Clifford Simak - La casa dalle finestre nere

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La casa dalle finestre nere: краткое содержание, описание и аннотация

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Un veterano della guerra civile americana che non invecchia mai, una casa con finestre indistruttibili, una tomba che porta inciso sulla pietra il segno dell’infinito: ce n’è abbastanza perché la CIA cominci ad avere dei sospetti e perché Clifford Simak cominci a tessere una delle sue trame più belle e suggestive. Dai boschi del Wisconsin alle frontiere della galassia, dai più umili e quotidiani personaggi ai più stupefacenti visitatori spaziali, tutto si carica di quel «senso del meraviglioso» di cui l’autorè di Mondi senza fine è uno dei pochi a conoscere il segreto.

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— A me?

— A te e per tuo tramite alla Terra.

— Ma la Terra non c’entra. Non ne sa niente.

— Naturale. Ma per quel che riguarda la Centrale Galattica, tu sei la Terra. Il rappresentante della Terra.

Enoch scosse la testa. Era un modo di pensare pazzesco, e tuttavia non si meravigliò; era il tipo di ragionamento che avrebbe dovuto aspettarsi. Lui era troppo legato al particolare, aveva una mentalità troppo ristretta. Era stato abituato a vedere le cose dal punto di vista umano e nonostante gli anni di servizio alla stazione, non era ancora cambiato: ogni prospettiva diversa gli sembrava automaticamente sbagliata.

Non che abbandonare la stazione fosse più giusto. Era sbagliato, non aveva senso, perché una decisione simile non avrebbe mandato a monte il progetto, avrebbe semplicemente distrutto sul nascere le speranze che Enoch nutriva per il futuro dell’umanità.

— Se abbandonaste la Terra — obiettò — potreste installare una stazione su Marte. Ci sono altri pianeti, nel caso voleste mantenere un piede nel sistema solare.

— Tu non ti rendi conto — ribatté Ulisse. — Questa stazione è una testa di ponte, un inizio. Lo scopo è rovinare il progetto della Centrale Galattica per dedicare tempo e sforzi ad altre cose. Se riescono a costringerci ad abbandonare la stazione, saremo completamente screditati. Qualsiasi nostra opinione e disegno verranno passati al setaccio.

— Ma anche se il progetto naufragasse, nessuno dei gruppi sarebbe certo di guadagnarci — obiettò Enoch. — Si ricomincerebbe a discutere su come impiegare il tempo e le energie disponibili. Hai detto che alcune fazioni si sono unite in un partito, nell’intento di opporsi a noi. Ammesso che vincano, cominceranno a litigare fra loro.

— È proprio così — ammise Ulisse. — D’altra parte ognuna avrebbe una lontana possibilità di ottenere ciò che vuole, o almeno così crede. In realtà non esiste nessuna possibilità: quando le varie fazioni fossero riuscite a mettersi d’accordo, il progetto non sarebbe più realizzabile. All’estremità opposta della galassia c’è un gruppo che ha deciso di esplorare una delle zone meno popolate di un certo settore dell’orlo. Quella gente crede tuttora in un’antica leggenda secondo la quale discenderebbe dagli immigrati di un’altra galassia che, sbarcati sull’orlo, nel corso di molti anni galattici si sarebbero fatti strada verso l’interno. I discendenti pensano che se raggiungessero l’orlo la leggenda diventerebbe storia, tornando a loro maggior gloria. Un altro gruppo vuole addentrarsi in un piccolo braccio della spirale a causa di una vaghissima tradizione secondo cui, in tempi remoti, i loro antenati avrebbero captato dei messaggi indecifrabili provenienti da quella direzione. La tradizione si è arricchita via via di particolari e i suoi sostenitori sono convinti che in quel particolare braccio della spirale esista una razza di giganti dell’intelletto. Per non parlare, ovviamente, delle pressioni di quelli che vogliono spingersi verso il centro galattico. Devi tener presente che abbiamo appena cominciato, che la galassia è ancora in gran parte inesplorata e le migliaia di razze che formano la Centrale Galattica sono razze pioniere. Ecco perché l’organizzazione è continuamente sottoposta a pressioni di ogni genere.

— Mi sembra — disse Enoch — che tu abbia poche speranze di conservare la stazione sulla Terra.

— Quasi nessuna — dichiarò Ulisse. — Ma per quel che ti riguarda, avrai una possibilità di scelta. Potrai restare qui e vivere una normale vita terrestre o essere destinato a un’altra stazione. La Centrale spera che rimarrai con noi.

— Sembra una cosa definitiva.

— Temo di sì — ribatté Ulisse. — Mi spiace di averti portato brutte notizie, Enoch.

Enoch era tanto abbattuto che non trovò niente da dire. Brutte notizie! Era molto peggio, era la fine di tutto.

Sentiva che non soltanto il suo mondo andava in frantumi, ma anche le speranze della Terra. Una volta scomparsa la stazione, il pianeta sarebbe ricaduto nel dimenticatoio della galassia: senza speranza di aiuto, senza la minima possibilità di un riconoscimento e ignaro delle risorse che si trovavano nello spazio. Sola e indifesa, la razza umana avrebbe continuato a percorrere la stessa strada, annaspando incerta verso un futuro cieco e folle.

20

Lo splendente era anziano e l’alone dorato che lo avvolgeva aveva perso il vigore della prima giovinezza: era di un giallo caldo e vivo, ma non abbagliante come quello dei vegani nel fiore degli anni. Aveva un portamento fermo e dignitoso, e il ciuffo sulla testa che non era fatto né di capelli né piume aveva il puro candore della santità. Il volto era dolce e gentile, una dolcezza che se fosse stato umano si sarebbe mostrata attraverso una ragnatela di rughe.

— Mi dispiace — disse a Enoch — che il nostro incontro avvenga in queste circostanze. Comunque sono lieto di conoscerla, ho sentito parlare di lei. Non capita spesso che un essere di un pianeta estraneo venga nominato guardiano di una stazione. Per questo, mia giovane creatura, ho pensato spesso a lei, cercando d’immaginare che razza di tipo potesse mai essere.

— Non deve preoccuparsi del terrestre — lo rassicurò Ulisse con una certa asprezza. — Garantisco personalmente, siamo amici da molti anni.

— Già, dimenticavo — rispose lo splendente. — Lei è il suo scopritore.

Si guardò intorno. — Ma qui c’è qualcun altro — disse. — Non sapevo che foste in due, mi avevano detto uno.

— È un’amica di Enoch — spiegò Ulisse.

— Quindi esiste un contatto con il pianeta.

— No, nessun contatto.

— Allora è un’indiscrezione.

— Può darsi — ammise Ulisse. — Ma è stata commessa per un motivo che né lei né io avremmo potuto ignorare.

Lucy si alzò dal divano e attraversò la stanza con passi lenti e leggeri, come fluttuando.

Lo splendente le parlò in lingua franca: — Sono lieto di conoscerla. Molto lieto.

— Non sa parlare — spiegò Ulisse. — E non sente. Non ha modo di comunicare.

— Ci sarà una forma di compensazione.

— Lei pensa? — chiese Ulisse.

— Ne sono sicuro.

Si avvicinò a Lucy lentamente. Lei aspettò. — È una cosa… una forma femminile, mi pare che si dica. E non ha paura.

— Nemmeno di me — ridacchiò Ulisse.

Lo splendente alzò una mano e Lucy rimase immobile per un momento, poi alzò la sua e strinse la mano vegana dalle dita lunghe e sottili come tentacoli.

Per un attimo Enoch ebbe l’impressione che la cappa di nebbia dorata avvolgesse anche Lucy e chiuse gli occhi per scacciare l’allucinazione, sempre che fosse un’allucinazione; ma quando li riaprì, soltanto lo splendente aveva l’alone.

Come mai, si domandò Enoch, la ragazza non aveva paura di Ulisse o dello splendente? Che avesse ragione lui, quando la giudicava capace di leggere nell’anima e in grado di intuire la fondamentale umanità ("Dio mi aiuti, non sono capace di pensare altro che in termini umani!") insita in tutte le specie? E se questo era vero, significava che Lucy stessa non era del tutto umana? Certo lo era nelle origini e nell’aspetto, ma non era stata plasmata dalla civiltà e dalla cultura dell’uomo e rappresentava ciò che saremmo tutti noi se non venissimo martellati dalle regole di comportamento e dalle convenzioni che col tempo si induriscono in legge, definendo il comune atteggiamento umano.

Lucy staccò la mano da quella dello splendente e tornò a sedersi sul divano.

Lo splendente disse: — Enoch Wallace.

— Sì.

— Lei appartiene alla sua razza?

— Certo.

— È diversa. Sembra che sul pianeta esistano due specie.

— No, non è così. C’è solo la razza umana.

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