fatto male a parlartene e sono stato indiscreto.

— Vuoi dire che a mia volta potrei andare a raccontarlo. Non lo farò, stai tranquillo.

— So che non lo farai — disse l’altro. — Non ci pensavo nemmeno.

— Credi davvero che i rapporti nella galassia vadano peggiorando?

— Una volta — raccontò Ulisse — le razze erano tutte unite. C’erano delle divergenze, naturalmente, ma venivano superate, qualche volta in modo artificiale e poco soddisfacente. Eppure le parti in causa facevano del loro meglio per mantenere l’accordo, per quanto artificioso; di solito ci riuscivano perché lo volevano, questo è il punto. Esisteva un progetto, la formazione di una grande confraternita degli esseri pensanti. Ci rendevamo conto di possedere un fondo comune di cognizioni e di tecnologie che messe insieme, e riunendo le capacità di tutte le razze, ci avrebbero permesso di arrivare molto più lontano di qualsiasi civiltà che lavorasse da sola. Avevamo le nostre difficoltà, certo, e come ho detto le nostre divergenze, ma il progresso era continuo. Le piccole animosità e gelosie di poco conto venivano ignorate; ci occupavamo solo delle divergenze maggiori. Una volta sistemate quelle, le altre sarebbero parse così insignificanti da scomparire. Adesso tutto sta cambiando: le questioni insignificanti vengono ingrandite esageratamente e si tralasciano quelle capitali.

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