Philip Farmer - Il fiume della vita

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Il fiume della vita: краткое содержание, описание и аннотация

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In una valle sconfinata, lungo le sponde di un fiume immenso, si è radunala tutta l’umanità di tutti i tempi, miliardi di persone che hanno gia vissuto e che si sono risvegliate a una nuova vita in attesa di un destino ignoto. Questi uomini e queste donne continuano pero a conservare la propria mentalità e spesso a ripetere gli stessi errori di un tempo, cercando di dominare gli uni sugli altri. Ma la nuova esperienza può anche costituire una possibilità per raggiungere quegli obiettivi che si sono mancati prima: questa almeno e l’opinione di Francis Burton, il celebre esploratore che trascorse gran parte dei suoi anni in una sfortunata ricerca delle sorgenti del Nilo. Ora per Burton può ricominciare una nuova esaltante avventura…

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Targoff disse: — Meglio che lo porti via subito, dottore. Gli faccia l’autopsia. Attenderemo qui il suo referto.

— Con coltelli di pietra e senza prodotti chimici né microscopio, che razza di referto volete che presenti? — replicò Steinborg. — Be’, farò del mio meglio.

Il cadavere fu portato via. Burton disse: — Sono contento che non ci abbia costretti ad ammettere che il nostro era tutto un bluff. Se avesse tenuto la bocca chiusa ci avrebbe battuti.

— Allora non avevate davvero intenzione di torturarlo? — chiese Frigate. — Speravo proprio che non avreste messo in pratica le vostre minacce. Se l’aveste fatto, io avevo già deciso di andarmene immediatamente e non rivedere più nessuno di voi.

— Certo che non intendevamo farlo — disse Ruach. — Spruce avrebbe avuto ragione: non ci saremmo comportati meglio di Goering. Ma c’erano altri sistemi. L’ipnotismo, per esempio: Burton, Monat, e Steinborg, erano esperti in tale campo.

— Il guaio — osservò Targoff — è che non sappiamo ancora se ci ha detto la verità. In effetti può averci mentito. Monat ha formulato delle ipotesi, e se queste erano sbagliate, Spruce, dicendo di sì a Monat, ci avrebbe fatti andare fuori strada. Secondo me non possiamo essere del tutto sicuri.

Gli altri furono d’accordo. La possibilità di scoprire un altro agente mediante l’assenza di segni sulla fronte era svanita. Ora che Essi, chiunque fossero, conoscevano la capacità di Kazz di vedere tali segni, avrebbero preso opportune misure per evitare che gli agenti fossero scoperti.

Tre ore dopo, Steinborg fu di ritorno. — Non c’era nulla che lo distinguesse da un altro esemplare di Homo sapiens. Tranne questo piccolo congegno.

Teneva in mano una sferetta nera e lucente, grande all’incirca come una capocchia di fiammifero.

— L’ho trovato all’esterno dei lobi frontali. Era collegato ad alcuni nervi con reofori così sottili che riuscii a scorgerli soltanto sotto un certo angolo, quando la luce li colpiva. Ritengo che Spruce si sia ucciso mediante questo congegno, e che l’abbia fatto pensando letteralmente di morire. In qualche modo questa sferetta traduce in realtà la volontà di morte. Forse reagisce al pensiero liberando un veleno che ora non ho la possibilità di analizzare. — Terminato il referto, Steinborg fece passare di mano in mano la sfera.

CAPITOLO DICIOTTESIMO

Erano passati trenta giorni. Burton, Frigate, Ruach, e Kazz, stavano tornando da una spedizione su per il Fiume.

Mancava pochissimo all’alba. La fredda e densa nebbia che nell’ultima parte della notte si era alzata dal Fiume fino a due metri circa, li avvolgeva completamente. La visibilità era di due o tre passi, ma Burton, in piedi sulla prua dell’imbarcazione, sapeva che non dovevano essere distanti dalla spiaggia occidentale. L’acqua scorreva con minor rapidità, su fondali più bassi. Avevano proprio allora fatto un’accostata a sinistra, dal centro del Fiume.

Se i calcoli di Burton erano esatti, da quelle parti dovevano esserci le rovine della «reggia» di Goering. Da un momento all’altro Burton si aspettava di vedere, al di sopra delle acque cupe, una macchia ancor più scura: la spiaggia della regione che ormai era divenuta la sua patria, la sua casa. «Patria», per Burton, aveva sempre significato un luogo da cui ripartire, un posto per riposare, una fortezza provvisoria in cui scrivere un libro sull’ultima spedizione, un rifugio in cui guarire dalle ferite recenti, una torretta di comando da cui cercare nuove terre da esplorare.

Fu così che Burton, appena due settimane dopo la morte di Spruce, sentì il bisogno di recarsi in un posto diverso da quello in cui si trovava. Era corsa voce che fosse stato scoperto del rame sulla riva occidentale del Fiume, un centocinquanta chilometri a monte. Era un tratto di spiaggia lungo neanche venti chilometri, abitato da Sarmati del quinto secolo a.C. e da Frisi del tredicesimo d.C.

Burton riteneva che la notizia fosse infondata, ma era un’ottima scusa per una spedizione. Ed era partito, senza badare ad Alice che lo supplicava di portarla con lui.

Ed ora era quasi arrivato a casa, dopo un mese e dopo molte avventure, non tutte gradevoli. La notizia relativa al giacimento di rame non era completamente infondata. Il rame c’era, ma solo in piccoli quantitativi. Così i quattro uomini si erano reimbarcati per il viaggio di ritorno, reso più facile dalla corrente favorevole e dal vento che non cessava mai di soffiare. Di giorno navigavano, fermandosi all’ora dei pasti dove c’erano tribù accoglienti che non avevano difficoltà ad acconsentire a stranieri di usare le loro pietre-fungo. Di notte dormivano presso popolazioni altrettanto amichevoli, oppure, se si trovavano in acque ostili, continuavano nell’oscurità la navigazione.

L’ultimo tratto del loro viaggio venne compiuto di notte. Prima di arrivare a casa dovettero percorrere un tratto del Fiume su una sponda del quale vivevano dei Mohawk del diciottesimo secolo, e sull’altra dei Cartaginesi del terzo secolo a.C; ed entrambe le popolazioni erano assetate di schiavi. Ma essendo passati via al riparo della nebbia, ormai erano sani e salvi.

Di colpo Burton esclamò: — Ecco l’argine! Pete, albero abbasso! Kazz, Lev, scia! E svelti!

Pochi istanti dopo, sbarcavano e trascinavano completamente in secco la leggera imbarcazione sul lieve pendio della spiaggia. Adesso che la nebbia si era dissolta poterono vedere il cielo sbiadito sopra le montagne orientali.

— Punto stimato perfetto! — esclamò Burton. — Siamo a dieci passi oltre la pietra-fungo vicina alle rovine!

Guardò attentamente verso le capanne di bambù sparse sulla pianura, e le costruzioni che spiccavano in mezzo all’erba alta, e gli alberi giganti sulle colline.

Neppure una persona era in vista. La valle sembrava addormentata.

Disse: — Non vi sembra strano che nessuno si sia ancora alzato? O che le sentinelle non ci abbiano dato il chi va là?

Frigate indicò la torre di guardia alla loro destra.

Burton imprecò e disse: — Stanno dormendo, perdio, o hanno disertato!

Ma pur dicendo così sapeva che non si trattava di abbandono del posto da parte delle sentinelle. Non ne aveva parlato agli altri, ma appena messo piede sulla spiaggia si era convinto che qualcosa non funzionava. Si mise a correre per la pianura verso la capanna in cui abitava con Alice.

Alice stava dormendo sul letto di bambù ed erba. Solo la testa era visibile, poiché si era avvolta in un buon numero di salviette assicurate l’una all’altra mediante le piastrine magnetiche. Burton le strappò via, si inginocchiò accanto al basso letto, e mise Alice a sedere. Il suo capo ciondolò in avanti, e le braccia oscillarono inerti. Ma colorito e respirazione erano normali.

Burton la chiamò tre volte per nome, ma Alice continuava a dormire. Le schiaffeggiò con violenza le guance, e su di esse apparvero delle chiazze rosse. Le palpebre vibrarono, poi la donna ripiombò nel suo sonno profondo.

In quel momento comparvero Frigate e Ruach. — Abbiamo guardato in qualcuna delle altre capanne — disse Frigate. — Dormono tutti. Ho cercato di svegliarne uno o due, ma sembra che abbiano perso i sensi. Cosa sarà successo?

— Secondo te — rispose Burton — chi avrebbe il potere o la necessità di fare questo? Spruce! Spruce e i suoi simili, chiunque Essi siano!

— Perché? — chiese Frigate con voce spaventata.

— Cercavano me! Devono essere venuti qui protetti dalla nebbia e aver fatto cadere addormentati tutti quanti!

— Un gas narcotico potrebbe essere più che sufficiente — disse Ruach. — Benché sia probabile che Essi, con tutti i Loro poteri, dispongano di congegni che neppure riusciremmo a immaginare.

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